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Project Zero: Maiden of Black Water – Recensione, un horror poco fotogenico

È indubbio che il genere horror abbia sempre goduto di un fascino a suo modo unico nell’industria videoludica. Al pubblico piace spaventarsi, piace provare quello sprezzante senso d’ansia e angoscia che ci pervade nel mentre che ci si muove in uno stretto e oscuro corridoio, incerti di ciò che ci attenderà da lì a pochi passi. Da Silent Hill a Resident Evil, per poi arrivare a Dead Space e Alone in the Dark, sono innumerevoli i nomi di brand rimasti impressi nella mente del popolo videoludico, eppure sono innumerevoli le IP meno conosciute che comunque hanno saputo in qualche modo catturare l’interesse di nicchie d’appassionati. Tra queste, figura in particolare Fatal Frame (divenuto Project Zero in Occidente), serie di titoli dal gusto spiccatamente orientale basata sull’idea che le macchine fotografiche possano imprimere su pellicola l’immagine di fantasmi che non hanno mai abbandonato il mondo dei vivi. Partendo da questa premessa, la creatura targata Koei Tecmo ha continuato a terrorizzare gli appassionati fino al 2014, ovvero fino a quando non abbiamo visto il sopraggiungere di Maiden of Black Water in esclusiva su WiiU. Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia e se da una parte alcuni pensavano che l’IP fosse definitivamente morta, altri erano sicuri di un suo ritorno. Ebbene, a ben sette anni dall’ultima release, la compagnia nipponica ha risposto alle preghiere dei fan confermando ufficialmente che Project Zero: Maiden of Black Water sarebbe tornato grazie a una versione rimasterizzata, che abbiamo potuto toccare con mano e di cui vi parleremo in questa nostra recensione. L’epopea di Koei Tecmo avrà retto il peso degli anni?

Cacciatori di fantasmi

Sono innumerevoli le zone del Giappone rinomate per le proprie “spettrali” peculiarità, ma fra tutte spicca in particolare la tristemente nota “foresta dei suicidi” di Aokigahara, lì dove molte persone hanno deciso di togliersi la vita. Proprio il tema del suicidio rappresenta la base su cui poggeranno le vicende di Project Zero: Maiden of Black Water, le quali narreranno le gesta dei tre personaggi che controlleremo in-game.

Nello specifico, l’avventura ci farà vivere la lugubre storia di Yuri Kozukata, ragazza ritrovatasi in bilico tra la vita e la morte dopo aver tentato il suicidio, venendo salvata all’ultimo dalla proprietaria di un negozio d’antiquariato in possesso della Camera Obscura (sì, proprio la camera che permette di percepire i fantasmi invisibili all’occhio umano e fotografarli al fine ultimo di fargli compiere il “grande salto”), Ren Hojo, scrittore dedito allo studio delle leggende legate proprio al mondo degli spiriti, e Miu Hinasaki, misteriosa ragazzina di cui inizialmente sapremo molto poco.

Tutte e tre le storie si intrecceranno velocemente tra loro sul Monte Hikami, luogo che si dice sia infestato dagli spettri e che al calar del Sole permette ai vivi di percepire la presenza dei morti. Non abbiamo intenzione di fare alcuno spoiler sulla narrativa del gioco – che pur essendo uscito molti anni fa, siamo abbastanza sicuri avranno provato con mano in pochissimi qui in Italia), ma teniamo a specificare che la sceneggiatura ha saputo farsi valere, riuscendo a porre sul piatto un susseguirsi di vicende affascinanti, personaggi ben scritti e qualche colpo di scena ben riuscito, il tutto affiancato poi da finali multipli che verranno presentandosi a seconda delle nostre azioni in-game, potenzialmente arricchendo non di poco una longevità già di base più che soddisfacente. Nota di merito anche per l’ambientazione, che in accoppiata con qualche raro ma perfettamente riuscito jumpscare ha saputo restituire splendidamente quel senso di spaesamento e inquietudine che non sempre le produzioni horror sono in grado d’offrire.

