John Wick 3 – Parabellum – Recensione del nuovo film con Keanu Reeves

Emanuele Massetti
Di Emanuele Massetti Recensioni Lettura da 12 minuti
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John Wick 3 - Parabellum

La rabbia del cielo flagella New York. I tuoni riecheggiano, mentre una pioggia squisitamente noir imperversa. Gli acidi colori delle luci al neon disegnano i quartieri della città, mentre una figura ansimante corre a perdifiato dal fondo della strada. È stanco, claudicante, ma non accenna a fermarsi. In John Wick 3 – Parabellum il protagonista fugge dalla sua stessa gente: tutti i sicari della città lo vogliono morto. Ma Baba Yaga è duro da uccidere. “Se vuoi la pace, prepara la guerra” è la locuzione latina riferita a Parabellum, ovvero l’epiteto utilizzato per identificare specifiche pallottole prodotte da un’azienda tedesca. Ed è appunto la guerra che si appresta a fare John, imbarcandosi in un viaggio da reietto, ormai scomunicato dalla sua stessa congrega. Lo avevamo lasciato così il nostro: nel secondo capitolo aveva fatto fuori il boss Santino D’antonio (Scamarcio in trasferta americana) violando le regole della congrega dei sicari che non tollerano che si sparga sangue in un territorio neutrale come quello dell’hotel Continental.

A seguito della scomunica e dell’enorme taglia sulla sua testa, tutta la città lo vuole morto. L’eredità che porta dietro di sé un nome come “John” non è facile, ce lo insegnano Rambo o McClane: brutti passati che ritornano, disillusione, famiglie scassate, leggera inclinazione all’istinto omicida; ma se poi di cognome fai anche “Wick”, allora lasci dietro di te la solita “prevedibile” sequela di morti ammazzati (male) cercando di trovare un po’ di pace. Ma sappiamo tutti che gli sceneggiatori non intendono fargli godere quella benedetta pensione. Come fu il caso di “Taken” con Liam Neeson, anche John Wick fu una ripartenza imprevista per una star di Hollywood che aveva visto giorni migliori. E dunque riecco Keanu Reeves riabbracciare il suo John. Un ruolo carismatico, che ha ridato lustro a quella carriera che, qualche anno fa, rischiava di rimanere appannata, probabilmente, per scelte artistiche poco brillanti. Il proseguo della saga di questo sicario che non trova pace ci porta dunque al terzo capitolo, con nuovi e sempre più difficili pretesti per farlo interagire nella sua mitologia – ormai con due capitoli alle spalle – abbastanza evoluta e che ha ampliato ulteriormente il discorso del suo stile di vita e delle sue aspirazioni.

John Wick 3 – Parabellum prova fin da subito di che pasta è fatto, svincolandosi dalla classica “maledizione da terzo capitolo” che lo vuole scialbo e depotenziato rispetto ai precedenti. Parabellum non è inferiore ai suoi precursori: più snello rispetto alle sotto-trame articolate del secondo e, per questo, più godereccio e disimpegnato ma paga probabilmente il pegno della formula reiterata che per alcuni, alla lunga, potrebbe risultare stucchevole. Un cast variegato, composto da nomi altisonanti e molti caratteristi provenienti dal “cinema di menare”. Tutto ciò, fa comprendere come non ci si possa esimere dal realizzare un film simile senza mettere in campo volti e corpi devoluti – per vocazione – ad un certo tipo di cinema. Partendo dalla nemesi principale di quest’ultimo capitolo, affidata ad un veterano del cinema action come Mark Dacascos (altro cinquantenne come Reeves) con all’attivo soprattutto la serie su “Il Corvo”, o film come “Crying Freeman” e “Il Patto dei Lupi”, passando per alcune star del cinema marziale indonesiano. Stiamo parlando di Mad Dog e Cecep Arif Rahman, già visti nei seminali “The Raid” 1 e 2 di Gareth Evans, e ormai spalmati un po dappertutto nelle produzioni americane (addirittura in Star Wars). Non poteva mancare all’appello Tiger Chen (già assistente coreografo in Matrix) dopo aver rivestito il ruolo principale in “Man of Tai Chi” diretto dallo stesso Reeves. Gli altri ruoli sono affidati, oltre ai personaggi già conosciuti nei precedenti capitoli, a nuovi volti dal nome grosso: Anjelica Huston a capo dell’ennesima tribù criminale legata al passato di John, e Halle Berry (ennesima cinquantenne), una sua vecchia conoscenza con cui ha un conto in sospeso.

Stoffa da vendere e botte senza un domani

Uno stuntman che ha cambiato punto di vista passando dietro la macchina da presa: Chad Stahelski si riconferma nuovamente al timone di regia per John Wick 3 – Parabellum. Dal primo capitolo, coadiuvato (solo per il primo) da David Leitch (passato poi per “Deadpool 2” e ora con lo spin-off di Fast and Furios in uscita: “Hobbs e Shaw”) non manca un appuntamento con l’assassino prediletto, confermandosi stoico propugnatore del titolo che maggiormente è riuscito a marcare un solco del cinema d’azione americano contemporaneo. Rivolgendo lo sguardo al panorama delle produzioni asiatiche, non ha portato solamente l’azione ad un altro livello, ma attraverso delle ottime trovate (il sottobosco della malavita con i suoi ordinamenti, la sua moneta propria, le zone franche e le regole di condotta tra colleghi) ha creato una mitologia ben specifica intorno al personaggio. Un mondo che, più avanti, andrà aldilà delle blanda vendetta familiare del primo film. Stahelski, anche in questo capitolo, dimostra tutto l’affetto che nutre per un certo tipo di cinema che ha fatto da pioniere al film d’azione moderno: Il Western. Nel film semina ogni tanto qualche ammiccamento o chiare citazioni evocative: come John che in un’armeria assembla una Colt con gli stessi movimenti e la stessa cura del personaggio di Eli Wallach in “Il Buono, Il Brutto e il Cattivo”.

