L’indefinibilità di se stessi in un contesto regolato da leggi chiare e comunemente definite, resta uno dei temi più curiosi che il cinema abbia amai affrontato nel corso degli anni, tema intorno al quale, ovviamente, non si è mosso soltanto questo mezzo espressivo, ma anche l’arte in generale, tentando di dare vita e forma a tutti quei fantasmi, quelle sagome particolarizzate che ci tormentano quotidianamente, anche in contesti materiali perfettamente geometrizzati nei canoni sociali. Ci si trova davanti, con questo genere di opere, ad una vera e propria scissione tra quello che “sembra” e quello che realmente possiamo toccare, ed è proprio lungo questa sottile linea che si muove Bliss, film di recente uscita diretto da Mike Cahill, ed attualmente presente nel catalogo di Amazon Prime Video.
Di cosa parla questo Bliss?
Fin dai trailer Bliss ha tentato di catturare l’attenzione del grande pubblico attraverso una serie di dettagli presentativi che hanno gettato un primo dubbio sul genere nel quale l’opera va ad incardinarsi, il tutto è stato alimentato anche dalle altre pubblicità intorno alla pellicola. Il film, infatti, ovunque si vada a vedere e cercare, viene etichettato come un lavoro a metà fra la fantascienza e il dramma, una sorta di commistione estetico-narrativa fra le due cose, in un’alternanza che vuole vedere il protagonista muovercisi attraverso. La storia di Bliss ruota tutta, interamente, intorno al personaggio di Greg, (interpretato da un Owen Wilson che in questa pellicola si ritrova a vestire i panni di un personaggio estremamente magmatico e particolare, sempre in bilico tra un’esperienza e l’altra) il quale ci viene subito presentato attraverso alcune inquadrature dalla fotografia spenta e piuttosto enigmatiche. Greg lavora in un ufficio, anche se non viene spiegato nulla del posto che ricopre, però lo vediamo intento ad attuare alcuni disegni, disegni che non hanno nulla a che fare col suo lavoro, disegni che lo vedono immediatamente perdersi fra i lineamenti della propria fantasia tratteggiata su quei fogli stazionanti sulla sua scrivania. Questo finché non viene convocato dal capo.
Il primo dettaglio centrale nella comprensione di Bliss, risiede proprio in quello che accade fra il momento in cui disegna, e quello in cui si porta nell’ufficio in cui è stato chiamato a presentarsi. Greg sembra perso, con lo sguardo altrove, lontano anni luce dal suo ufficio, dalla propria routine lavorativa e da tutto ciò che lo circonda. Quei disegni rappresentano fin dal principio una palese via di fuga da tutto quello che lo circonda, quasi fosse un animale ingabbiato e senza via d’uscita, il tutto valorizzato dalla ripetitività delle inquadrature e dalla piattezza smorta e monotona della fotografia e della scenografia in cui quest’uomo è immerso. Prima di uscire però una priorità lo rapisce, deve assolutamente chiamare l’assistenza per un farmaco (forse un antidolorifico) dato che le pasticche a sua disposizione stanno per finire, ma gli viene rifiutato. Qui, per la prima volta dall’inizio del film, un attacco di panico lieve lo coglie all’improvviso, e sarà proprio questo dettaglio fuggevole la chiave di lettura principale dell’intero film.
Il capo di Greg ha intenzione di licenziarlo incolpandolo di tutta una serie di cose, e lo fa. Greg si esclude nuovamente dalla realtà e il capo suddetto, per un incidente, cade perdendo la vita. Così Greg lo nasconde e fugge in un bar lì difronte. È qui che Bliss cambia totalmente registro, ma lo fa soltanto a livello superficiale e percettivo. Nel bar Greg incontra la seconda protagonista della pellicola, Isabel (interpretata da Salma Hayek), la quale comincia a raccontargli che il mondo in cui si trovano “non è reale” e che tutto quello che ha fatto fino a quel momento, in realtà, non ha alcuna importanza, dato che ciò che li circonda non esiste, e che tutto è malleabile ingerendo alcune particolari pietre gialle. Da questo momento in poi vediamo Greg legarsi indissolubilmente a questa donna, in un rapporto che lo vedrà oscillare continuamente tra ciò che è reale e ciò che lui stesso percepisce, seguendo Isabel in contesti sempre più particolari ai margini della società, fino ad addentrarsi nelle dinamiche fantascientifiche suddette.
Cosa ti lascia Bliss?
Bliss è uno di quei film che si avvale delle possibilità espressive cinematografiche per narrare una storia che, almeno in apparenza, sembra piuttosto semplice. Ci troviamo davanti a un protagonista piuttosto debole ed estraniato, con un complicato rapporto coi suoi figli, legato a una donna che non spiega mai troppo chiaramente cosa accade intorno loro, legandolo continuamente a lei attraverso manipolazioni emotive palesi, e violenze psicologiche. Ne viene fuori una pellicola estremamente percettiva e magmatica. Il caos narrativo, qui, può anche essere visto come il pregio di una narrazione in soggettiva attraverso gli occhi di un tossicodipendente, occhi scissi tra il dolore della sua quotidianità e una sorta di parallela ed irraggiungibile “beatitudine” (Il titolo stesso del film allude a questo) fantascientifica e, apparentemente, irreale. L’uso di questi cristalli, di questa sorta di gemme, resta confuso fino alla fine, fino all’ultimo, presentando una storia che centralizza i suoi intenti intorno alla “fuga”. Greg fugge continuamente, scappa da sé stesso, dai figli, dalle responsabilità della vita, però lo fa in maniera totalmente inconscia, senza mai rendersene conto, senza mai realizzare pienamente quanto stia accadendo nella sua vita. Il regista si serve sia della strumentazione tecnica della macchina da presa, sia dei dettagli di uno dei due generi suddetti, per materializzare un punto di vista che resta intangibile e difficilmente identificabile fino ai titoli di coda.
La scelta di trasporre gli eventi in questo modo, traslandoli nel punto di vista di Greg stesso, acuisce l’indefinibilità di quanto si ha intorno, privando lo spettatore stesso di una comprensione totale degli eventi rappresentati. È proprio sulla percezione della realtà che questo film gioca le sue carte fin dal principio, scrivendo di un viaggio folle, rocambolesco e soprattutto mentale, un continuo “fuggire” non soltanto dagli stilemi sociali ma soprattutto da sé stessi, con un finale che lascia intendere e soprattutto riflettere parecchio. Il tutto accompagnato da una regia che non osa moltissimo, alternando moltissime inquadrature grandangolari e distorte, con un uso piuttosto coerente della computer grafica e qualche espediente “dinamizzante” di quando in quando. Nulla da dire nei confronti della recitazione degli attori, e sulla colonna sonora, allineata a quelli che sono gli sviluppi del film. Tutto si gioca nel modo in cui lo spettatore stesso riesce a cogliere non soltanto l’azione nella sceneggiatura, ma, soprattutto, i dettagli secondari a dipingere le varie inquadrature. Quello che viene dietro ai protagonisti di Bliss, i movimenti e gli “sfarfallii” delle varie comparse che si muovono nelle scenografie, contribuiscono ulteriormente ad incasinare (in senso buono) la chiarezza generale di questo lavoro.