The End Recensione: un musical fuori dagli sche(r)mi

Una commistione di generi assai peculiare, tematiche sociali importanti, e un'atmosfera che lascia di stucco. Ecco la nostra recensione di The End di Joshua Oppenheimer

Francesca Leonardi
Di
Francesca Leonardi
Appassionata di film in tutte le sue forme. Perché accontentarsi di vivere una sola vita quando il cinema ti permette di viverne infinite?
Recensioni
Lettura da 5 minuti
7.5 Buono
The End

E se ti dicessimo che fuori c’è la fine del mondo, come e con chi passeresti gli ultimi giorni a tua disposizione? Di seguito la nostra recensione di The End, il quinto lungometraggio di Joshua Oppenheimer, un musical post-apocalittico che affronta tematiche sociali in modo non convenzionale.

Una famiglia tra le mura

A seguito di un disastro ambientale che ha reso la Terra inabitabile, una famiglia benestante continua a condurre la propria routine quotidiana in un bunker scavato in una miniera di sale insieme a pochi altri amici. Madre, interpretata da un’intensa e glaciale Tilda Swinton, trascorre le proprie giornate tra giardinaggio, nuoto e sfarzo, autoconvincendosi che fuori dalle mura di quelle camere lussuose, piene di opere d’arte costose, nulla sia cambiato, simboleggiando, quindi, una borghesia egoista e non curante di ciò che accade fuori dalla propria bolla.

Michael Shannon incarna Padre, un magnate del settore energetico che sente sulle proprie spalle il peso della responsabilità ecologica e che fa da mentore al Figlio, George MacKay, un giovane ragazzo desideroso di conoscere il mondo e di fare esperienze, ma che purtroppo, non avendo mai avuto rapporti con l’esterno, vive nell’ombra dei genitori ed è spaventato al solo pensiero di un possibile cambiamento. Nonostante le lotte interiori che i personaggi si trovano a fronteggiare, tutto sembra filare liscio, la vita va avanti e la famiglia non sembra essere toccata dal tempo che passa inesorabile, finché l’arrivo di una sopravvissuta, Moses Ingram, non rompe il fragile equilibrio familiare.

Un’atmosfera molto particolare

Girato presso la miniera di salgemma di Petralia Soprana, in provincia di Palermo, il film crea un’atmosfera visiva unica e contemplativa, affiancando le eleganti venature del marmo all’opulenza degli interni privi di finestre o di qualsiasi sbocco verso il cielo. Le sale sono adornate con tappeti costosi, animali impagliati e famosi quadri, quali la Ballerina di Renoir e Il Diluvio di Francis Danby, che vengono gelosamente custoditi dalla famiglia come cimelio di un tempo ormai passato. È chiaro il riferimento al sentimento del Sublime del movimento artistico e culturale del Romanticismo: immerso in tale ambientazione lo spettatore rimane affascinato, provando, tuttavia, anche un senso di inquietudine e di spavento di fronte all’inarrestabile forza della natura.

Oppenheimer non osa solamente attraverso le immagini, lo fa anche avvalendosi della musica: mentre fuori si è scatenata l’apocalisse che ha messo in ginocchio l’umanità, nella miniera di sale la famiglia comunica le proprie emozioni attraverso il canto. Il regista si pone l’obiettivo di sovvertire l’uso consolatorio del musical, creando, mediante l’utilizzo di melodie volutamente dissonanti del compositore Joshua Schmidt, un effetto straniante. I personaggi iniziano a cantare quando affrontano conflitti interiori, e il canto acquista quasi una funzione catartica, riuscendo a rompere la quarta parete: come la singola voce viene accorpata in modo omogeneo nella melodia dell’orchestra, così il problema che affligge il singolo confluisce nella responsabilità generale.

The end

Con tono provocatorio, il regista mira a smascherare lo pseudo-autocompiacimento di un’élite tutt’altro che perfetta che, pur di mantenere intatte la propria reputazione e immagine, è disposta a rinunciare ai propri sogni e fare “buon viso a cattivo gioco”. I personaggi non hanno un nome, acquistano importanza solo sulla base del ruolo familiare che svolgono, essendo dunque solo “Madre”, “Padre” e via dicendo. Rinunciare all’utilizzo del nome, prediligendo un tono totalmente impersonale, significa rinunciare a dare un’identità, una storia e delle origini ai personaggi, i quali, pertanto, diventano meri strumenti utilizzati dal regista per traslare le critiche dal piano individuale a quello collettivo.

I movimenti di camera lenti, le inquadrature centrali e statiche rendono l’elaborato visivamente lussuoso, ma il ritmo lento e contemplativo rischia di appesantire eccessivamente le scene, soprattutto nella seconda metà del film. Sebbene sia un prodotto ben confezionato, non viene dato il giusto spazio a molte delle importanti tematiche affrontate, quali la critica a una società fondata solo sulle apparenze e insensibile di fronte a dinamiche sociali e ambientali: queste, infatti, vengono citate senza poi essere approfondite in modo esauriente.

In definitiva, nonostante The End non sia un film alla portata di tutti, in quanto le numerose metafore e critiche sottese non possono essere colte se l’attenzione è fugace e discontinua, è sicuramente un progetto coraggioso, ambizioso e ad alto impatto visivo, che merita di essere premiato anche solo per aver tentato di mischiare due generi apparentemente opposti: fantascienza e musical.

The End
Buono 7.5
Voto 7.5
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