Qual è il confine tra una vita ordinaria e una straordinaria? È possibile scorgere la linea fra queste due realtà e, ciononostante, vivere un’esistenza comune rinunciando alla possibilità di varcarla? Presentato al Sundance Film Festival nel 2018, esce finalmente nei cinema italiani un titolo imprescindibile. American Animals è la rivelazione del regista inglese Bart Layton, documentarista specializzato in personalità criminali particolarmente estrose. Dopo il brillante documentario “The Imposter” (“L’impostore” nella versione italiana) uscito nel 2012 – storia reale di un minorenne mitomane che cambiava identità innumerevoli volte pur di entrare in varie case di accoglienza – si concentra su questa storia di cronaca locale dove quattro ragazzi, appartenenti a ceti sociali agiati e senza particolari svantaggi, mettono in piedi un colpo per sottrarre dei rari libri nella biblioteca locale. I volumi sono di inestimabile valore, a portata di mano e tutto sembra perfettamente in linea con le loro capacità indiscusse. Warren Lipka, Spencer Reinhard, Chas Allen, Eric Borsuk e Betty Jean Gooch sono quattro ragazzi diligenti e irreprensibili, ma probabilmente il più insoddisfatto è Warren. Lui è l’olio che lubrifica il meccanismo. Nonostante l’idea della rapina venga proposta da Spencer; è Warren l’anima dannata del gruppo, e sarà sempre lui a muovere le conseguenze della storia. Mentre ognuno di loro vive la propria frustrazione in maniera intima, senza eccessi particolari o aspetti che sottolineino la loro instabilità (tanto che ogni familiare descriverà questa loro azione plateale come qualcosa di incomprensibile); Warren, invece, è l’unico con il marchio dell’infamia appiccicatogli addosso. Il ragazzo dalla famiglia separata, che marina gli allenamenti nonostante la borsa di studi: è l’elemento che scombina le carte in tavola, il soggetto imprevedibile che potrebbe portare un ragazzo corretto come Spencer – più riflessivo e accomodante – sulla cattiva strada. American Animals riesce nella meravigliosa operazione di fondere in maniera sublime il documentario con la fiction cinematografica. Cinematograficamente rispetta tutti gli stilemi dell’Heist movie classico: la formulazione del piano, il reclutamento dei vari individui e gli imprevisti lungo la riuscita. Come tutti gli Heist movie che si rispettino, le cose non andranno nel verso giusto. I racconti e le riflessioni dei quattro protagonisti principali si alterneranno con i loro alter ego cinematografici, trovando un connubio metacinematografico perfetto. Non c’è un pentimento lampante nei quattro ragazzi, c’è solo la rassegnazione nell’accettare quegli eventi – ormai tramutatisi in sette anni di carcere già scontati – che hanno stravolto non solo la loro vita, ma anche quella dei loro cari. Un’istinto di sopravvivenza animalesco ed egoistico nel districarsi dai binari impostati da una vita dozzinale per andarsi a prendere quel qualcosa che, probabilmente, avrebbe potuto portarli su altri orizzonti. Lo studioso d’arte introverso, l’esagitato amico che sa innestare il seme della ribellione, lo sportivo diligente della upper class (quello che avrebbe da perdere più di tutti) e lo studente imperscrutabile campione di scacchi. Il film traccia benissimo la psicologia dei personaggi: le loro ossessioni, le paranoie, e alterna con efficacia i racconti veri (o presunti tali) con la ricostruzione filmica attraverso degli stacchi di montaggio formidabili. L’immedesimazione scatta immediata, facendoci scegliere almeno uno dei quattro ragazzi: ci rivediamo nel più pavido? Nel più reticente? Il più problematico e ansioso? Oppure in quello che va fino in fondo nonostante gli evidenti problemi di gestione personale? L’arruolamento del gruppo e la spinta morale di ogni elemento verrà messa in discussione ripetutamente, lasciando nello spettatore un senso di apprensione e coinvolgimento perpetuo e costante. American Animals é formalmente perfetto sia nella gestione documentaristica che in quella filmica, regalandoci un’esperienza cinematografica potente e senza sbavature.
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