In seguito all’attenzione generale che Army of the Dead ha ispirato con la sua uscita su Netflix, un insieme di progetti ha cominciato a gravitare intorno al film di Snyder. Quando il pubblico risponde positivamente verso qualcosa, una strada – fra le tante – si apre all’orizzonte: quella dei progetti legati, e degli approfondimenti vari. Questo sta avvenendo con l’opera suddetta, ora impegnata a trasformarsi in un vero e proprio universo narrativo più espanso e dettagliato. Implementazioni di questo tipo, ovviamente, possono rivelarsi armi a doppio taglio, anche perché se da una parte approfondiscono e producono maggiore attenzione e longevità, dall’altra potrebbero andare a distruggere quanto creato fino a quel momento, anche per sempre. Army of Thieves è uno dei primi tasselli di una visione come questa, e non ci resta che andare a parlarvene nella nostra recensione.
Un prequel rilassato
Con Army of Thieves ci troviamo davanti a un prequel di Army of the Dead ambientato sei anni prima degli eventi di cui tutti siamo a conoscenza. Qui la regia non viene nuovamente affidata a Zack Snyder, ma a Matthias Schweighöfer, anche protagonista della pellicola, nei panni di Ludwig Dieter. Fin dalla sua primissima inquadratura si può leggere quella che è l’anima della pellicola stessa, una sorta d’ibrido fra una favola, un film d’azione ed una commedia no sense. Tutto si apre con la storia di Hans Wagner, nome centrale anche negli eventi di Army of the Dead. A Monaco questo leggendario fabbro costruì 4 casseforti ispirandosi ai 4 drammi musicali che compongono l’Anello del Nibelungo di Wagner. Ognuna di esse trae il proprio nome e la propria identità estetica proprio da questi anelli: Das Rheingold, La Valchiria, Sigfrido e Götterdämmerung (il crepuscolo degli Dei).
Queste casseforti non rappresentano soltanto degli ostacoli verso il denaro che custodiscono, ma un vero e proprio lascito immortale di quest’uomo che in essi a inserito qualcosa di ancor più prezioso, intimo e personale. Tutto ciò per introdurre il protagonista del film stesso, colui intorno a cui tutto ruota (Dieter, appunto), in un’avventura in cui ne scopriremo i primi passi nel mondo della criminalità. Dieter, qui Sebastian – il suo vero nome – vive una vita estremamente normale e ordinaria. Lavora come impiegato e ha un canale Youtube in cui condivide con il mondo intero la sua reale passione: scassinare le serrature. E’ una persona dolce e solitaria, estremamente naïf in tutto quello che fa. La sua vita, però, viene totalmente stravolta quando incrocia lo sguardo di Gwendoline (Nathalie Emmanuel). Quest’ultima è una ladra professionista e ricercata che ha bisogno di uno scassinatore per aprire le suddette casseforti e, ovviamente, finirà con il chiedere proprio al nostro protagonista di unirsi alla sua banda, avviando in questo modo tutti gli eventi di trama.
Strutturalmente riconoscibile
Strutturalmente parlando, Army of Thieves è identico a parecchi prodotti che abbiamo già visto e recensito, primo fra tutti Ocean’s Eleven, o La casa di Carta, ad esempio. La storia è estremamente classica nel suo porsi, nulla di nuovo all’orizzonte. L’intera pellicola ruota attorno alla simpatia che si prova verso questo protagonista che è tutto fuorché un protagonista. Il suo essere sempre e totalmente fuori posto alleggerisce continuamente la serietà di alcuni momenti del film, tramutandone gli intenti generali. Il divertimento resta una costante, nonché il maggiore pregio e merito della storia. Curiosa anche la caratterizzazione degli altri personaggi presenti, in un approccio che sembra voler sovvertire alcuni cliché del genere. Questi ultimi purtroppo restano, però, figli di una scrittura estremamente abbozzata per ogni cosa (non andiamo troppo nel dettaglio onde evitare di fare spoiler, resta comunque il fatto che gli appassionati del genere d’azione riconosceranno immediatamente alcuni personaggi con i loro ruoli) . Tutto avanza senza un peso troppo tangibile allo spettatore che si lascia semplicemente “divertire”. La sensazione di già visto regna sovrana, seppur accompagnata da alcuni guizzi interessanti e piccolezze (come le fasi di montaggio in cui Dieter tira fuori la sua dote più grande con le casseforti).
Tirando le somme, questo Army of Thieves offre allo spettatore molti spunti narrativi e tratti interessanti su un personaggio particolarmente amato nel film di precedente uscita, ed è importante sottolinearlo in una recensione. Contemporaneamente, però, non si applica troppo, restituendo un’esperienza estremamente fluida dal punto di vista figurativo e molto leggera (tipica dei film del suo genere), ma al tempo stesso continuamente “accennata”. Le domande restano una costante anche dopo i titoli di coda e rappresentano, forse, un’occasione sprecata per un personaggio che avrebbe meritato di più. Speriamo di cuore che tutto ciò possa fare da monito per i prossimi progetti.