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God of War Ragnarok – Recensione, il crepuscolo degli Dei

Giocare con le emozioni è pericoloso: lo sanno bene i videogiocatori, che giorno dopo giorno in questa epoca di remake e di rivisitazioni, si trovano talvolta con il cuore infranto da promesse non mantenute e da scelte poco in linea con ciò che il fan si aspettava. Lo sa ancora meglio Kratos, lo spartano che mosso dalla vendetta ha sterminato tutto l’Olimpo per poi andare a vivere da umano lì dove camminano le divinità norrene. Ma lo sappiamo, mettere un fiammifero vicino alla carta è pericoloso, e se la carta in questione è fatta di divinità decisamente poco inclini alla pace e terrorizzate da un evento imminente che porrà la fine a tutto, allora il fuoco divamperà per certo. Partiamo con queste premesse per la recensione di God of War Ragnarok, diretta prosecuzione del precedente capitolo del 2018, pronto a raccontarci cosa succede dopo quel finale visto qualche anno fa.

Fa specie pensare all’accostamento di Kratos, simbolo della furia e della vendetta, con tutti quei fan che già nel 2018 non avevano preso bene il cambio di ritmo del gioco, passato da un hack ‘n’ slash a tratti isometrico a una telecamera sopra le spalle e a un gameplay più pensato, più calmo (ma ovviamente non meno violento). Lo stile che Cory Barlog ha imposto a quella sorta di restart (non possiamo definirlo reboot visto il diretto collegamento con i precedenti titoli) era ben diverso da ciò che colorava la Grecia nei giochi usciti su PlayStation 2, eppure è riuscito a restituire qualcosa, un feeling che riportava allo stesso modo il tutto verso quella saga iniziata anni prima. Barlog ha ceduto il testimone per questo secondo capitolo, passandolo a Eric Williams, personaggio meno social ma che vanta un collegamento alla serie decisamente notevole.

Parliamo di un designer che è stato dietro al combat system dei primi capitoli, per poi aiutare nella creazione e nel reinventare la saga nel 2018: la scelta di stravolgere tutto, rimuovendo alcune dinamiche come persino il salto, nacque proprio da una chiacchierata tra Barlog e Williams. Tremendamente proiettato verso il futuro, God of War Ragnarok ha però con se più passato di quanto può sembrare, soprattutto nel combat system.

Le cicatrici del passato

God of War Ragnarok, così come il suo predecessore, è ben ancorato alla saga originale. Anche se lo stesso Kratos nel precedente titolo aveva deciso di lasciarsi il passato alle spalle, sembra che adesso questo faccia capolino in modo più dirompente: non serve vedere il tatuaggio iconico di Kratos, fatto per omaggiare il fratello Deimos, né tantomeno la cicatrice sull’occhio destro, ricevuta “in dono” da Ares proprio durante il rapimento del fratello, o quella sull’addome fatta con la Spada da Zeus, per ricordare quante ne ha passate il Fantasma di Sparta. D’altro canto, ci saranno momenti in cui questi ricordi fluiranno addirittura come dialoghi tra vari personaggi, creando contesti ben più profondi e parallelismi davvero emozionanti (anche perché ricordiamoci, pure se Atreus ce lo potrebbe far dimenticare, che Kratos ha già avuto un’altra moglie e una figlia, entrambe morte tra le sue mani).

Possiamo vedere anche oltre l’apparenza però: le cicatrici che raccontano il rapporto tra padre e figlio, fatto di un Atreus cresciuto che inizia ad avere idee più ferme sul suo destino, ma anche quelle che Odino rivela, scelta dopo scelta, mostrando il terrore del Ragnarok e come stia facendo di tutto per evitarlo. Insomma, God of War Ragnarok si distanzia dal suo predecessore sotto due importanti aspetti: il primo, di certo, riguarda il tono dell’avventura, stavolta sempre raccontata con lo stile che ha reso originale il gioco del 2018, ma allo stesso tempo più profonda, sfaccettata, articolata.

