Quanto accaduto recentemente nel mondo dei videogiochi ha dell’incredibile, soprattutto a causa delle gravissime accuse di molestie, sfruttamento, abusi e discriminazioni da parte di molti dipendenti nei confronti di Activision/Blizzard. Una situazione che ha evidenziato maggiormente la faccia più tossica di un’industria che talvolta sa essere spregiudicata con i propri lavoratori. Purtroppo però, questo evento spiacevole non è che la punta di un iceberg immenso presente in quasi ogni mercato gestito da grandi capitalisti. Lo sfruttamento del lavoratore è infatti considerato un “male necessario” per la sopravvivenza in un contesto aziendale competitivo. Una logica deviata che fa del guadagno a tutti i costi il proprio mantra insindacabile, e delle privazioni fisiche e psicologiche dei lavoratori, una mera componente da mettere nei bilanci aziendali.
In questo editoriale che sa quasi di invettiva (scritto polemico di acerbo rimprovero) quindi, non voglio solo parlare della singola vicenda di Activision, ma provare anche a inquadrare l’evento all’interno di un sistema più complesso di comportamenti illegittimi, dove le leggi di mercato superano quelle sancite dalle costituzioni. Vorrei anche evidenziare come lo sciopero dei dipendenti di Activision sia uno di primi segnali di riscossa sociale e di potenziale rinascita per l’intera industria dei videogiochi, in un processo di corretta regolamentazione dei diritti dei dipendenti e di minore sfruttamento. O almeno questa è la speranza. Ovviamente cercherò di trattare l’argomento senza la pretesa di avere tutte le risposte in mano, anche perché parliamo di un fenomeno estremamente complesso e delicato da trattare.
Inoltre, bisogna premettere anche che il fenomeno della tossicità lavorativa non è presente in ogni singola azienda del settore, e anzi esistono anche diversi esempi virtuosi di publisher che almeno sulla carta preferiscono dare priorità ai bisogni dei propri lavoratori rispetto alle semplici leggi di mercato. Tuttavia, dalle innumerevoli testimonianze, quanto emerge è che esiste un contesto sommerso, che spinge macro-aziende magari di titoli AAA a fare dei propri dipendenti delle macchine e non delle persone, supportati da fenomeni di omertà e cameratismo tossico fra gli stessi lavoratori.
Per fortuna, grazie alle dichiarazioni di molti dipendenti coraggiosi, ci sono oggi esempi ben documentati di questo fenomeno. Ad esempio, quanto avvenuto con Cyberpunk 2077 o Red Dead Redemption 2 nei quali migliaia di lavoratori sono stati sottoposti a turni massacranti per finire i lavori sui prodotti nelle stringenti tempistiche imposte dall’alto. Oltre a questi casi dalla portata mediatica notevole, nel web ci sono anche tante storie personali di padri e madri di famiglia costretti a vivere in condizioni assurde per soddisfare consegne impensabili. Come se non bastasse poi, i casi estremi di attacchi alle minoranze nel settore sono ormai così comuni, da sembrare in un qualche folle modo, quasi parte del contesto e sono spesso legati a doppio filo a pratiche aziendali spregiudicate.
Cos’è successo nello specifico con Activision/Blizzard?
Da quanto riportato dalle vittime di abusi, alcuni dipendenti di sesso maschile avrebbero intrapreso una serie di molestie nei confronti di determinati dipendenti, principalmente donne, e addirittura (anche se non confermato) spinto al suicidio una specifica impiegata. Questa, sarebbe stata vittima della condivisione di foto intime fra i colleghi e di costanti molestie sessuali perpetrate da uno specifico individuo; in merito a questa vicenda Activision ha preso le distanze. La situazione complessiva ha però ottenuto grande risalto anche grazie alla causa legale intentata contro l’azienda dagli stessi lavoratori per mezzo dello stato della California, ai quali poi si sono uniti centinaia di colleghi in una lettera aperta, dalla quale poi è sfociato il già citato sciopero generale. A questi gravissimi eventi, si aggiungono anche casi limite come quello di uno sviluppatore che avrebbe pensato di creare una “Cosby suite” (alludendo a stanze dove sarebbe stato possibile creare degli harem con le dipendenti). Semplicemente spiazzante.
