Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii Recensione: l’inaspettata avventura di Majima tra onde, tesori e colpi di katana

Un’insolita epopea che spinge Goro Majima a solcare i mari hawaiani in cerca di gloria, tra battaglie navali arcade e la solita dose di eccessi in stile RGG.

Simone Lelli
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Simone Lelli
Editor in Chief
Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri...
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7.5 Buono
Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii

Se c’è una certezza nel mondo videoludico, è che la serie Like a Dragon (ex-Yakuza) non teme di sperimentare. Dopo anni di storie criminali ambientate tra le strade di Kamurocho e rivisitazioni storiche dal sapore samuraico, nessuno si sarebbe aspettato di vedere Goro Majima, la cosiddetta “Cane Pazzo di Shimano”, a bordo di una nave pirata nelle acque cristalline delle Hawaii. Eppure, Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii esiste davvero ed è uno spin-off che riesce a combinare l’indole folle di Majima con un’impostazione piratesca, mescolando azione arcade, combattimenti corpo a corpo e una trama che abbraccia vette di comicità e momenti di sincera introspezione.

In questa recensione scopriremo come Ryu Ga Gotoku Studio si sia spinto oltre i propri confini tradizionali, realizzando un titolo che si ama e si critica al tempo stesso. Da un lato, troverete un sistema di navigazione e di battaglie navali volutamente semplificato; dall’altro, vivrete un’avventura che, tra scene demenziali e improvvise stoccate emotive, cattura lo spirito più bizzarro di Yakuza.

Il ritorno del Mad Dog: una leggendaria icona fuori contesto

Diciamo la verità: vedere Goro Majima con un cappello da pirata calcato sulla testa, armato di coltelli, uncini e con una ciurma scalmanata al seguito, suona come l’ennesimo scherzo di cattivo gusto del destino. Eppure, una volta avviato il gioco, questa follia diventa immediatamente coerente con il personaggio. Majima, dopo essersi risvegliato su una spiaggia delle Hawaii con un’amnesia che ne cancella il passato yakuza, si ritrova catapultato in un contesto che urla “pirateria” da ogni onda.

La forza del titolo sta proprio nella recitazione e nella caratterizzazione di Majima: sessantenne, ma al culmine della sua energia, con tutta l’esuberanza e la teatralità a cui ci ha abituato nelle iterazioni precedenti. Rispetto al solito contesto urbano, questa volta RGG Studios ha potuto sguinzagliare la creatività, permettendo a Majima di dare il meglio (o il peggio) di sé tra scimmie da rapire per uno zoo personale, duelli con spade arrugginite e cannoni laser montati sul ponte della Goromaru, la nave che funge da perno dell’avventura.

L’introduzione del personaggio e la sua temporanea insicurezza – generata dalla perdita di memoria – regalano alcuni momenti inediti di vulnerabilità. Vederlo incerto nel primo combattimento, mentre si interroga sul perché intervenga a difendere un ragazzino in pericolo, è una scena che stona piacevolmente con l’immagine tipica del Mad Dog sempre sopra le righe. È una fase breve, però fondamentale per creare un vuoto che Majima andrà a colmare riscoprendo sé stesso e, soprattutto, la sua incrollabile follia.

La grande novità di Pirate Yakuza in Hawaii è, ovviamente, la navigazione e le battaglie marittime. Dopo aver varato la Goromaru, ci si aspetterebbe qualcosa di simile alle esperienze di grande respiro viste in titoli più “sim” (come Assassin’s Creed IV: Black Flag), ma la scelta di RGG Studio è andata in tutt’altra direzione. Ci troviamo di fronte a un sistema molto arcade, con comandi semplificati e ritmi di gioco che preferiscono la spettacolarità immediata alla strategia sul lungo termine.

  • Manovrare la nave: ci si sposta con velocità standard, con la possibilità di attivare brevi boost (sì, come se la nave avesse un turbo) o addirittura frenare e sterzare in modo repentino. Praticamente “acceleratore e freno” su un galeone: non c’è realismo, ma una fluidità abbastanza immediata per evitare ostacoli e circondare le navi nemiche.
  • Armi e cannoni: i cannoni sono posizionati sulle fiancate, mentre una mitragliatrice frontale permette di colpire in linea retta. Con i giusti potenziamenti si possono ottenere cannoni laser, colpi infuocati e altre follie in puro stile Like a Dragon. È divertente, sì, ma potrebbe deludere chi cercava una simulazione approfondita: le navi nemiche, soprattutto quando si sale un po’ con gli upgrade, vengono decimate in pochi secondi.
  • Azioni speciali: è possibile abbandonare il timone per utilizzare un lancia-razzi dal ponte di comando o attivare uno schermo fumogeno per spegnere incendi e rianimare membri dell’equipaggio. Anche qui, l’idea è simpatica, ma non troppo necessaria: una volta potenziata la Goromaru, raramente sarà vitale dedicarsi alle manovre più raffinate.

È evidente come gli sviluppatori abbiano voluto creare un divertissement piuttosto che un gameplay navale davvero profondo. Andarsene in giro per le isole hawaiane resta piacevole soprattutto per le ambientazioni colorate e le musiche tamarre, ma dopo una decina di scontri si avverte una leggera ripetitività. Certo, sbloccare nuove armi e vedere Majima che salta all’arrembaggio con un uncino tra i denti fa sempre sorridere: dopotutto, è l’atmosfera scanzonata ciò che regge l’impalcatura.