Il peso degli anni

Sotto un punto di vista spiccatamente ludico, è impossibile non denotare come la produzione non sia cambiata di una virgola rispetto alla struttura (già legnosa) che caratterizzava l’opera originale, con un senso non voluta pesantezza che c’infastidirà nel corso di tutta l’avventura. Fulcro dell’intera esperienza – identificabile come un classico survival horror in terza persona – è ovviamente la Camera Obscura, unica “arma” che potremo utilizzare per difenderci dai numerosi spettri che tenteranno di portarci all’altro mondo. Per questa recensione abbiamo esplorato dettagliatamente la versione PlayStation 5 di Project Zero: Maiden of Black Water, e in questo caso specifico l’uso della Camera Obscura fa affidamento sui tasti del Dualsense in accoppiata con il giroscopio per offrire una maggior precisione durante i combattimenti.

Una volta impugnata la nostra fidata Camera infatti, la visuale passerà in prima persona e potremo mirare contro i vari spiriti che ci si pareranno innanzi; una volta nell’inquadratura, potremo quindi scattare foto utili per indebolire i nemici e ottenere nel mentre energia che ci permetterà di lanciare un colpo particolarmente potente sotto forma di fotografia “speciale”, denominata Fatal Frame.

Project Zero: Maiden of Black Water recensione

A condire il tutto troveremo poi vari potenziamenti per la nostra arma impropria acquistabili usando i punti ottenuti ad ogni livello, tra nuove lenti, varie pellicole fotografiche e azioni speciali legate ai tre personaggi che ci semplificheranno la vita durante gli scontri, comunque sempre capaci di offrire una buona sfida. A chiudere il cerchio ci pensano vari enigmi ambientali che andranno ad arricchire e variegare il gameplay, piacevoli extra che purtroppo cozzano con una ripetitività delle ambientazioni a tratti disarmante, appesantite da un costante backtracking che rallenterà ancora di più il gioco.

Sfortunatamente, anche sotto il profilo tecnico Project Zero: Maiden of Black Water non brilla, soffrendo per mancanze che in una remastered non possono essere ignorate. Scenari spogli, texture in bassa risoluzione e un arretrato sistema d’illuminazione si scontrano con l’introduzione dei 60 FPS e modelli poligonali dei personaggi arricchiti di vari dettagli che ne migliorano sensibilmente l’aspetto generale. Ben più riuscito si è rivelato essere il comparto sonoro, caratterizzato da un’ottima campionatura dei suoni ambientali (o più propriamente spettrali) e da un doppiaggio d’ottimo livello sia in inglese che in giapponese. Detto questo, il gioco non presenta purtroppo alcuna localizzazione dei testi in italiano, mancanza che potrebbe complicare la vita a molti videogiocatori.

Project Zero: Maiden of Black Water

7

Project Zero: Maiden of Black Water è un titolo che possiede indubbiamente un certo fascino, figlio di un mood e uno stile tipicamente nipponico che incuriosisce e intriga. Il gioco appare solido sia sotto il profilo narrativo che ludico, ma soffre per alcune scelte di design non particolarmente riuscite e per un estenuante backtracking che appesantirà parecchio l’esperienza, soprattutto dalla seconda metà dell’avventura. Inoltre, pur parlando di una remastered, avremmo sperato di poter vedere qualche miglioramento tecnico in più, ma a quanto pare il team di sviluppo si è limitato a un compitino svolto senza neanche troppo voglia, un lavoro tutt’altro che entusiasmante ma fortunatamente accompagnato da un comparto audio realizzato con grande cura. Peccato solo per l’assenza di qualsivoglia localizzazione in italiano.

Luca Di Carlo
Cresciuto a suon di videogiochi, cartoni animati e fumetti, ho potuto godere di un infanzia interamente basata sulla creazione del nerd per antonomasia, sempre intento ad affrontare sane partite videoludiche e alla costante ricerca di tutto il comprabile da poter mettere in bella vista su qualche mensola. Essendo poi anche un grande casanova, ho scoperto il mio primo vero amore dopo aver attaccato la spina della mia Playstation 1, ma non preoccupatevi Microsoft e Nintendo, nel mio cuore vi è spazio anche per voi.

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