Come si colloca questa la vicenda all’intero universo videoludico?
Tuttavia, come già accennato, quanto successo con Activision è semplicemente quanto è più visibile di un contesto macroscopico sommerso e quasi dato per scontato. Lo sviluppo dei videogiochi è quindi diventato un universo nel quale sono spesso presenti numerosi problemi di natura sociale, fra i quali il sessismo e lo sfruttamento dei dipendenti. In particolare, il sessismo negli studi di sviluppo è un problema di dinamica di potere, che vede molti individui in posizioni dirigenziali – spessissimo uomini – usare la propria carica e il proprio retaggio culturale come clava per infastidire o addirittura abusare di donne all’interno dell’azienda. Ad esempio, secondo alcune statistiche il 20% della forza lavoro in Activision è composta da donne e queste hanno spesso un ruolo estremamente marginale. La situazione è talmente assurda che l’azienda alcuni mesi fa era stata accusata dall’ALF-CIO, una delle associazioni di sindacati più importanti d’America, di non dare abbastanza spazio alle donne e alle minoranze. La notizia ha provocato una risposta da parte di Activision che con gli occhi di oggi ha quasi del ridicolo, grazie a della becera retorica aziendale.
Insomma, il problema delle discriminazioni era già stato segnalato, in molteplici contesti, eppure non è stato fatto quasi nulla per evitare che si presentassero determinate situazioni estreme. Nell’industria poi, altri casi di abusi sono stati riportati addirittura dal New York Times, dove dozzine di donne hanno accusato uno degli sviluppatori dei primi Fallout di atteggiamenti predatori nei confronti delle lavoratrici dell’azienda, scatenando anche il movimento #MeToo. A casi vergognosi di attacchi alle minoranze si aggiungono anche pratiche aziendali che rendono il mondo della creazione dei videogiochi a tratti invivibile, e amplificano le condizioni di stress del personale e di conseguenza anche di ulteriori episodi di maltrattamenti (ovviamente mai giustificabili). Stiamo parlando di pratiche come il crunch aziendale.
Ambiente tossico e crunch massivo di lavoratori sottopagati
Le condizioni lavorative alle quali moltissimi sviluppatori di studi grandi e piccoli sono sottoposti hanno semplicemente dell’assurdo. Infatti, per restare in sincronia con le martellanti campagne marketing i dipendenti sono spesso spinti a compiere turni sfiancanti per cercare di ultimare i lavori su dei videogiochi entro il tempo limite. Parliamo di turni fra le 60 e le 100 ore settimanali, che per capirci meglio significa circa 15 ore al giorno, sette giorni su sette, niente ferie, niente malattia, niente pausa, solo lavoro.
Ovviamente questo trattamento degli impiegati, che farebbe vergognare persino i più grandi capitalisti dell’800, non è qualcosa di ufficialmente “obbligatorio”. Parliamo di un sistema coercitivo basato su meccaniche umane di falsi consigli, e intriso in una sorta di cameratismo tossico che fa sentire esclusi dai gruppi chiunque osi anche soltanto alzare la testa. Ad esempio, nelle aziende sono la norma frasi del tipo: «Questo è un momento critico per la nostra squadra! Abbiamo bisogno che tu faccia più ore rispetto a prima, non vorrai mica lasciare i tuoi compagni da soli?» o come «Ma come non vuoi fare più ore? L’azienda ha bisogno solo dei migliori per questo progetto», il tutto alludendo a possibili tagli del personale. Unite questo contesto di falsa libertà di scelta a ulteriori privazioni e a situazioni di bullismo, stalking, omertà, nonnismo e altri contesti impossibili, per capire meglio che chi non fa ciò che vogliono i capi di certe aziende è molto spesso fuori dai giochi, se non con licenziamenti diretti, con una propria dimissione per ambiente invivibile.