Acquisiscono valore anche i personaggi secondari, ora non più semplici comparse dentro l’avventura di Kratos e Atreus, ma dettagliati e con dei trascorsi rivelati che renderanno davvero più dinamiche le situazioni interpersonali. Ogni dialogo è ancora più stratificato e ogni parola ha il suo peso, anche quando viene detta in contesto diverso e quindi porta alla mente ricordi o situazioni, piacevoli o spiacevoli. Siamo davanti alla diretta evoluzione di quella narrazione che nel 2018 aveva affascinato migliaia di videogiocatori, e che ora diventa ancora più brillante e raffinata, portandoci a tutti gli effetti un viaggio indimenticabile, ricco di significato. Le cicatrici servono però anche a ricordare i nostri errori, e forse qualche errore del 2018 è stato sistemato, considerato che il secondo aspetto su cui si distanzia da God of War, seppur non di troppo, è il combat system.

Passami l’ascia

Giocare a God of War e poi mettere mano subito dopo a Ragnarok potrebbe essere straniante, ma aver giocato il primo titolo all’uscita e questo dopo 4 anni invece potrebbe farvi passare inosservato un cambio di ritmo: nemici che rimangono più tempo in aria, combo e schivate più veloci e una velocità di combattimento accelerata quanto basta rende questo nuovo combat system decisamente più adrenalinico, più vicino ai titoli originali di quanto fosse God of War del 2018. D’altro canto, anche la parte RPG diventa ancora più profonda, con abilità sbloccabili, oggetti equipaggiabili e personalizzazioni elevate all’ennesima potenza in confronto a prima, al punto da rendere Kratos più vicino al vostro Kratos di quanto lo sia mai stato, e con la possibilità di trovare la propria strada all’interno del mondo di gioco. God of War Ragnarok vanta il miglior combat system della serie, senza ombra di dubbio, grazie soprattutto al feeling che i vostri colpi avranno quando vedrete i nemici ricevere il contraccolpo ad ogni singola direzione in cui le vostre armi andranno ad infierire.

Non entriamo nel dettaglio di questo argomento, visto che alcune cose potrebbero portarvi non tanto degli spoiler, ma delle deduzioni logiche capaci di rovinare l’esperienza, eppure vi basterà sapere che adesso dovrete davvero giocare molto più di fino, sia in base a ciò che equipaggerete (visto che addirittura le abilità potranno avere dei potenziamenti focalizzati su uno stile specifico), sia in base a quali zone affronterete. Parlando poi dei nemici, questi sono stati migliorati in termini di differenziazione, inserendo stili specifici e portando quindi il giocatore a dover vivere battaglie più ragionate, capire come sfruttare l’ambiente e attaccare in modo preciso, altrimenti la morte sarà certa. Poche purtroppo le uccisioni violente che ci aveva regalato Kratos nei precedenti titoli, non tanto per crudeltà (visto che sono anche qui altrettanto violente, seppur meno sanguinolente) ma per la ripetitività che vi darà uccidere dozzine di nemici identici (visto che le aree avranno più o meno un paio di tipologie di creature da uccidere)

Tasto dolente anche le battaglie più grandi: le boss fight, sebbene offrano spunti davvero fantastici da cogliere per poter uccidere il mostro o l’essere che abbiamo davanti, non ci sono più così tanti quick time event pronti a dare spettacolo, in favore invece di più libertà verso quel combat system che ora è meno scriptato e più articolato. Insomma, è difficile definire se questo passo sia positivo o negativo, perché dipende dagli occhi con cui lo si guarda, se con quelli del fan di lunga data, o con quelli del videogiocatore che cerca un gameplay profondo.