John Wick – Parabellum è un orgasmo di azione e violenza continua, senza mai un attimo di tregua. Stahelski si muove con disinvoltura, creando e mettendo a punto scene d’azione di ottimo impatto, tuttavia con qualche limite che sottolineeremo successivamente. L’approccio è il tipico da yankee: Sempre più grande e sempre più spettacolare. Stahelski infarcisce questo terzo capitolo di scontri e sparatorie continue fino alla sublimazione in tre atti ben cadenzati. Un inizio di mezz’ora, dove John fugge a perdifiato per la città, incontrando sulla sua strada luoghi, più o meno congeniali, dove procacciarsi armi a ciclo continuo: la personificazione vivente di un ragazzino nel suo negozio di giocattoli prediletto. Una vecchia armeria dove fabbricarsi una pistola, una biblioteca, un negozio di pugnali dove, insieme ai nemici, rompono le vetrine e si lanciano vicendevolmente un triliardo di coltelli. Si prosegue in un maneggio, dove invita i cavalli a colpire i malcapitati di turno con le zampe posteriori (idea ripresa dal Zorro di Martin Campbell). Fugge a cavallo per le strade newyorchesi, mentre colpisce e spara su di esso come se si trovasse nel deserto dell’Almeria tanto caro a Sergio Leone. Finirà investito due volte e si rialzerà malconcio solo per dichiarare attraverso il suo sguardo sommesso: “E questa era solo la prima parte eh”. Nel mezzo abbiamo: uno scontro in moto con spade e pistole (rubacchiato da “The Villainess”, action Coreano del 2017) e in trasferta a Casablanca, insieme alla sua vecchia conoscenza Halle Berry sgomineranno l’ennesima banda di sgherri, ma questa volta con l’inedito approccio di due cani feroci che spappolano testicoli a comando. Vi basta? no? perché il lunghissimo Show Down finale vi massacrerà le cornee: riprendendo l’impalcatura del film “The Game of Death” con Bruce Lee, Stahelski si diverte a dividere il Continental a tre livelli come la pagoda di Lee, dove ad ogni piano corrisponde un nemico sempre più difficile da battere. Ci si diverte con John Wick è innegabile, e si evince una voglia sfrenata di alzare l’asticella esasperando l’azione sempre di più. Ma spesso questa esasperazione va a minare la cura e l’attenzione – non sempre doviziosa – in scene sporcate dalla Cgi invasiva o da coreografie con meccanismi ripetuti all’infinito. Sistematica carne da macello formata da sgherri che rimangono impalati per 1-2 secondi, aspettando che Reeves porti il colpo con la sua rinomata rigidità (scarso soprattutto di gambe, tirerà due calci di numero in tutto il film) assistendolo umanamente quasi fossero una sorta di velati “badanti”. Perché diciamocelo apertamente: Reeves è sempre più imbolsito e goffo (a dire il vero non è mai stato sciolto neanche ai tempi di Matrix) . Rispetto a lui “tutti” si muovono a velocità maggiore. Le coreografie, spesso memorizzate a ripetizione (con mani che rimangono in aria pochi attimi ad attendere che quel colpo arrivi proprio li, o colpi lenti a ripetizione mentre il tipo di turno attende – come fosse congelato – non reagendo realisticamente tra un colpo e l’altro) risultano dei balletti provati e riprovati che tolgono realismo e plasticità alla colluttazione. Era un po’ il tasto dolente dei due precedenti capitoli, ma si chiudeva un occhio perché  – come in questo capitolo – si sopperiva a certe debolezze con la sagacia intrinseca del personaggio per disimpegnarsi da un’azione fin troppo sopra le righe. Soprattutto in Parabellum troviamo un’ironia e uno scherno maggiori riguardo l’indebolimento o, diremmo noi, la rigidità del protagonista. I suoi avversari sono consapevoli della leggenda che lo ammanta (alcuni sono addirittura suoi fan) ma alternano sapientemente i colpi fisici con delle stoccate verbali per destabilizzarlo ulteriormente e per sottolineare ancora di più le sue carenze: “Sei lento John“.  Alla fine, questa lentezza fisica dell’attore, rientra perfettamente con la caratterizzazione intrinseca nel personaggio di John Wick che, stanco e controvoglia, sbaraglia chiunque gli si pari davanti. Chi ha alle spalle visioni continue di film su arti marziali ed action blasonati, troverà certi aspetti abbastanza ripetitivi e deludenti, mentre altri (la maggior parte del target medio di John Wick) si divertiranno ancora di più perché, in John Wick 3 – Parabellum, c’è tutto quello a cui Stahelski e Reeves ci hanno abituati, ma in veste ancora più smisurata.

John Wick 3 - Parabellum
7
Voto 7
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