L’infanzia resta, senza dubbio, uno dei momenti di massima formazione dell’essere umano. È proprio in quel periodo della vita che vengono gettate le basi dei successivi “gusti”, delle successive preferenze, nei confronti di quello che la vita ti pone davanti. Anche l’ambito videogiochi viene trascinato inevitabilmente in questa importantissima fase, muovendosi lentamente verso una iniziale definizione e percezione che il bambino può, o non può costruire. Proprio in relazione a tutto questo, restano fondamentali le primissime interazioni con questo “mondo” e con tutto quello che potrebbe offrire, sia interattivamente che passivamente. Tamarin, sviluppato da Chameleon Games, si presenta come un videogioco di questo tipo, come un titolo che vuole aprire la strada alle prime interazioni in un contesto fondamentalmente infantile, senza però impegnarsi minimamente, giungendo ad un risultato finale improponibile e sciapo.
La trama di Tamarin
Parlare di trama, con Tamarin, è piuttosto esagerato. Il titolo si sviluppa intorno a una sequenza spenta e muta di eventi che si dipartono dal principio, per poi non svilupparsi più, senza alcuna traduzione in italiano. Nella primissima scena vediamo degli insetti giganti, prevalentemente formiche, armati, in procinto di invadere, partendo da una fabbrica generica, una foresta. Questa invasione comporterà delle pesanti conseguenze, data la sua durezza, con attacchi gratuiti agli altri animali, i quali si disperderanno nel caos generale. L’obiettivo di questi insetti è quello di espandere il proprio dominio, portando il mondo di gioco ad una progressiva e generale industrializzazione inquinante. Il classico passaggio da un mondo colorato e verdeggiante, al grigio dei gas produttivi. Il protagonista, una sorta di scimmietta dalle fattezze particolari, dovrà contrastare, da sola, questa invasione, eliminando la minaccia e ristabilendo gli equilibri di pace iniziali.
Il gameplay
Parlando del gameplay, invece, Tamarin è caratterizzato da due possibilità distinte: da una parte ci troviamo davanti a un videogioco disegnato nel più classico platforming, con un personaggio che deve saltare, arrampicarsi e scontrarsi con i vari “mostri” lungo il suo cammino, ottenendo mano a mano nuove abilità e power up, dall’altra invece il titolo diventa un vero e proprio sparatutto in terza persona, con la possibilità di ottenere svariate armi, utilizzate per sterminare tutto ciò che si muove e per interagire con alcuni elementi nelle mappe. È proprio questa seconda strada a presentare più problematiche, soprattutto dal punto di vista tecnico, partendo dal mirino instabile ed impreciso, fino ad arrivare alla telecamera stessa, completamente fuori controllo nei luoghi stretti, e all’intelligenza artificiale dei nemici, abbastanza anomala. Fuso a tutto questo troviamo una pluralità di oggetti da collezionare: frutti, lucciole, denaro (strane maschere rosse). Alcuni di questi saranno fondamentali durante l’azione sia per recuperare energia, che per le munizioni, gli altri invece serviranno per proseguire nell’avventura, interagendo con alcuni personaggi che, approfittando della situazione, si faranno pagare in cambio di alcuni aiuti.
E il resto?
Dal punto di vista estetico, invece, il gioco non eccelle, presentandosi attraverso un insieme di scenari abbastanza vuoti, spogli, senza troppa originalità creativa, costruendo un impatto generale che lascia a desiderare. Questo è contraddistinto da imperfezioni gravi sia dal punto di vista paesaggistico-solido, che liquido, con alcuni chiari tentativi di spostarsi verso un’identità pseudo-favolistica, quasi onirica, senza riuscirci mai pienamente, cadendo in alcuni schematismi che anneriscono la fluidità generale, con una ripetitività che potrebbe annoiare.
Tamarin, dunque, vuole chiaramente attingere all’immaginario storico dei platform, tentando però di fondere a questo genere tutt’altre dinamiche. Questa visione, a tratti curiosa, si perde però nella noncuranza di tutto il resto, nel vuoto ripetitivo del suo mondo di gioco che, invece di valorizzarne gli intenti, lo spegne inesorabilmente.