Il mare e la calma piatta: esplorazione e ritmo

Una volta posato lo sguardo oltre le battaglie, Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii offre attività secondarie che variano tra il classico “cerca il tesoro” sulle isolette al largo, i combattimenti a ondate in cui la ciurma supporta Majima, e i mini-dungeon dove si raccolgono risorse preziose, anelli rari e denaro. Qui ritorna la vena più classica della serie: sezioni in cui la forza bruta va alternata alla curiosità di scoprire chi abita quell’isola nascosta o quali subquest demenziali aspettano il protagonista.

Il limite risiede nel fatto che gli spazi oceanici sono ampi, ma il viaggio risulta talvolta lento e monotono. Le scie di vento che accelerano la navigazione e i potenziamenti al motore (o alle vele? difficile a dirsi…) non bastano a scongiurare la noia se si decide di navigare a lungo per scoprire ogni recesso dell’arcipelago. Insomma, a qualcuno farà piacere questa parentesi più “rilassata”; altri avrebbero preferito mappe più compatte e meno ripetitive.

Combattimento corpo a corpo: tra uncinate e demon shark

Fortunatamente, la serie Like a Dragon non si dimentica della sua anima picchiaduro in terza persona. Majima sfoggia due stili di lotta: uno più classico e frenetico, il suo caratteristico “Mad Dog” (con mosse pirotecniche e rapidità fulminante), e uno legato alla nuova identità di corsaro, chiamato appunto “Sea Dog”. Quest’ultimo introduce abilità che sfiorano l’occulto, come la possibilità di evocare squali demoniaci suonando un misterioso violino maledetto, oppure di lanciarsi addosso agli avversari sfruttando un rampino.

  • Dinamica di base: Siamo vicini al combat system in stile action già visto in Yakuza 0 o negli spin-off di stampo classico (come Kiwami). Il feeling dei colpi è solido, con le tipiche “Heat Moves” che si traducono in mosse finali esagerate.
  • Difficoltà: Per i veterani, potrebbe risultare troppo facile. Con un paio di potenziamenti ben piazzati e il ricorso ai consumabili giusti, è possibile sgominare interi gruppi di nemici in pochi secondi. Anche i boss, a parte qualcuno più coriaceo, non si avvicinano alla ferocia di certe vecchie glorie come Kuze o Ryuji Goda.
  • Varietà nemica: Un po’ limitata. Ci si scontra con pirati e criminali locali che, al di là di qualche arma da fuoco o scudo, non propongono pattern difensivi o tecniche particolarmente interessanti. L’intento, chiaramente, è lasciare spazio a Majima per sfoggiare la sua devastante eccentricità, ma si perde qualcosa in profondità.

Il risultato è un sistema di combattimento che diverte e fa sentire il giocatore potente, ma che non raggiunge i picchi di sfida o inventiva dei capitoli più amati dai fan del brawler stile RGG.

Madlantis e Honolulu: la vita tra terraferma e baracchini di salsicce

Oltre all’oceano, troviamo alcune aree esplorabili come Honolulu, riproposta dopo Like a Dragon: Infinite Wealth, e il covo di pirati denominato “Madlantis”, un vero e proprio rifugio per fuorilegge. Qui, Pirate Yakuza recupera la tradizione di minigiochi e subquest: si passa dal Cannon Baseball (dove Majima usa un cannone per colpire palle di fuoco al posto delle classiche), alla gestione di un “petting zoo” popolato da animali improbabili. Non mancano i momenti di vita notturna con karaoke – anzi, scoprirete un paio di canzoni remixate in chiave tropicale che sarete costretti a canticchiare per giorni.

La qualità della scrittura delle substory rimane il punto di forza: ci troviamo di fronte a momenti che oscillano tra l’assurdo e il toccante, dal giovane cuoco che vorrebbe conquistare l’amata ma finisce per farsi rovinare gli appuntamenti dal cibo piccante, fino a un gruppo di hula dancers che vede in Majima una sorta di guru di stile e atteggiamento. Ogni volta che ci si lancia in un nuovo siparietto, si ritrova quell’anima un po’ folle e un po’ umana che caratterizza la serie. Il problema è che i minigiochi di contorno, per quanto buffi, non sono sempre capaci di mantenere l’attenzione viva nel lungo periodo.

La ciurma, la famiglia e il tesoro: toni leggeri ma colpiscono al cuore

L’ossatura narrativa di Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii è più leggera rispetto alle trame fosche e drammatiche a cui la saga ci ha abituato. Al centro di tutto c’è Noah, un ragazzino che vede in Majima una sorta di figura paterna, e una caccia al fantomatico tesoro di Esperanza che coinvolge ciurme rivali e un manipolo di nemici poco approfonditi. Se cercate l’intrigo di potere e le faide da mafia giapponese, rischierete di sentirvi spiazzati.

Tuttavia, il viaggio di Majima verso la riscoperta di sé stesso, passando dall’essere un amnesico spaventato a un vero capitano, rappresenta il cuore emotivo del titolo. Le dinamiche con il giovane Noah, gli scambi di sguardi, i discorsi sul senso della libertà in mare e sul desiderio di proteggere chi si ama: sono tutti spunti che regalano una dimensione più tenera a uno dei personaggi più iconici e folli dell’intero franchise. Da metà in poi, la storia si fa sorprendentemente profonda, fino a un finale che bilancia in modo intelligente la spensieratezza piratesca con la componente di gangster drama tipica di Like a Dragon.

Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii
Buono 7.5
Voto 7.5
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Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.