Nel 1963 l’ italoamericano Tony “Lip” Vallelonga (Viggo Mortensen), nato e cresciuto nel Bronx, lavora come buttafuori presso il locale notturno Copacabana a New York, frequentato da personalità di spicco e boss malavitosi. Quando il club chiude temporaneamente, Tony si trova senza un lavoro con cui mantenere la propria famiglia. Destino vuole che il sofisticato pianista afroamericano Donald “Doc” Shirley (Mahershala Ali) sia alla ricerca di un autista/bodyguard che lo accompagni in una tournée di due mesi negli stati del “profondo sud” degli Stati Uniti, dove violenze e umiliazioni nei confronti della comunità nera sono all’ordine del giorno. Nonostante le loro differenze e gli iniziali contrasti, il viaggio sarà un esperienza rivelatrice per entrambi e l’inizio di una grande amicizia.
L’attore, regista e sceneggiatore Nick Vallelonga, figlio di Tony, è cresciuto ascoltando le storie di suo padre e quella del suo viaggio insieme a Doc Shriley era la sua preferita. “Potrei fare 50 film su mio padre, dice Vallelonga, era uno di quei personaggi esagerati che quando entrava in una stanza si notava che era lì. Questa storia faceva parte della tradizione di famiglia, il racconto di due persone completamente diverse che sono arrivate a cambiare reciprocamente la propria vita e il modo in cui guardavano le persone. E’ una storia edificante e potente tanto ieri come oggi.”
Quella storia è poi diventata un film, Green Book, lungometraggio di apertura del Toronto Film Festival (dove ha vinto il Premio del Pubblico) diretto da Peter Fallery (Scemo+Scemo, Tutti Pazzi per Mary) e scritto da Valleolonga insieme al regista e al collega e amico Brian Currie. La punta di diamante del film sono senza dubbio le performances dei due protagonisti, complementari e opposte, che raccontano con cuore e profondità le fasi di un’amicizia tra due persone che non potrebbero essere più differenti l’una dall’altra: Tony è un uomo diseducato che è cresciuto in strada, dove ha acquisito il dono della parlantina e un naturale carisma, un gentiluomo povero di linguaggio; Doc è un enfant prodige della musica ( il grande Stravinskij dirà del suo virtuoso “è degno degli dei” nda) elegante, acculturato, raffinato nei modi, che però non sa chi è realmente con la sua musica (quella classica) che cozza con il colore della sua pelle.
Recentemente è uscito un bell’articolo intitolato “Viggo Mortensen non è solo Aragorn”, e ciò non potrebbe essere più vero che nel lavoro fatto dall’attore per il personaggio di Tony: negli occhi, nelle movenze, nei duri cazzotti assestati (pochi eh, solo quando necessari) c’è tutto il background di un personaggio larger than life, capace di trovare soluzioni a situazioni pericolose con estrema rapidità, consapevole per esperienza chi/cosa evitare e come. Il premio Oscar per Moonlight (2016) Mahershala Ali, dal canto suo, entra con grazia nelle pieghe di un personaggio difficile, pubblicamente determinato e geniale, ma in realtà solo e confuso sulla propria identità. C’è un rapporto di reciproco sostegno tra Tony e Doc che funziona perfettamente: da un lato Doc aiuta a elevare Tony dalla sua pigrizia culturale e intellettuale, dall’ altro Tony tiene d’occhio Doc, lo assiste in situazioni che la sua auto-reclusione nel bell’ appartamento sopra Carnegie Hall gli ha concesso di evitare, sporcandosi le mani quando necessario.
Il regista Peter Fallery, alla sua prima svolta creativa, lavora per esclusione, ottimizza i tanti episodi della storia di Tony Lip e i dialoghi passano dal comico di fabbrica al dramma con sorprendente efficacia, facendo evitare al film di essere didascalico o pedantesco. Green Book è un film sorprendente, in perfetto equilibrio tra drammatico e commedia, che qualora venisse escluso dalla prossima award season sarebbe una vera ingiustizia.