Non capita spesso che due titoli nati più di vent’anni fa tornino a imporsi con la forza e la dignità dei classici. Eppure Yakuza Kiwami e Yakuza Kiwami 2, nella loro nuova incarnazione su Nintendo Switch 2, riescono in un’impresa che molti avrebbero definito impossibile: riportare la saga di Ryu Ga Gotoku Studio in primo piano, senza apparire come una semplice operazione nostalgica. Il risultato è una doppia esperienza che non si limita a riproporre i fasti del passato, ma li rilegge con la consapevolezza del presente.
La prima cosa che colpisce di queste edizioni è la loro sobria solidità. Non ci sono fuochi d’artificio, non c’è l’arroganza di chi pretende di reinventare qualcosa che funzionava già alla perfezione. C’è, invece, un lavoro preciso, pulito, rispettoso: un porting tecnico curato, una localizzazione finalmente in italiano, e la sensazione di ritrovare un mondo vivo, ancora pulsante, che non ha perso il suo fascino nonostante il tempo.

Kamurochō oggi come ieri
Yakuza Kiwami apre le danze con un racconto che non ha bisogno di presentazioni: Kiryu Kazuma, giovane promessa della famiglia Dojima, finisce in prigione per un delitto che non ha commesso, sacrificandosi per salvare un amico. Dieci anni dopo, il Giappone è cambiato, Kamurochō è cambiata, e lui stesso non è più lo stesso uomo. Tornato in libertà, scopre che il mondo che conosceva non esiste più: il clan Tojo è nel caos, l’onore è merce rara, e la sua stessa reputazione è un’arma spuntata. È un viaggio di redenzione e violenza, di lealtà e di perdita, raccontato con una sincerità che pochi giochi moderni riescono a eguagliare.
Con Yakuza Kiwami 2, la scala si allarga. Kiryu è ormai fuori dalla yakuza, ma non per questo libero. Quando una guerra tra clan minaccia di far collassare l’equilibrio tra la famiglia Tojo e l’Alleanza Omi, il Drago di Dojima è costretto a tornare in scena. Qui entra in gioco Ryuji Goda, il “Drago di Kansai”, un antagonista carismatico e tragico, specchio perfetto del protagonista. Tra i due non c’è solo rivalità: c’è filosofia, orgoglio, un confronto di epoche e ideali. Kiwami 2 diventa così un duello tra due generazioni di criminali, tra il vecchio codice dell’onore e il cinismo di una nuova era.
Tecnicamente, la differenza tra i due giochi è notevole. Kiwami riprende le fondamenta del primo capitolo, mantenendo la struttura più classica e meno raffinata. Il sistema di combattimento è comunque solido, con quattro stili differenti che permettono approcci diversificati, ma la rigidità del ritmo si sente. Kiwami 2, invece, sfrutta appieno il Dragon Engine: i combattimenti sono fluidi, viscerali, le animazioni più naturali e gli ambienti decisamente più dettagliati. Il passaggio da un titolo all’altro fa quasi effetto generazionale, e non è un caso che il secondo venga percepito come il punto di svolta della serie.
Un nuovo volto per Switch 2
Nintendo Switch 2 gestisce entrambi i giochi con sorprendente disinvoltura. La resa grafica, pur inferiore rispetto alle versioni PlayStation o PC, rimane pulita e coerente. Il frame rate è stabile, le texture non collassano, e i tempi di caricamento sono più rapidi del previsto. L’esperienza in mobilità, poi, è un valore aggiunto che pesa: Kamurochō da giocare nel silenzio di una notte qualunque, con le cuffie nelle orecchie e il mondo fuori che scompare, è qualcosa che solo una console portatile può regalare.
La localizzazione italiana merita un paragrafo a parte. Dopo anni di traduzioni incerte o assenti, trovarsi davanti a dialoghi tradotti con attenzione è quasi commovente. Yakuza è una saga di parole, di sfumature, di codici morali: non basta un inglese scolastico per coglierne la profondità. Sentire la storia di Kiryu nella propria lingua è un valore aggiunto enorme, che rende l’esperienza più immediata, più emotiva, più nostra.
A livello contenutistico, i due titoli non si discostano molto dalle edizioni precedenti. Non ci sono extra significativi, nuove missioni o finali alternativi. Si tratta, in sostanza, di versioni definitive ma non arricchite. E questo è forse il loro unico, grande limite. Non ci sono nuovi filmati o contenuti per chi ha già vissuto queste storie.

Detto questo, i minigiochi, le missioni secondarie e le follie tipiche della serie restano intatte. Dal karaoke ai tornei clandestini, dalle hostess ai quiz televisivi, tutto contribuisce a costruire un universo coerente, dove la tragedia convive con il grottesco. È il marchio di fabbrica della serie: la capacità di alternare la drammaticità più intensa a situazioni talmente assurde da strappare un sorriso sincero. E anche questo, nel panorama odierno, è un piccolo miracolo.
Sul piano narrativo, entrambe le storie reggono ancora benissimo. Il primo Yakuza è più lineare, quasi teatrale, mentre il secondo adotta una costruzione più cinematografica. La regia dei filmati, la recitazione, la cura dei dettagli nelle espressioni rendono Kiwami 2 un’esperienza più matura e moderna. E quando i due draghi si affrontano, la tensione è palpabile, degna dei migliori thriller giapponesi.
Kiryu Kazuma è tornato!
Difficile trovare oggi un’altra serie capace di parlare così tanto dell’uomo dietro la maschera del criminale. Yakuza è, da sempre, un’epopea morale: racconta la violenza, sì, ma anche la solitudine, il sacrificio, la ricerca di un posto nel mondo. In un’epoca in cui molti giochi puntano alla superficialità dell’impatto, questi due capitoli ricordano che un pugno può valere quanto una poesia, se dietro c’è una motivazione vera.

In conclusione, Yakuza Kiwami e Kiwami 2 su Nintendo Switch 2 rappresentano un ritorno riuscito. Non rivoluzionano nulla, ma consolidano tutto. Sono due colonne portanti della saga, due storie da vivere o rivivere con lo stesso rispetto che si deve a un classico letterario. Per chi non le ha mai affrontate, è un acquisto quasi obbligato. Per chi invece conosce già Kamurochō come il palmo della propria mano, resta la bellezza del ritrovarla ancora viva, familiare e irresistibile.
SEGA, forse, poteva osare di più. Ma a volte basta fare le cose bene. E qui, tutto funziona. Il porting è solido, la localizzazione italiana è una conquista, e la magia della serie è intatta. Kamurochō continua a brillare, e Kiryu Kazuma continua a camminare sotto quelle luci con la stessa malinconia e la stessa fierezza di sempre.