Mettiamo però il caso che come il 53% degli impiegati decida di voler comunque sottostare a questo trattamento, che spesso è inumano, per conservare il proprio posto di lavoro, che cosa comporterebbe per il corpo umano uno stress talmente alto anche se della durata di alcuni mesi? Secondo alcuni articoli di settore, lo stress estremo è qualcosa di pericoloso al punto che alcuni lavoratori possono riscontrare reali problemi fisici, come patologie cardiache, al sistema digestivo e alla fertilità, oltre a poter manifestare segni di gravi disfunzioni psicologiche come la depressione, attacchi d’ansia etc.
Cyberpunk 2077 l’esempio perfetto di come NON trattare i propri dipendenti
Quanto accaduto poi con Cyberpunk 2077 ha quasi del goliardico, se non fosse una situazione drammatica. Infatti, i capi di CD Projekt RED avevano a più riprese affermato che non avrebbero mai permesso delle situazioni di crunch e anzi di volersi distinguere dalle altre aziende di videogiochi che abusavano dei propri dipendenti. La situazione è però completamente sfuggita di mano ai dirigenti, che anche dopo numerosissimi rinvii hanno comunque “spinto” i propri lavoratori a turni massacranti per cercare di migliorare in tempo il gioco. Ironia della sorte, neanche il crunch spaventoso “imposto” agli sviluppatori ha permesso al gioco di approdare in condizioni decenti, al punto da essere stato al lancio quasi ingiocabile sulle PlayStation 4 e Xbox One standard. Un risultato che ha mostrato ancora una volta come l’utilizzo indiscriminato della forza lavoro possa comportare a volte anche risultati molto negativi per le stesse aziende che li perpetrano.
Un caso dall’epilogo diverso ma dal contenuto simile è avvenuto con Red Dead Redemption 2, nel quale gli sviluppatori sono riusciti a completare il proprio lavoro e a rilasciare un prodotto di altissimo livello, anche se hanno comunque dovuto lavorare durissimo nei mesi immediatamente prima del rilascio. Le lamentale sono state talmente forti e importanti da spingere Rockstar a rivedere i propri piani per il futuro e a cambiare la situazione.
Proposte per cambiare il sistema
La presa di posizione dei lavoratori di Activision ha quindi il potenziale per mutare la situazione, soprattutto se fosse oggetto di emulazione da parte di tantissimi altri studi di sviluppo. Eppure, il problema resta comunque enorme e di difficile soluzione, vista la portata endemica del fenomeno. I publisher, infatti non spingono gli sviluppatori a turni inumani per gioco, ma per mantenere dei ritmi cadenzati dovuti alle martellanti campagne marketing, che impongono tempi estremamente risicati con lo scopo di tenere alta l’attenzione dei player. Ovviamente neanche l’hype più abnorme e incontenibile giustifica tali comportamenti da parte dei capi delle aziende, ma in parte ne conferisce una logica e a suo modo anche una potenziale soluzione. Infatti, una possibile risposta è attuabile se che tutti i settori che formano il mondo videoludico, comincino fare il loro lavoro e a combattere con fronte unito per la stessa causa, ognuno con le proprie potenzialità.
I lavoratori possono e devono rivolgersi ai sindacati, che difendono i loro diritti e risolvono le controversie. Le aziende devono impegnarsi molto di più per ridurre il fenomeno del crunch e degli abusi, ed alcune lo stanno già facendo, altre purtroppo ancora no. I giornalisti dovrebbero dar sempre spazio a queste problematiche fondamentali, un poco come stiamo già facendo noi con questo articolo. E infine, i giocatori tutti (incluso anche il sottoscritto), possono far sentire il proprio supporto agli sviluppatori e alle loro cause, in modo che non siano dimenticati e lasciati indietro. Dopotutto parliamo di difendere i diritti di coloro che danno forma agli universi videoludici che tutti noi amiamo e meritano se non altro, almeno un poco della nostra attenzione.