Colin Firth in Kingsman ripete spesso che i modi definiscono l’uomo: se potessimo trasporre questo concetto sul lavoro di Steven Spielberg in Ready Player One, avreste il giudizio più conciso del mondo.
L’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2010 di Ernest Cline (anche sceneggiatore insieme a Zak Penn) ha più di un onere: Spielberg deve mantenere la sua fama, e il film deve soddisfare i fan del romanzo, composto da parecchi videogiocatori.
La storia è ambientata nel 2045: Wade (Tye Sheridan) è un ragazzo che vive in un mondo che punta soltanto a sopravvivere, composto da case ammassate, povertà e miseria. L’unico rifugio è OASIS, mondo virtuale creato da James Halliday (Mark Rylance), quasi sostitutivo quasi della vita di tutti i giorni. Quando Halliday, dopo la sua morte, lascerà delle sfide da completare con in palio tutto il mondo di gioco, Wade cercherà in tutti i modi di completarle, trovandosi però davanti il terribile Nolan Sorrento e la sua IOI, azienda che vuole rendere il mondo di gioco un posto per guadagnare più soldi. Nel cast compaiono anche Simon Pegg (Ogden Morrow), Olivia Cooke (Samantha Cook) e T.J. Miller (i-R0k)
Con 2 ore e 20 minuti, Ready Player One vi travolgerà in un viaggio carico di sfumature: amore, odio e rabbia sono solo alcuni dei colori dello spettro emozionale che il film di Spielberg spara a schermo. La storia trova una composizione quasi anacronistica, basando tutto su una caccia al tesoro dai risvolti inaspettati: d’altronde si potrebbe anche parlare di un’avventura di alcuni ragazzi, ma le tematiche che tocca, tra una scena d’azione e una battuta pronta a spezzare la tensione, sono serie e profonde. Insomma, come solo Steven Spielberg avrebbe saputo fare e come Ernest Cline è riuscito a raccontare nelle sue pagine, Ready Player One trova lo spazio per azione, avventura, sentimenti e morale, lanciando un messaggio molto importante, probabilmente da metabolizzare a seconda delle esperienze vissute dallo spettatore, ma sicuramente d’alto impatto.
La magia di questo film trova la sua essenza proprio nel suo anacronismo: Ready Player One non è un film ispirato agli anni 80: sebbene la pellicola sia costellata di citazioni sparse, da videogiochi recenti a cult degli ultimi 30 anni, difficilmente si riesce a soffermarsi a guardare, principalmente perché non catalizzeranno l’attenzione, ma soprattutto perché l’intreccio vi porterà a interessarvi soltanto della storia di Wade e compagni. E’ qui che le comparse, spavento e delirio di chi con il trailer già urlava le famose due parole mossa commerciale, diventano invece mezzo di comunicazione, tramite da utilizzare che porta messaggi importanti come l’importanza della vita e delle relazioni: molte volte, per raggiungere un’isola del tesoro, non è importante la meta, quanto il viaggio e ciò che insegna, e Ready Player One si erge a manifesto di questo concetto. Nessun regista avrebbe potuto trasformare un libro tanto imponente in un film altrettanto importante, che si fisserà nella cineteca dei film da dover aver visto almeno una volta nella propria vita.
Tecnicamente parlando, il distacco netto che viene creato tra i due mondi è superlativo: un mondo reale sporco, misero e privo di colori si contrappone a un mondo virtuale colorato, divertente e spettacolare. Ma come il mondo reale nascondi valori reali da scoprire, il mondo virtuale può avere più problemi del previsto. Problemi che invece per quanto riguarda la CGI non si manifestano assolutamente, soprattutto nella replica dei vari personaggi noti al mondo videoludico. Raccoglie il testimone di John Williams, impegnato con The Post, Alan Silvestri di Ritorno al Futuro, Avengers e Cast Away: la sua colonna sonora, unita alle tracce scelte per raccontare le varie scene (specialmente d’azione), incolleranno le vostre orecchie allo schermo, coinvolgendovi in modo più profondo e immersivo.
Overwatch, Halo, Il Gigante di Ferro, la DeLorean di ritorno al futuro, King Kong, Atari, Space Invaders: insomma, il film potrebbe sembrare a prima occhiata un’enciclopedia di citazioni. Eppure né Ernest Cline quando citava Blade Runner nell’Almanacco di Anorak, né Spielberg quando lancia a schermo un centinaio di personaggi famosi nel panorama videoludico, vengono fagocitati da questo peso: al contrario resistono al colpo, mostrando come la consapevolezza di ciò che si vuole raccontare e l’intelligenza di saperlo gestire abbiano la meglio sul resto. Quindi no, non è un film commerciale, né tantomeno un conglomerato di citazionismo: è un film fedele al suo autore, al suo concept originale, e al mondo che racconta.
Piccolo excursus va fatto per il discorso videogiochi: Ready Player One è il miglior film moderno ad omaggiare i tanto amati videogames: ne fa un vanto, regolando bene però l’asticella tra realtà e fantasia. Il mondo reale odierno è fatto di eccessi, e Spielberg lo sottolinea costantemente, ricordando alle persone quali sono i valori da mantenere vivi nel proprio essere, siano essi vissuti nel mondo reale oppure nel mondo virtuale.