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L’evoluzione dei giochi online nel mercato odierno: è la fine del single player?

C’è stato un tempo in cui la parola multiplayer online non faceva nemmeno parte del vocabolario dei videogiochi. Un nome illustre come Cliff Bleszinski ha affermato che sviluppare una campagna single player, per un genere come gli shooter in prima persona, costa allo sviluppatore quasi il 75% del budget complessivo, correndo il rischio che non venga nemmeno avviata. Questo ragionamento può essere esteso anche ad altri generi diversi dagli shooter, soprattutto agli sportivi e in parte anche agli action game. Il modo di rapportarsi dei giocatori con le attuali produzioni varia incredibilmente a seconda delle generazioni che vi si approcciano.

La diffusione capillare di internet esplosa negli ultimi decenni ha cambiato tantissimo il modo di vivere di tutti noi, ed era prevedibile che tale tendenza si sarebbe estesa anche all’ambito dei videogiochi. Interconnessione totale e perenne, implementata a dismisura dall’avvento dei social, per non parlare dell’estensione artificiale del nostro corpo che è lo smartphone. In molti hanno notato, già dagli ultimi anni dell’era PlayStation 2, una lenta diffusione della componente online nei giochi, di cui pionieri ai tempi furono il Dreamcast di Sega e la prima Xbox di Microsoft.

single playerAtteggiamenti nostalgici a parte, bisogna sottolineare come l’implementazione di internet nei videogiochi, sia in termini hardware sia di software, abbia portato non pochi vantaggi. Basti pensare agli aggiornamenti che installano nuove funzionalità alle varie macchine da gioco e al bug fixing. Come spesso accade, bisogna vedere anche il rovescio della medaglia: in passato, non essendoci la possibilità di rilasciare patch al day one, gli sviluppatori rilasciavano il gioco con una cura molto più minuziosa di quanto non accada oggi, per dirne una. Ma entriamo nel cuore della discussione: il single player nei videogiochi è ancora fondamentale? La mia risposta è sì, ma non per il mercato.

Il successo di titoli quali God of War, The Legend of Zelda: Breath of the Wild, NieR: Automata, Horizon: Zero Dawn, Super Mario Odyssey, Forza Motorsport 7, Divinity: Original Sin II ed altri sarebbe la prova che ci sono ancora moltissimi giocatori desiderosi di vivere esperienze in solitaria. Quindi sbaglia chi pensa che il futuro dei videogiochi sia legato solo al servizio online. Per molti il single player non solo non sarebbe morto ma prospererebbe, offrendo ancora oggi le esperienze di gioco più appaganti. In realtà non è difficile concordare, visto che i giochi single player vengono ancora prodotti, alcuni hanno un successo enorme e ci sono molti giocatori che li amano. Il problema è capire come ciò significhi poco o nulla se non si osservano le tendenze attuali del mercato e, soprattutto, se non si fa un confronto con quello che era il mercato fino alla generazione precedente. Quando si afferma che il single player è morto non si vuole dire che non saranno più prodotti giochi single player. single player

La verità è che sarebbe assurdo anche solo pensarlo, vista la mole di uscite con questa modalità che emergono dalla scena indipendente e dalla cosiddetta fascia dei tripla A. Osservando però quali sono i titoli più giocati e quali sono quelli che producono più ricavi, è indubbio che la fetta più consistente del mercato attuale sia fatta da modelli completamente diversi, per i quali il single player esiste come mero accessorio. Parliamo non a caso di ricavi e non di vendite, perché queste ultime rappresentano solo una frazione, seppur consistente, del mercato dei videogiochi.

 

Activision Blizzard ha tagliato il single player dal nuovo Call of Duty: Black Ops IV per aggiungere una modalità battle royale e per potenziare le altre funzioni multiplayer del gioco, mentre l’unico titolo single player che proporrà sarà la remastered della trilogia di Spyro; Electronic Arts inserirà delle modalità single player nei suoi sportivi e nel nuovo Battlefield, ma continuerà comunque a concentrarsi sull’online (il modello da seguire è la serie FIFA, è da anni che la sua modalità single player non offre più nulla di rivoluzionario (eccezion fatta per “Il viaggio”); Take-Two e Rockstar proporranno una sontuosa modalità single player con Red Dead Redemption 2, ma scommettiamo anche che offrirà un lato multiplayer che seguirà pedissequamente quanto fatto con GTA V. I giochi in solitaria finiranno per assumere un ruolo differente da quello del passato, perché oramai emarginati dal mercato di massa. Tradotto in altri termini: non sono più il perno dell’industria dei videogiochi.

single playerTutto questo non decreta la loro fine. I produttori hardware come Sony e Nintendo non hanno nessun interesse a smettere di finanziare titoli single player, indispensabili per vendere le loro console e determinandone l’identità. Continueranno a produrre titoli single player anche tutti gli sviluppatori e i publisher che non possono permettersi di competere con i colossi dell’online: Nordic, Obsidian, Larian, Warhorse o Ninja Theory continueranno a puntare su progetti minori e ben indirizzati, senza rischiare in campi dove ormai gli investimenti richiesti nel marketing sono al di là delle loro effettive possibilità. Inoltre, il single player sopravvivrà tra gli indie: per molti è la scelta più economica, visti i budget limitatissimi che girano. Certo, chi si aspetta una vitalità del single player paragonabile a quella della generazione PlayStation 2/Xbox/Gamecube o successiva rimarrà deluso, perché quei tempi non torneranno mai più. Rimarrà deluso anche chi spera nel ravvedimento dei publisher maggiori, perché attualmente fare retromarcia è un perfetto harakiri.

single playerSe abbiamo l’ardire di definire i videogiochi delle opere d’arte, dobbiamo però essere altrettanto lucidi nel presupporre che essi possano continuare ad esistere oltre il ciclo vitale della console per la quale escono, ed ovviamente oltre la chiusura dei server online. Al pari di un libro, un film o un album musicale, ci sono giochi che possono essere tramandati ai posteri come opere d’arte. Opere intramontabili che, pur integrando una più o meno riuscita componente multiplayer, sopravvivranno grazie alla loro campagna single player. Come accade per molte cose della vita, la giusta misura sta nel mezzo. Nessuno pretende dagli sviluppatori odierni i giochi di una volta, incentrati soltanto su una storia da vivere interattivamente, ma eccedere dall’altro lato, evitando a prescindere di creare una campagna single player in virtù del solo multiplayer competitivo, mi sembra una via di fuga molto semplice per massimizzare i guadagni con la minima spesa, oltre ad essere un’operazione che non giova all’immagine dell’industria. Giochi del genere possono solo rifugiarsi in una dimensione in metastasi, dove va in cancrena lo spazio per l’arte e le emozioni, limitandosi ad essere un mero passatempo, frenetico e compulsivo, con una precisa data di scadenza.

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