Indossare i panni di uno squalo e mangiare a più non posso. Questi sono i pilastri su cui si regge Maneater, simulatore sviluppato da Tripwire Interactive, di cui presentiamo la recensione per Nintendo Switch. Permettere ai giocatori di vestire i panni di uno squalo e aggirarsi tra le acque del mare alla ricerca di prede è una promessa decisamente invitante, sia per chi cerca un titolo che spezzi la monotonia delle giornate, sia per chi ama la fauna marina e ha voglia di immergersi in una “rinfrescante” avventura con pinne e doppia fila di denti. Maneater è, però, in grado di soddisfare i giocatori su Nintendo Switch?
Cacciatori e cacciati, ma soprattutto divoratori
La cornice di Maneater è raccontata da alcune cutscene all’inizio del gioco. Nei primi secondi viene mostrato Pete lo Squamato, il vero antagonista della storia, un cacciatore di squali pronto a fare una strage in nome dell’odio che serba verso questi pesci predatori. Non esiste una motivazione diversa che guidi la sua mano: il cacciatore è divorato da una rabbia accecante, che lo porta a desiderare la morte di ogni squalo nel mare.
Vestendo i panni di uno squalo Leuca adulto, il giocatore impara i comandi di base nuotando in una baia e mangiando pesci di piccole e grandi dimensioni, foche e ignari bagnanti che si godono una giornata al mare, senza sapere che stanno andando incontro alla morte. Nelle fasi iniziali dell’avventura, dopo aver divorato alcuni esseri umani, verranno sguinzagliate contro lo squalo le barche dei cacciatori, pronti ad accerchiarlo e abbatterlo. Una volta affondate tre barche, Pete lo Squamato prenderà il sopravvento e riuscirà a uccidere lo squalo, impersonato dal giocatore. Questo evento sarà inevitabile, e segnerà l’inizio del gameplay vero e proprio.
Grazie a una cutscene che da il via alla partita, si scopre che lo squalo ucciso è una femmina, per di più nella fase finale di una gravidanza. Il cacciatore non si fa nessuna remora a sventrare la pancia dell’animale ed estrarre il piccolo, vivo e in salute. In questo momento avviene il colpo di scena: lo squaletto si dibatte, riuscendo a staccare una mano a Pete lo Squamato, e viene gettato in mare, dando il via a una caccia spietata tra squalo e uomo. La mano del cacciatore, caduta in acqua insieme a una cospicua quantità di sangue, è proprio il primo pasto del giocatore, ora nei panni del cucciolo di squalo.
Da questo momento in avanti inizia il vero gameplay. Nelle torbide acque giallastre del bayou, la cui visibilità è scarsa e fastidiosa per gli occhi, il cucciolo di livello 1 deve mangiare il più possibile, per salire di livello, crescere di dimensioni e migliorare le sue abilità. Gli incontri con Pete lo Squamato sono rari e non all’altezza della situazione. Il vero cuore del gioco non è, infatti, vendicare la morte della madre o cercare di salvarsi dallo spietato cacciatore, bensì mangiare. Agli obiettivi principali si alternano molte quest secondarie, purtroppo ripetitive e poco stimolanti. Viene spesso chiesto al giocatore di mangiare una determinata quantità di pesci di un certo tipo (per esempio 10 pesci gatto, o 10 alligatori, o 10 pesci spada e così via) e, sebbene la tipologia di fauna marina cambi, non varia il metodo con cui si devono portare a termine le missioni.
Oltre a mangiare pesciolini e, man mano che si sale di livello, pesci sempre più grossi, si potranno incontrare predatori, ossia animali che attaccheranno lo squaletto e potranno, in alcuni casi, ucciderlo. La morte, purtroppo, non ha particolari conseguenze negative. Il giocatore si potrà, infatti, rigenerare subito dopo essere stato ucciso, e tornerà al rifugio più vicino. Uccidere nemici di grosso calibro darà più punti sulla barra dei livelli, aiutandolo nella sua scalata verso il livello 30, il più alto. Man mano che i livelli proseguiranno, le dimensioni del piccolo squalo aumenteranno, e ci sarà un’evoluzione da cucciolo a squalo adolescente, poi adulto, anziano e, infine, si raggiungerà il traguardo diventando un temibile megalodonte.
Difficoltà di movimento tra trash e scarsa visibilità
Benché la mappa di Maneater sia piuttosto variegata, gli ambienti marini e soprattutto terrestri sono a volte scarni e abbozzati. Si nota fin da subito la contrapposizione tra gli scenari e il bellissimo modello dello squalo Leuca impersonato dal giocatore. Lo squalo di cui si vestono i panni è, infatti, molto dettagliato e proporzionato, e le animazioni del nuoto sono fluide e realistiche. Le personalizzazioni aggiungono ulteriori particolari all’estetica dell’animale, ma sono troppo poche per valere le azioni che si devono compiere per sbloccarle (uccidere esseri umani e predatori per raccogliere filamenti di DNA essenziali per le evoluzioni).
