Ted Bundy – Fascino criminale – Recensione del nuovo film con Zac Efron

Emanuele Massetti
Di Emanuele Massetti Recensioni Lettura da 8 minuti
Zac Efron as Ted Bundy in Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile https://www.instagram.com/p/BqxcG0-n6nj/ Credit: Voltage Pictures (Original Caption) Close up of Theodore Bundy, convicted Florida murderer, charged with other killings. Credit: Bettmann/Getty
6.5
Ted Bundy - Fascino criminale

 

L’america è il paese che ha contribuito – forse più di tutti – a istillare e rendere concrete le paure più recondite dello spettatore attraverso i film. Ma l’america è famosa anche per altri primati. La controcultura americana degli anni settanta ha fatto da sfondo ai nomi più altisonanti in fatto di morte ed uccisioni: uno su tutti è Charles Manson, che presto ritroveremo in una nuova trasposizione nel film di Tarantino in imminente uscita. L’america è depositaria (statisticamente parlando) della più alta percentuale di criminali e maniaci che hanno fatto la storia: sia per quanto riguarda la loro metodica criminale, ma anche come introduzione mediatica del killer fascinoso e ammaliatore. Ciò premesso, non potevano essere da meno anche dal punto di vista dei prodotti audiovisivi che raccontano – ormai da anni – personalità e devianze di certi personaggi. La realizzazione di film di questo stampo sono ormai una consuetudine per la tradizione americana (“Summer of Sam” di Spike Lee o l’inarrivabile “Zodiac” di David Fincher, senza dimenticare la sua pregevolissima serie “Mindhunter”, che presto uscirà con la seconda stagione), tradizione che riguarda anche gli attori che iniziano la loro carriera affermandosi in un certo genere, per poi mettersi alla prova con il canonico ruolo che potremmo definire”spiacevole”. È quindi il turno di Zac Efron, idolo indiscusso delle teenager di mezzo mondo, cresciuto sotto l’aurea protettiva di Disney Channel e spopolando in mezzo mondo con i film di High School Musical. Per scrollarsi di dosso quella patina di scetticismo da parte degli analisti arriva a conquistarsi questo ruolo “iconico” del panorama criminale: Ted Bundy è forse uno dei nomi più prolifici ed efferati della storia criminale americana e Zac Efron, contro tutte le probabilità, centra l’obbiettivo. Operando dal 1974 al 1978, Ted Bundy si è lasciato dietro una scia di morte infinita.  Stupri, rapimenti, corpi martoriati e umiliati da tendenze necrofile, la lista è molto lunga. Talmente lunga che, ad oggi, gli inquirenti non hanno mai delineato completamente con un numero preciso. Qui entra in gioco Joe Berlinger, principalmente un documentarista specializzato in fatti di cronaca nera. Il sequel di The Blair Witch Project è forse il suo titolo più conosciuto. Per Netflix ha curato uno speciale su Bundy intitolato Making a Murder, con spezzoni ed interviste rilasciate dal killer stesso. Il passo per arrivare al film di finzione è stato consequenziale.

Il lato oscuro di un uomo qualunque 

Il mostro violento, la bestia senza scrupoli o l’uomo occulto, quale di questi tratti che caratterizzano Bundy viene usato come approccio in questo nuovo film? il film di Berlinger si distingue da altre monografie simili proprio perché il focus è l’uomo e non il killer: l’uomo insospettabile, mellifluo, che dissimula continuamente e con un naturale ascendente verso il genere femminile. Un Bundy inedito e poco visto al cinema che entra ed esce dalla sua duplice personalità con una disinvoltura insospettabile. Lo studente di legge, scapestrato ma apparentemente innocuo, la vittima attonita (tipico il suo atteggiamento ironico nello sminuire i fatti che lo riguardavano), l’uomo nell’ombra che frequenta i bar, il compagno amorevole e comprensivo che non manca mai un’attenzione galante verso al sua compagna. E ancora: Il romantico ottimista, l’intellettuale (come feticcio ha il libro Papillon e ascolta musica d’opera), il bel ragazzo dal sorriso smagliante, sorriso che a tratti (qui Zac lo rende molto bene) deforma fino farlo diventare un ghigno sinistro. Sono molti gli aspetti contraddittori della sua personalità che il film tenta di evidenziare. Anche le persone che gli gravitavano intorno sono un tassello fondamentale su cui il film si concentra, sottolineando l’influenza che Bundy aveva nel privato per le persone che riteneva – a suo modo – intime, mentre contemporaneamente si prova ad indagare sul magnetismo che evidenziava per quel genere di donne estranee, in cui egli risvegliava – secondo alcuni specialisti- un appetito sessuale inconscio. Il mostro è lui o sono quelle che vorrebbero farci sesso nonostante le atrocità che ha compiuto? emblematiche le interviste (anche di repertorio) durante il processo ripreso in diretta tv, con le giovinette bramose di un suo sguardo o di un suo ammiccamento. Il film non si focalizza sulle sue perversioni mostrandocele in maniera visiva (la mostruosità delle sue azioni verranno rappresentate visivamente attraverso due foto e rapidi gesti ) mentre con una certa raffinatezza vengono usate le “parole” come mezzo per veicolare la sua disumanità: saranno quelle pronunciate dal giudice Edward Cowart ad esprimere, più di tante altre, l’incapacità collettiva di poter razionalizzare una psicologia come la sua. Ted Bundy è stato il killer che – probabilmente per primo – ha mandato in corto circuito il sistema delle valutazioni di riferimento.

È, e rimane, fra i killer più inquietanti all’opinione pubblica proprio perché non si trattava del solito profilo che seguiva il protocollo del sociopatico/borderline (quindi quantomeno comprensibile alla natura umana), ma aveva una naturale tendenza a dissimulare, ad insinuarsi nelle vite degli altri, a fare in modo che queste riuscissero a fidarsi incondizionatamente di lui: questa era la sua arma più potente che lo rende ancora più inquietante. Quando il film racconta questi aspetti lo fa bene, si capisce che hanno studiato con perizia le carte e i ritratti psicologici di queste donne che gli sono state accanto. Il limite sta nell’operazione alla base, nella necessità o meno di raccontare questa storia che, seppure in chiave inusuale, non aggiunge nulla di veramente esaltante per lo spettatore medio, che magari potrebbe trovare in un documentario ben strutturato la stessa soddisfazione. La pellicola si limita a fare il lavoro per cui è stata progettata, raccontare l’uomo, senza usare un approccio feticistico verso le sue pulsioni omicide. Chi conosce bene la storia di questo killer troverà questo aspetto curioso e intrigante, mentre è altamente probabile che per altri risulterà un film innocuo con un’ottima interpretazione e niente di più. Interessante sottolineare alcune presenze, perché questo film è un campionario di facce note tra Cinema, TV e Musica: James Hetfield (leader dei Metallica), Haley Joel Osment (il bambino de Il Sesto Senso), Jim Parsons (che smette i panni di Sheldon Cooper per indossare quelli di avvocato) e per finire un sempre fondamentale John Malkovich.

Ted Bundy - Fascino criminale
6.5
Voto 6.5
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