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PlayStation Plus e Xbox Game Pass: il fast food del gaming è qui?

PlayStation Plus è sulla bocca di tutti dopo che Sony ha deciso di rivelare al globo la sua “nuova” creatura: sì, utilizzo le virgolette perché nei fatti l’abbonamento offerto dalla casa nipponica che (diciamocelo pure apertamente) in molti si aspettavano fosse una sorta di copia/incolla del servizio Xbox Game Pass di casa Microsoft, in realtà accorpa le due soluzioni di PlayStation Now e PS Plus appunto, offrendo poi un terzo livello d’abbonamento che garantisce qualche piccolo extra (e vorrei vedere dato il costo non proprio amichevole, si parla di €119,99 per l’annuale).

Battaglia dei prezzi a parte, mi sono interrogato su se questi servizi abbiano davvero senso: osservando le reazioni degli utenti presenti sui vari social network, come gruppi Facebook, chat Telegram, pagine Instagram e diversi content creator del mondo di YouTube e Tik Tok mi sono reso conto di una cosa: perfino il mondo videoludico si è trasformato in “McDonald’s o Burger King”.

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Intendiamoci bene: io adoro McDonald’s e Burger King, ci ho perfino lavorato da giovanissimo ed è stata un’ottima esperienza, per cui il paragone di cui sopra va letto con le dovute considerazioni. Sebbene la filiera dei ristoranti fast-food sia rinomata per affluenza e stile, è innegabile che un qualsiasi italiano che si rispetti prediliga una cucina da ristorante standard (o stellato, perché no) dato che vantiamo i migliori chef del mondo.

Tornando a PlayStation Plus ed Xbox Game Pass, questi oggi si contendono a suon di offerte un mercato in forte espansione. Parliamo fuori dai denti: hanno davvero senso questi servizi? Beh da un lato sembrano molto richiesti e i giocatori si “scannano” sui social per difendere i loro prodotti preferiti (si è passati dalla console war alla service war?), alcuni inneggiano a repentini cambi di bandiera e di quanto si stia meglio sull’altro lato del fiume. Per cui, in un certo senso la risposta alla domanda è “sì, i servizi in abbonamento hanno senso in quanto c’è richiesta”, ma paradossalmente quello che leggo online smentisce sé stesso.

Mi spiego, da recenti ricerche internazionali e nazionali emerge che in media i giocatori che completano un titolo sono solo il 35%, percentuale che si alza leggermente se si considerano anche i giocatori PC (che di fatto sono giocatori del Microsoft cosmo):

Game Tutorial completed  Story completed Story completed as % of Tutorial completed
Overcooked 79.9 8 10.0
Shadow of War 65.7 14.3 21.8
Overcooked 2 86 19.8 23.0
Dark Souls 3 92.9 23.2 25.0
Wolfenstein: Youngblood 77.6 28.4 36.6
Hitman 2 42.5 16 37.6
Hitman 57.4 22.5 39.2
Sniper Elite 4 73.3 29.5 40.2
Shadow of Mordor 88.5 36.3 41.0
Dishonored 2 91.1 37.9 41.6
Arkham Knight 88 38.6 43.9
Arkham Asylum 69.2 30.7 44.4
Arkham City 84.9 40.8 48.1
Dishonored 85.4 41.1 48.1
Arkham Origins 81.8 40 48.9
Wolfenstein New Colossus 93.9 50.6 53.9
CoD WWII 78.3 44.9 57.3
CoD BlOps 69.9 42.3 60.5
Wolfenstein: Old Blood 94 57.4 61.1
Wolfenstein: New Order 76 46.8 61.6
CoD MW3 85.6 55.1 64.4
CoD MW2 64.6 48.5 75.1

Seguendo la fonte interazionale da cui ho gentilmente preso in prestito la tabella, possiamo dire che di base i videogiochi non vengono quasi mai finiti, o meglio, se aveste nove amici videogiocatori e voi foste il decimo, probabilmente solo quattro di voi arrivano veramente alla fine di un gioco. Questo ci riporta alla domanda iniziale: che senso ha spendere €119,99 all’anno (nel caso di Sony) per avere accesso ad una libreria di 400 (teorici) titoli se poi se ne completeranno davvero forse due o tre?

Inoltre vi chiedo: quanti di voi potrebbero giurare che si metterebbero a giocare ad un gioco uscito dieci, quindici o addirittura venti e rotti anni fa con la stessa intensità con la quale affronta oggi un Elden Ring, un Horizon: Forbidden West o Gran Turismo 7? Siamo onesti: ben pochi lo farebbero, e per quanto io sia un eterno nostalgico e più invecchio e più scopro una sconfinata passione per i giochi “old style” (come Hollow Knight di cui vi consiglio la recensione) non mi metterei di certo a giocare Tomb Raider II o Soul Reaver facendoli girare su PlayStation 5 con un TV OLED che mi permetterebbe di contare (letteralmente) i pixel.

Non c’è nulla di male nel godersi del sano retrogaming, sia chiaro anzi, per molti è un’ossessione spasmodica che sfocia nel collezionismo più sfrenato e questo lo capisco: cercare i giochi, passare ore ed ore sui mercatini online o in giro per il paese durante le fiere, imparare come si riconosce uno stato “tripla A” da un “doppia B” e confrontarsi con altri appassionati, è sano e divertente.

Recentemente un ragazzo nordamericano ha vinto il Guinness World Record per la collezione di videogiochi più vasta del mondo, si stima che valga $1,6 Milioni (vi propongo il video poco sopra n.d.r.). Ebbene, spiegatemi ora che effetto vi farebbe se lui volesse mostrarvi la sua collezione privata digitale: come farebbe? Vi farebbe vedere una quantità enorme di server che contengono i file dei suoi videogiochi? Vagonate di HDD numerati? Possedere giochi digitali è come possedere degli NFT (Non Fungible Token) e definirsi un collezionista di opere d’arte, opere di cui chiunque potrebbe fare screenshot e utilizzare, magari stampandola e mettendola in una cornice. Cosa penserebbe Vincent Van Gogh di questa forma d’arte? Probabilmente si caverebbe gli occhi questa volta, e non l’orecchio.

PlayStation Plus e Xbox Game Pass offrono un divertimento mordi e fuggi dunque, dove non conta davvero il sapore ma solo la buccia, dove è sufficiente premere scarica per poter dire agli amici di aver giocato il gioco del minuto che, molto probabilmente, domani sarà dimenticato. Si rischia di perdere il senso dell’attesa e della fruizione in quanto ricerca del prodotto che una persona desidera, si rischia l’effetto Netflix ovvero quel comportamento che affligge i servizi di visione in streaming, dove in molti non arrivano alla fine di un prodotto o lo abbandonano a metà – nel caso di una serie TV – perché bombardati ed attratti dalla novità dell’ultimo minuto. Stiamo andando verso una direzione che dal mio punto di vista offre tante opportunità e spaventosi svantaggi di cui dovremmo tenere conto: in buona sostanza, finché esisteranno e resisteranno console con il lettore ottico avremo una possibilità o un’alternativa, quando questo non avverrà più, io sarò lì a biasimarvi dicendovi “ve l’avevo detto!”… ma forse dovremmo biasimare solo noi stessi e la nostra cupidigia.

Tiziano Sbrozzi
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.

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