In questi ultimi giorni il mondo videoludico non è riuscito ad addormentarsi con serenità. Il sonno non è sopraggiunto facilmente e metabolizzare la tempesta che ha scosso il nostro mondo, che l’ha prima portato alle stelle e poi lo ha fatto precipitare alle stalle, non è stata cosa facile. I più informati tra di voi avranno ben capito ciò di cui sto parlando. In particolar modo sono stati due gli eventi che sono accaduti in questi giorni che hanno scosso giocatori e critica: il riconoscimento dello status di sport agli eSport da parte del CIO e i fatti giudiziari di Crema che hanno coinvolto un ragazzino, presunto caso di ludopatia, e la sua famiglia. Ci sarebbero fiumi di parole da spendere su entrambe le vicende, ci soffermeremo su quanto accaduto, ma ciò che vogliamo fare è porre l’attenzione sulla reazione scatenatasi all’interno della comunità videoludica e non. La nostra volontà in questo articolo è sicuramente quella di discutere delle due questioni, analizzando i comportamenti tenuti da entrambi le parti. Atteggiamenti non sani e che, nel caso dei videogiocatori, non sempre fanno gli interessi dell’industria che desiderano veder crescere.
Facciamo un passo per volta e cominciamo da una notizia che tutti noi stavamo aspettando e che finalmente è giunta: gli eSport sono considerabili veri e propri sport e potrebbero sbarcare presto alla massima competizione sportiva mondiale, le Olimpiadi, entrando dal portone principale. A dirlo è stato nientemeno che il CIO, Comitato Internazionale Olimpico, che ha aperto le porte del più grande evento mondiale ai giochi elettronici. Niente da dire. La stragrande maggioranza del mondo videoludico si è sciolto in brodo di giuggiole al pensiero di vedere i nostri titoli preferiti affianco alle classiche competizioni sportive. Un tale riconoscimento potrebbe avere un’importanza strabiliante, aumentando addirittura la già grande notorietà degli eSport, ma non solo! La stessa concezione del videogioco, non sempre ben visto, potrebbe cambiare di netto, innescando quella metamorfosi concettuale e culturale che tutti speriamo. E’ ancora presto per gridare al futuro, ma qualche frutto abbiamo cominciato a raccoglierlo: la rete televisiva Sky ha subito aperto un canale dedicato interamente agli eSport, impegnandosi anche nella ricerca di personale italiano esperto in materia.Una bella tela sulla quale si va disegnando uno splendido dipinto che sarebbe proprio un peccato rovinare. Dispiace dirlo, ma il Paese nel quale viviamo ogni tanto rovina le bellezze della quale si circonda e il clima di festa e di speranza che si era creato non ha tardato ad incrinarsi: è infatti proprio nell’ambito televisivo che arriva la prima grande beffa. L’ultima puntata della trasmissione Che Tempo Che Fa su RAI 1, condotta da Fabio Fazio, ha visto come ospite il presidente del CONI Giovanni Malagò e tra gli insuccessi della nazionale italiana calcistica e il lavoro di riforma dei piani alti in casa FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio), il conduttore si è lasciato andare ad un paio di domande riguardanti proprio gli eSport. Fin qui nulla di strano. Tutti ci saremmo aspettati un intervento di questo genere, il problema sta nel come è stato affrontato l’argomento. Fazio, dal quale è lecito aspettarsi un comportamento professionale e – permettetecelo – anche curioso in merito a un fenomeno che prende sempre più piede, ha affrontato la questione con un atteggiamento superficiale, addirittura ridicolizzante, in particolar modo quando riprende la stessa espressione che Malagò utilizza per liquidare la questione “è una barzelletta”, accompagnata dalla risata del conduttore, il quale si ritrova a citare Space Invaders e Super Mario, concretizzando la sua più totale ignoranza in merito. Ora non importa quale sia la vostra posizione sulla questione, che siate d’accordo o meno sull’inserimento degli eSport tra le grandi competizioni sportive, ciò che ci deve “far inarcar le ciglia” in senso di meraviglia ma al negativo (con buona pace di Giovan Battista Marino) è il qualunquismo che trasuda da ogni proposizione messa in atto nella discussione. Malagò, di contro al buon Fazio, cerca di aggiustare il tiro del primo: propone uno spunto interessante che investe la volontà di normare queste competizioni, prendendo in esame anche la questione doping. Intervento sacrosanto, che però si schianta di fronte a un muro di arroganza e ignoranza che attanaglia lo stesso presidente del CONI.