Tra le varie azioni che si possono compiere, è possibile mordere e mangiare (tasto ZR), dare colpi di coda per allontanare i nemici (tasto L), saltare (tasto B), balzare fuori dall’acqua (tasto ZL) e compiere una serie di rocambolesche (e poco realistiche) piroette a pelo dell’acqua per schivare i colpi dei cacciatori o i denti dei nemici (tasto R). Sebbene le singole animazioni di ogni movimento siano ben rappresentate, nel complesso gli scontri con i predatori o con i cacciatori di squali sono difficoltosi e confusionari. E questo nonostante sia possibile compiere acrobazie che superano il confine del trash, come balzare sulla terraferma e saltellare come canguri a caccia di esseri umani sulla sabbia o sui moli (il tempo che lo squalo può trascorrere fuori dall’acqua è limitato, e aumenterà con i vari potenziamenti).
La telecamera non riesce a inquadrare l’obiettivo in modo ottimale e, spesso e volentieri, si perde di vista il bersaglio dopo lo scatto eseguito per afferrarlo tra i denti, e non si è nemmeno in grado di capire se sia stato colpito oppure mancato (nonostante la scritta “mancato” talvolta appaia in soccorso del giocatore). Questo rende ogni scontro poco piacevole e lo trasforma in un dimenarsi di pinne, tasti pigiati freneticamente e azioni poco chiare. L’utilizzo di un Pro Controller non migliora di molto la situazione: è sicuramente più comodo per raggiungere i vari tasti, ma il problema di fondo rimane nel modo in cui sono state sviluppate le meccaniche degli scontri.
Quando lo squalo cresce di dimensioni, inoltre, la situazione peggiora ulteriormente: occupando una parte maggiore dello schermo, l’animale blocca la visibilità (già scarsa) e rende ancora più difficile individuare bene i bersagli, afferrarli tra i denti o allontanarli con un colpo di coda. Sembra quasi preferibile girare come trottole nel tentativo di mordere e mangiare qualunque cosa sia nelle vicinanze, senza preoccuparsi di creare una strategia di difesa oppure selezionare il bersaglio giusto.
In Maneater non esistono veri e propri boss, che accendono l’adrenalina dei giocatori e donano pepe al gameplay. I cacciatori leggendari, gli avversari più temibili, sono identici ai cacciatori di piccola “taglia”: l’unica differenza è che hanno in dotazione una barca di dimensioni maggiori. Nelle fasi iniziali del gioco, quando si è ancora un cucciolo di squalo, è possibile incappare in nemici fuori dalla propria portata ma, mangiando e crescendo, ogni difficoltà viene livellata. La ripetitività delle azioni e la mancanza di colpi di scena che accendano l’attenzione, portano il giocatore a cadere inesorabilmente nella noia dopo i primi momenti di avventura.
Sebbene ci siano abilità sbloccabili con il procedere dell’avventura, come strutture ossee che aumentano la resistenza o particolari organi per emettere fulmini, il gameplay non riesce ad accendersi, rimanendo ancorato al livello base, privo di profondità e molto confusionario nelle battaglie. Siamo davanti, insomma, a un videogioco che ha l’aria di essere un prototipo, più che un titolo fatto e finito. Con un po’ di lavoro e di cura in più sarebbe stato possibile alleggerire il titolo dalla noia che colpisce il giocatore dopo le prime missioni, e creare uno stile più fluido e dinamico, con un mirino ben posizionato sui bersagli, comandi meno frettolosi e artificiosi e dei villain davvero intriganti.
La versione per Nintendo Switch del lavoro di Tripwire Interactive non brilla per fluidità, i comandi sono difficili da gestire e, in modalità portatile, le dimensioni dello schermo non aiutano la visibilità. Benché fosse possibile usufruire di una serie di opzioni per rendere l’esperienza di gioco più immersiva, come gli effetti sonori legati al rumble dei Joy-Con e del Pro Controller, queste non sono purtroppo state sfruttate. Anche il touch screen in modalità portatile è disattivato, probabilmente perché la tipologia di videogioco lo renderebbe quasi impossibile da usare. La schermata di caricamento iniziale, inoltre, è piuttosto lunga, sebbene i giocatori in attesa possano sfruttare il tempo leggendo alcune descrizioni e curiosità sugli squali nella parte inferiore dello schermo. Su Nintendo Switch, insomma, le aggiunte e le modifiche rispetto alle altre piattaforme di gioco sono davvero scarne, ma vivere questa avventura in fondo al mare in modalità portatile è sicuramente una novità stuzzicante. Qui è possibile trovare la nostra recensione di Maneater per le altre piattaforme.