Dopo il sogno infranto di Guillermo del Toro di vedere conclusa la sua saga, torna Hellboy tratto dai fumetti di Mike Mignola, ma questa volta con un cambio alla regia. Nei due capitoli precedenti, il messicano mescolava sapientemente attraverso il suo tocco inimitabile le creature pensate da Mignola e la sua visione personale dark e fantasy. Narratore di favole struggenti, popolate da mostri contriti e spesso alla ricerca dell’amore mai provato, le creature di Del Toro sono degli alter ego del regista, fragili e incompresi, che trasmettono perfettamente il senso autoriale che Del Toro rivendicava fin dalle prime pellicole. I film precedenti con Ron Perlman avevano messo d’accordo la critica e ritagliato un solco profondo nel cuore di ogni fan. Dopo il secondo capitolo, Del Toro, a causa dei tentennamenti da parte della produzione, non ha potuto mettere la firma conclusiva alla saga a cui tanto teneva. Ma la macchina di Hollywood non si ferma mai e a distanza di undici anni dall’ultimo bellissimo “Hellboy the golden army” scende in campo Neil Marshall, per dirigere un capitolo disimpegnato e scevro da ogni forma di velleità artistica (e per questo, probabilmente, più vicino al materiale cartaceo), un viaggio scanzonato e truculento nel mondo immaginifico di Mike Mignola. Tra lo scetticismo generale e i detrattori più incalliti, Marshall e il suo staff non provano minimamente a mettersi a paragone con i capitoli precedenti e sapientemente spingono l’acceleratore sulle esasperazioni più horror e grottesche della storia, con un approccio grezzo e senza fronzoli.
Accantonando il mondo più favolistico e quella capacità innata di Del Toro nel saper infondere un briciolo di umanità in ogni creatura che filmava, Marshall dirige un’avventura fracassona con poco spessore. Quello che colpisce subito è l’estetica: priva di quel tratto realistico e tangibile nelle splendide creature ricreate dal vero da Del Toro, che studiava personalmente ogni singolo dettaglio dalle varie caratterizzazioni. L’efferatezza di molte scene rimandano alla cifra stilistica tipica del regista Neil Marshall, abituato a corpi dilaniati e mostri inquietanti nei suoi precedenti film tra cui ricordiamo: “The Descent e Doomsday” peccato solamente per la molta CGI, spesso non curatissima, usata senza nessun pudore che tende ad appiattire un po’ tutto. Ron Perlman impersonava un Hellboy sciancato, sentimentale, sconsolato, ma al contempo sarcastico e pronto alla battuta; David Harbor invece – chiamato a ricoprire tale eredità – si concentra di più sulla natura bestiale del personaggio. Il suo Hellboy è affranto dall’inconsistenza del rapporto paterno, si esprime in maniera più volgare e si muove con più sicurezza, senza nascondersi come quello di Perlman. Il lato sarcastico del personaggio rimane e, anzi, diventa più spinto e scorretto del predecessore. Alla fine dei conti, diciamocelo: Il personaggio di Perlman era certamente più stratificato di questo, ma in ogni caso David Harbor fa un lavoro onesto, nonostante la sceneggiatura si attenga troppo a voler scimmiottare il fumetto e giocare poco con la macchina “cinema”. Milla Jovovich, quasi “eterna” nella sua bellezza che non tende a sfiorire, interpreta questa villain abbastanza canonica, che forse funzionerà sulla carta, ma sullo schermo riporta la solita piattezza di queste regine/streghe già ampiamente viste al cinema, con il loro piccolo piano di conquista e niente di più.
Anche della fantascienza e del fantasy, che Del Toro aggiungeva con maestria al suo mix personale, nel caso del film di Marshall non vi è quasi traccia e si vira totalmente verso l’horror più sovrannaturale con punte alte di splatter (troppo spesso in CGI) che faranno la gioia di molti appassionati della materia . Gli interni non hanno la minima ricercatezza visiva rispetto ai film del messicano e la mancanza di comprimari degni di nota, come Abe Sapien di Del Toro, non ci permette di empatizzare mai con il lato umano di questi personaggi – probabilmente neanche interessa a Marshall questo aspetto – ma i suoi personaggi comprimari non sono all’altezza. Qui i mostri sono mostri, parlano da mostri e si muovo come tali (tutti tranne Hellboy che racchiude in sé il dualismo uomo/mostro). Chi si aspetta qualcosa di più maturo e stratificato è meglio che rivolga lo sguardo altrove, ma se siete amanti del fumetto originale e i film scatenati dalla forte componente effettistica vi gasano, allora avrete pane per i vostri denti.