I fratelli Sisters – Recensione del nuovo film di Jacques Audiard

Emanuele Massetti
Di Emanuele Massetti Recensioni Lettura da 5 minuti
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I Fratelli Sisters

Ancora una volta torna il Western. Torna a imporsi come impalcatura prediletta dai molti registi che amano il genere, oppure da quelli che non sono appassionati (come lo stesso Audiard ammette), ma ne conoscono profondamente le regole, gli archetipi, e giocano con essi piegandoli a servizio della loro poetica. Un ottimo esempio è l’ultimo film del francese Jacques Audiard, al suo primo film in lingua inglese. La pellicola è un adattamento del romanzo omonimo di Patrick deWitt. Audiard – che si è reso disponibile nel rispondere alla varie curiosità della stampa – afferma come il progetto sia partito per mano di uno dei due attori protagonisti: John C. Reilly. Durante un incontro, lo stesso attore presentò l’idea ad Audiard, con l’auspicio di ricoprire il ruolo che tanto gli stava a cuore. Il genere Western, come si diceva, è perfetto nel piegarsi a ogni genere di racconto: epico, crepuscolare, oppure intimo e malinconico. In questo caso il film sceglie la seconda strada, ma senza sfiorare la malinconia, raccontando una storia intima nella maniera più brillante e riflessiva possibile, spesso riscrivendo certi aspetti del genere come solo i grandi registi sanno fare. Lo faceva Enzo Barboni con: “Lo chiamavano Trinità” ( e qui possiamo anche ritrovare qualche aspetto dei due fratelli Sisters nella coppia Trinità/Bambino ). Lo faceva Mel Brooks con: “Mezzogiorno e mezzo di fuoco”. Lo faceva in epoca più moderna anche Seth MacFarlane, parodiando la casualità e la fatalità della morte in quei periodi così pericolosi con un film come: “Un milione di modi per morire nel West”.

Audiard gioca fin da subito con la virilità intorno al nome dei suoi protagonisti, scimmiottando in varie situazioni il nome dei due fratelli: Sisters/Sorelle. I due fratelli sono fondamentalmente due bounty killer assoldati dal Commodore (un Rutger Hauer che presta la sua faccia solo per pochissimi fotogrammi e senza proferir parola) hanno una missione da compiere e il loro viaggio si intersecherà con un’altra coppia che, a loro volta, avrà un’altra missione. Audiard sfrutta al meglio il linguaggio Western dando un’impronta apparentemente classica, ma allo stesso tempo concentrandosi nelle sfumature sarcastiche che molto spesso vengono tralasciate in altre pellicole. In questo caso si concentra sui rapporti umani, l’identità degli individui: Tra infantilità e virilità, rappresenta due fratelli agli antipodi, segnati dall’infanzia, ma uniti in uno scopo comune. La cosa più interessante sono le piccolezze. Il regista racconta con naturalezza e disincanto, quasi fosse una fiaba, l’amicizia che nasce spontanea in questi ambienti così rozzi e pragmatici, dove non c’è spazio per i sentimenti. Anche il linguaggio del corpo di ognuno dei protagonisti non è lasciato al caso. Audiard si concentra a rendere parodistici anche dei piccoli rituali privati come, ad esempio, la pulizia del corpo, che in altri film sarebbero pure sottigliezze. La spettacolarità viene spesso rappresentata con sparatorie notturne o in posti scuri e angusti, con momenti frenetici dal montaggio molto serrato: ne è un degno esempio lo straniante prologo. Tutto questo discorso aggiunge un contrasto molto interessante fra la violenza grafica e il tono ironico di fondo che pervade tutto il film: come ad esempio le liti infantili fra i due fratelli intervallate alla brutalità delle loro fredde intenzioni.

Joaquin Phoenix è un gigante come sempre nei suoi ruoli più espliciti, pervasi da una profonda schizofrenia. John C. Reilly bravissimo nell’interpretare questo fratello paziente, umano, segnato dal suo passato, ma al contempo capace di grande forza per risolvere le situazioni più difficili. Jake Gyllenhaal sceglie un ruolo ambiguo, riflessivo, mai invadente: un investigatore alla ricerca di qualcosa, forse di qualcuno, magari con la speranza di riuscire ad abbandonare finalmente quello stile di vita. Audiard ha una regia essenziale e incisiva al servizio della storia. Non prevarica mai il racconto. Senza cercare traiettorie troppo ambiziose si concentra di più negli aspetti umani e meno sulla spettacolarità.

I Fratelli Sisters
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