Mute – Recensione del film Netflix di Duncan Jones

Marco Crippa
Di Marco Crippa Recensioni Lettura da 6 minuti
6.5
Mute

Berlino, 2052, un futuro distopico corredato da luci al neon, impianti cibernetici e sexy robot: ecco l’ambientazione di Mute, il nuovo noir fantascientifico targato Netflix creato da Duncan Jones. Il famoso regista dopo aver dato vita nel 2009 a Moon, pluripremiato dalla critica, e a una serie di altre pellicole decisamente più discusse, si mette nuovamente alla prova, e questa volta lo fa con un cast di tutto rispetto: a fare da protagonisti sono infatti Alexander Skarsgård, Paul Rudd e Justin Theroux. Il promettente figlio di David Bowie sarà riuscito con questa pellicola a tornare sotto le luci della ribalta? Scopriamolo assieme.Mute

Un Amish nel futuro

Mute inizia con un tragico incidente: un ragazzino Amish, cadendo da un motoscafo, si lacera il collo e, per via di questa menomazione, perde la possibilità di parlare. Solo un intervento cibernetico alla laringe potrebbe aiutarlo a recuperare la parola, ma essendo Amish, e quindi contrari al progresso tecnologico, i genitori decidono di non operare il figlio lasciandolo dunque menomato per il resto della vita, nella speranza che Dio lo aiuti.Mute

La trama fa poi un brusco salto in avanti nel tempo, spostandosi di ben 30 anni nel futuro, in una Berlino distopica caratterizzata da un fortissimo sviluppo tecnologico, dove a immigrare, spesso e volentieri clandestinamente, sono gli statunitensi. Da qui, la storia si dirama in due filoni separati che, più avanti nel film, si ricongiungeranno, fino a scontrarsi violentemente. Da una parte Leo Bailer (Alexander Skarsgård), il ragazzino Amish delle prime scene ormai adulto, che intrattiene una relazione quasi platonica con Naadirah, giovane ragazza avvolta da una coltre di mistero; tutto procede per il meglio tra i due finché la donna sparisce improvvisamente, spingendo così Leo a investigare per ritrovarla. Dall’altra parte invece Cactus Bill (Paul Rudd) e Duck Teddington (Justin Theroux), due chirurghi americani al soldo della malavita che, cercano di guadagnarsi i favori del boss per poter ottenere un passaporto valido e andarsene così da Berlino.Mute

Distopia alla tedesca

Mute è un diamante grezzo ancora da lavorare. Jones sembra non aver ben chiaro il focus del film e proprio per questo la trama va un po’ alla deriva: la pellicola è infatti forzatamente lunga e diluisce la storia con elementi fini a sé stessi, tralasciando elementi essenziali alla buona riuscita del film. Già nel suo esordio, Mute confonde lo spettatore mettendolo di fronte a una situazione poco chiara. Il pubblico è portato a credere che Leo e i suoi genitori facciano parte del Vecchio Ordine Amish (branca largamente diffusa in America e Canada, contraria all’utilizzo di mezzi motorizzati) e questo lo pone di fronte a una contraddizione, poiché non viene spiegato né dove si svolgono gli avvenimenti, né perché il bambino si trovi su un piccolo motoscafo. Inoltre, se da una parte il barista muto svolge egregiamente il suo ruolo di eroe ordinario, ultimo baluardo dell’autenticità in un mondo ormai artificiale, i due chirurghi americani non riescono a imporsi fino in fondo come villain, sviluppando tra loro un rapporto un po’ ambiguo e lasciando credere allo spettatore, per buona parte del film, che forse non sono veramente loro gli anti-eroi, ma sono semplicemente delle vittime del sistema.Mute

Bisogna dare però il merito a Jones per altri aspetti del film: infatti durante la ricerca della sua amata, Leo Bailer si scontra fortemente sia con la tecnologia, sia con i valori morali imposti dalla sua religione. Spesso il barista si troverà in difficoltà davanti a un progresso tecnologico troppo avanzato che, a favore della massa, dimentica le esigenze delle minoranze. Anche le sue convinzioni religiose verranno meno di fronte al suo amore per Naadirah: proprio per lei il giovane Amish lavora in uno strip club e, quando scompare, mette da parte le sue avversioni per la tecnologia e per i mezzi a motore pur di ritrovarla. Piccoli spunti che, a patto di dare per assodate alcuni informazioni, riescono a conferire comunque un senso alla trama.

In conclusione

Fatte tutte queste premesse è ora giunto il momento di tirare le somme, valutando finalmente questo film. Duncan Jones ha detto più volte che Mute rappresenta per lui il sequel spirituale di Moon, ma sfortunatamente a legare le due pellicole vi è soltanto lo stesso universo narrativo. Viene quindi da sé che tutti coloro che si aspettavano un nuovo Moon resteranno delusi da quest’ultimo film. Gli spettatori che invece si soffermeranno un attimo e si prenderanno la briga di scindere le due opere, troveranno in Mute un buon film, forse un po’ scontato e sicuramente lontano dall’essere perfetto, ma comunque degno di essere visto.

Mute
6.5
Voto 6.5
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Il mio debutto nel mondo videoludico inizia verso la fine del 1990 con un bellissimo Commodore 64. Negli anni a venire sono passato da una console all'altra senza mai sdegnare il mio amato PC, ma senza amarne mai una in particolare. Non sono tipo da console war, io compro la piattaforma in base alle sue esclusive così da non dovermene mai pentire.