La fiaba di Collodi, recentemente al centro della storia moderna grazie anche all’adattamento live action a cura di Disney, torna sul grande schermo con una storia nuova che non avete mai nemmeno sognato. Pinocchio di Guillermo del Toro è una storia moderna, che profuma d’Italia con quel sentore di legno di pino, antico e primordiale, che si respira nelle campagne toscane. Una fiaba senza tempo, vista con gli occhi di chi ha da sempre una visione personale del mondo che lo circonda.
Dalla pigna a Pinocchio
Geppetto è un uomo che vive in Italia, in una provincia toscana alla fine del 1800 ed ha un figlio che è tutto il suo mondo: Carlo, un ragazzo ubbidiente e pieno di buoni propositi, pronto a divenire un falegname come suo padre. Sfortunatamente la prima Guerra Mondiale colpisce il paese di Geppetto, quasi per errore, e il povero Carlo ne paga il prezzo. Fu così che accanto alla tomba del giovane, il falegname piantò il seme che fece uscire l’albero di pino da cui, in una notte di disperazione, ebbro d’alcol, Geppetto costruì Pinocchio ad immagine e somiglianza del giovane Carlo, cercando di dare sollievo a se stesso.
Quella stessa notte uno spirito benevolo diede la vita a Pinocchio, il quale si ritrovò ad essere un compagno di vita per Geppetto e Sebastian, il Grillo parlante che nel frattempo aveva preso “casa” all’interno del cuore di Pinocchio, sezione dell’albero da cui è stato ricavato il piccolo miracolo di legno. Sono passati gli anni dalla dipartita di Carlo, e l’Italia vive in un’egemonia Fascista dove il Duce è riprodotto su poster affissi per tutta la città al grido di Credere, Obbedire e Combattere.
Pinocchio viene accolto in maniera piuttosto rocambolesca dalle persone, che lo vedono come un maleficio, fino al Potestà Fascista che invece vede nel ragazzino un elemento da mettere al servizio della Patria. Giunge in città il circo itinerante del Sig. Volpe il quale con l’inganno costringe Pinocchio a diventare la stella del suo spettacolo. Da qui in poi non vi diremo altro circa la trama, anche se possiamo dirvi che, nei fatti che seguono l’avvento di Pinocchio nella sua carriera “artistica”, Guillermo Del Toro dà il meglio di sé, dipingendo un’Italia realistica e cruda, un’epoca controversa della nostra storia che non viene giudicata dall’esterno, quanto piuttosto messa in dubbio.
Duce o Dolce?
Pinocchio vive una vita molto particolare e intensa: da un lato il ragazzino cresce in fretta, affrontando tutte le tematiche di un bambino che giunge all’adolescenza e capisce i bisogni del padre, sebbene il rapporto con Geppetto non sia stato sempre rose e fiori, anzi, tutt’altro. Nel film mancano alcuni personaggi che abbiamo imparato a conoscere nelle varie trasposizioni, come Cleo il pesciolino rosso o Figaro il gatto nero di Geppetto, anche altri ci sono e faranno parte della vita di Pinocchio, sebbene siano descritti e vissuti in maniera completamente diversa da come li conosciamo: Lucignolo ad esempio è il figlio del Potestà Fascista (una sorta di sindaco del paese) e vivrà un’avventura con il protagonista, diversa da quella che sareste propensi ad immaginare.
Mangiafuoco ad esempio non c’è in questa versione alternativa della favola di Collodi, ma la sua assenza è riassunta dal Signor Volpe che si comporta come l’unione dei due personaggi che siamo abituati a conoscere. Nel film Pinocchio è l’unico personaggio che non riesce a dire la parola “Duce”, ma la sostituisce con “Il Dolce”: questo dettaglio, per quanto banale, comporta dei risvolti e delle prese di coscienza da parte del nostro piccolo eroe di legno, che non possono fare a meno di ispirare passione e dubbio nella mente dello spettatore.
L’intero film ha una trama che, sebbene abbia delle similitudini con ciò che culturalmente conosciamo, impiega poco a farci comprendere che lo svolgimento e il messaggio di fondo sono completamente diversi da quelli della fiaba originale. Realizzato con le più moderne tecniche di Stop-Motion, il film Pinocchio di Guillermo del Toro è un’opera maestosa, personale e vibrante quanto più si possa immaginare, realizzata con dettagli talmente elevati che da farci dimenticare la tecnica di sviluppo, portandoci piuttosto ad immaginare una computer grafica, tanta è la perfezione stilistica che il film porta con sé.
Vino e cantucci
Pinocchio di Guillermo del Toro è come un tramonto toscano mentre il sole ti accarezza il viso in quel di fine ottobre, e mentre la brezza ti fredda quel tanto che basta per rendere corretto bere un bicchiere di rosso accompagnato dai cantucci fatti a mano. È un film vivo, vibrante di colori, suoni e luci, e sebbene ci sia quel leggero senso di “so già come andranno le cose“, proprio come per quel tramonto, per quante volte lo si guardi, ci saranno sempre dettagli ed elementi differenti che faranno esclamare “ne è valsa la pena”. Come ogni bicchiere di vino ha le sue sfumature, questa storia ha tratti e personalità da vendere, cruda per certi versi e forte nei messaggi che comunica: idee di speranza, sogni talvolta realizzati e talvolta infranti, crescita, e la capacità di saper dire “NO” gridandolo con convinzione anche quando tutti attorno a te sanno solo dire “SI”, senza porsi domande più o meno importanti. Del Toro ci regala una perla rara che non fa altro che confermare la sua incredibile arte nel saper personalizzare una storia, così importante per la nostra cultura, inserendola in un contesto originale e peculiare, proprio come quel vino.