God of War Parte II

Ne avevamo avuto il sentore nel precedente articolo dove avevamo dato le nostre prime impressioni, ma ora ne siamo sicuri: il collegamento tra questo gioco e il precedente è davvero così profondo da rendere Ragnarok un vero e proprio sequel senza soluzione di continuità. Il gioco si apre un po’ di tempo prima del finale visto nella precedente iterazione, con un racconto che riprende quelle dinamiche e le porta a compimento. Tutto ciò che è stato fatto da Kratos e Atreus tre anni prima spinge gli ingranaggi del destino verso il Ragnarok, e questo sarà il motore che porterà i due a viaggiare e cercare vecchi e nuovi alleati (o nemici). Complice una filosofia che penso Sony stia applicando ai suoi titoli First Party, in realtà God of War Ragnarok è molto più vicino al suo predecessore in termini di trama e di gameplay di come lo sia stato The Last of Us Parte II o Horizon Forbidden West, quasi a mostrare il tutto come se fosse lo stesso gioco, solo raffinato, migliorato e reso ancora più vicino alla perfezione.

Questo racconto viene articolato dentro a una sorta di mondo lineare ma aperto, capace di dare spazio quando serve ma anche di rendere il tutto dannatamente lineare quando c’è da correre verso il prossimo obiettivo. Tutto questo si traduce in aree aperte disponibili nei vari regni, capaci di nascondere delle missioni che ci sentiremmo ingrati a definire secondari per via della profondità che portano per quanto riguarda la trama (visto che comunque aggiungono curiosità interessanti) sia per il design stesso.

Parlando di design, il mondo di gioco prende alcune delle ambientazioni già viste in passato, ma le “aggiorna” grazie al Fimbulwinter, un inverno lungo tre anni che precede il Ragnarok e che stravolge l’ecosistema di tutti e 9 i regni. Ecco allora che regni già visitati hanno stili diversi, come se ci trovassimo ad andare in vacanza in quel posto che visitavamo da bambini, ma che ora – a causa dell’essere cresciuti o del passare del tempo – risulta diverso e allo stesso tempo uguale. Forte poi la presenza di backtracking, conseguenza di alcune zone delle mappe che visiterete che non potrete sbloccare senza determinati oggetti o abilità, e di enigmi ambientali, ben più presenti in termini di numero in confronto al precedente capitolo ma comunque piacevoli (anche se un paio di volte si sono avvicinati molto alla soglia della noia, fortunatamente senza mai superarla).

Arrivando infine al comparto tecnico, il doppiaggio in alcune fasi risente di qualche intenzione troppo (o troppo poco marcata), non tanto nei due protagonisti ma nei secondari, che comunque passeranno tempo a dialogare con i personaggi e che quindi, purtroppo, renderanno involontariamente noti questi piccoli difetti. Il motore di gioco gestisce alla grande lo stile estetico, che su PlayStation 5 potrebbe sembrarvi molto vicino al predecessore (non tanto per un limite di Ragnarok, quanto per una qualità superiore alla media del precedente), ma gli effetti particellari e i dettagli sapranno lasciarvi a bocca aperta. Incognita rimane la scelta di mettere quei piccoli trucchi usati per i caricamenti, considerato che l’SSD della PlayStation 5 riesce in giochi come Ratchet & Clank ad avere velocità impressionanti, ma forse questo potrebbe essere l’unico strascico della precedente generazione, visto che God of War Ragnarok arriverà anche su PlayStation 4. Peccato per il DualSense, davvero poco sfruttato in questo gioco, forse per una pigrizia di sviluppo che avrebbe potuto davvero dare molto di più su questo lato e che invece si riduce a qualche resistenza sui trigger dorsali.

God of War Ragnarok

9.5

Questo nuovo capitolo riprende da dove ci eravamo fermati, esattamente il secondo successivo, per portarci alle prese di questo Ragnarok che tanto terrorizza Odino e che è costellato di profezie confuse al punto da farci sentire la mancanza delle Parche Greche, in confronto chiare come un dizionario. Tecnicamente eccellente, DualSense e qualche scelta estetica risentono della natura cross-gen di God of War Ragnarok, ma per il resto abbiamo una diretta prosecuzione che ci porta nuove avventure di Kratos e Atreus. Solo che ora tutto è più profondo, dal combat system ancora più frenetico (finalmente) alla caratterizzazione che stavolta affonda ancora di più le radici verso un dettaglio stratificato e profondo. Picchiare creature durante il Fimbulwinter non è mai stato così divertente.;s

Simone Lelli
Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.

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