Malagò probabilmente non sa che le competizioni ufficiali avvengono faccia a faccia con la squadra avversaria e in rete locale, e che oltretutto sono capaci di riempire stadi e strutture con numeri da capogiro; ma soprattutto è mortificante vedere come una persona di spicco, che a sua detta non si è mai interessata all’ambito videoludico, possa sentirsi in dovere di umiliare un’enorme fetta di persone (in continua crescita e che investe tantissime categorie) affermando che sia “tutto sbagliato”. Un vecchio detto afferma “tanto tempo per costruire e pochissimo per distruggere”, nel giro di due minuti circa si è consumata, nel più totale qualunquismo e superficialità, in un programma culturale in onda in prima serata sulla rete televisiva ammiraglia italiana, l’umiliazione dell’industria videoludica, della sua crescita e della categoria di persone che fa uso di ciò.
Ma perché è importante parlare del binomio Fazio-Malagò? Perché il loro comportamento superficiale e poco professionale (se paragonato a ciò che sono) è accostabile alla leggerezza e la mancanza di lucidità che hanno caratterizzato i commenti dei giocatori di fronte alla questione del caso giudiziario del ragazzino di Crema. L’accaduto non ci è passato inosservato e ve lo abbiamo proposto sulle nostre pagine virtuali. I giocatori, così come la stampa specializzata, hanno reagito in modo abbastanza frivolo, e oserei dire scontato, nei confronti dell’articolo del Giorno, che dalla sua ha solamente riportato la notizia dell’accaduto e la cui unica colpa è stata quella di aver esagerato con l’utilizzo di determinati termini come “malato” e “trappola”. In un ambito come quello della comunicazione sbagliare due parole può voler dire anche modificare il senso di un messaggio e alternarne la percezione.
Dal canto nostro, perciò, non ci riserviamo di “salvare” neanche i giornalisti autori dell’articolo originale (che è tutt’ora possibile trovare online), perché l’utilizzo di parole forti – e attiranti attenzione – come quelle, sfruttano un problema che è molto più profondo di quanto si possa immaginare e che affonda nella difficilissima situazione famigliare del ragazzino. Il tutto sembra essere gettato in pasto alla malattia: il bambino è caduto nella “trappola” dei videogiochi e va curato da questa “malattia”. Una lettura e una presentazione del genere è un atto quantomeno malizioso da parte del Giorno, che non tiene conto di ciò che un semplice ragazzino di 14 anni si è trovato a vivere: un padre che ha abbandonato il nucleo famigliare e una madre che si è ritrovata sulle spalle il peso di dover tenere su una famiglia, composta da due figli in fase adolescenziale. Da qui è semplice concludere che il ragazzo possa aver trovato nei videogiochi uno sfogo per una vita che non desiderava e che non lo soddisfacesse, così tanto da preferire immergersi nei giochi piuttosto che andare a scuola.
L’Italia e il mondo intero sono pieni di realtà di questo tipo e ipotizzarlo invece di far scadere tutto nella ludopatia era una strada che andava percorsa e a suggerircelo è la stessa reazione del ragazzino di fronte alla possibilità di essere portato via dalla madre, unico e ultimo nucleo familiare: ha consegnato spontaneamente la console al genitore e ha promesso di tornare a vivere una vita normale. Un comportamento lucido non proprio simile a quella di una persona affetta da ludopatia. L’altra faccia della medaglia è sempre in agguato, però. Proviamo, infatti, a considerare proprio quest’ultima possibilità, la ludopatia, che non va del tutto esclusa. Considerando proprio la strada percorsa dal Giorno, quella di un’effettiva malattia, al di là del modo frivolo con il quale la testata commenta l’accaduto, la ludopatia è un problema serio e sottovalutato dalla stragrande maggioranza dell’utenza che crede che sia impossibile che ciò accada. Un “whiteknighting” videoludico controproducente che rischia di far bollare come “ennesimo attacco all’industria” un episodio che invece andrebbe considerato e la cui analisi è un momento di crescita e consapevolezza di ciò che questo medium può provocare negli individui psicologicamente più deboli, senza ingigantire nulla né tantomeno alleggerire il tutto.
La ludopatia è un problema reale che deve essere affrontato con i giusti mezzi, consci del fatto che individui di tutte le età possano contrarre tale disturbo. Per questo motivo, è compito della community di giocatori prendere atto anche di quelli che sono gli aspetti più negativi e oscuri di questo mondo, cercando di non dare giudizi e conclusioni affrettate. Solo con lo sviluppo di un senso critico adeguato che non disdegna di tralasciare anche fatti di cronaca mal raccontati e che ha la capacità di discernere la notizia e il modo di chi la racconta, possiamo pensare di fare un passo in avanti, perché la visione che un domani il mondo avrà dell’industria passa anche attraverso la nostra voce e il nostro pensiero. Dobbiamo, cioè, sviluppare e dimostrare quell’onestà intellettuale e quella volontà di uscire dalle proprie quattro mura, approcciandosi in maniera critica ad un evento, che sono mancati proprio durante la conversazione tra Fabio Fazio e Giovanni Malagò.