Ghostwire: Tokyo – Provate le prime ore di gioco

Abbiamo giocato qualche ora a Ghostwire: Tokyo, nuovo videogioco in arrivo di Tango Gameworks: ecco cosa ne pensiamo nel nostro provato.

Simone Lelli
Di Simone Lelli - Editor in Chief Impressioni Lettura da 7 minuti

Nel 2022 non basta più un bel concept per poter stupire: lo dimostrano quelle dozzine di videogiochi che negli annunci brillano ma poi, pad alla mano, perdono tutto. Per la legge del contrappasso, esistono giochi che non mostrano tutto quello che sanno fare, ma che una volta iniziati non vi fanno spegnere la console. Ghostwire: Tokyo, almeno nelle prime ore di gioco che abbiamo provato coi primi due capitoli, rientra in questa seconda categoria.

Dritti in campo

Il gioco non si perde in chiacchiere e ci lancia subito al centro dell’azione, anche se è desolata: un qualche attacco sovrannaturale causato da alcuni personaggi decisamente poco raccomandabili ha fatto sparire tutti i cittadini di Tokyo, così da poter raccogliere le loro anime e trarne energia. Il protagonista Akito, dopo un incidente, viene impossessato dall’anima di un cacciatore di demoni e spiriti, KK, e insieme dovranno partire per questa avventura così da poter sconfiggere Hannya.

Il gioco sfrutta una mappa aperta di Tokyo – che però dovrete sbloccare – per darvi totale accesso a ogni zona: salire sui palazzi sfruttando i Tengu, oppure passare per i vicoli stretti pronti a mostrarvi qualche pericolo, sono solo due delle opzioni che avrete, visto che il gioco propone una mappa esplorabile davvero in lungo e in largo. Tokyo inoltre brilla tecnicamente, con uno stile cupo ma capace di mostrare le luci di questa città ormai deserta.

Abbiamo provato il gioco su PlayStation 5, e per questo abbiamo potuto sperimentare anche l’esperienza del DualSense, capace di dare un feedback aptico ad ogni colpo dei nostri attacchi. Parlando proprio di questi, la differenziazione tra le varie “abilità” che potrà usare Akito è eccezionale, ed è evidente lo studio che c’è stato dietro per creare un gameplay capace di offire una sfida: anche se infatti potrebbe non sembrare, in realtà i nemici sono molto agguerriti, e combatterli in prima persona risulterà difficile ma appagante.

L’esperienza di avere abilità particolari, piuttosto che armi o poteri “classici” che abbiamo provato in diversi videogiochi, rende Ghostwire: Tokyo fresco e originale, al punto da farci voler giocare ancora e ancora. Ciò che però non traspare dai video mostrati fino ad oggi è l‘apertura della mappa di gioco, il modo in cui la Tokyo desolata risulta comunque viva e vegeta, attiva e pronta a mostrare ogni singolo dettaglio – qualitativamente fantastico – come se fossimo davvero li.

Talismani e Potere Spirituale

Nel corso del gioco Akito e KK sbloccheranno tante cose: alcune riguarderanno la storia dei due personaggi, differente ma legata al nemico del titolo, altre invece le abilità che KK presterà a Akito per combattere. Per ciò che concerne la storia, le due trame sono ben strutturate, e il modo in cui evolvono e sorprendono non è da poco, considerato che il gioco mostra un gameplay stratificato e complesso (e spesso le due cose non viaggiano di pari passo).

Le abilità invece sono la cosa che diverte di più nelle fasi di combattimento. Nel corso di queste ore abbiamo potuto sbloccare un arco magico, tre tipi di attacchi spirituali e un talismano, e la soluzione per vincere il combattimento con le varie entità rimane solo quella di concatenare le varie cose, vuoi per le munizioni abbastanza scarse in giro, vuoi perché a seconda della posizione, della quantità e della tipologia dei nemici, dovrete adattarvi. A questo aggiungete anche una serie di attività, collezionabili e missioni secondarie talmente varie e differenziate, che vi perderete all’interno della città. Proprio le secondarie sono le missioni che più ci hanno stupito, spesso legate a contesti riguardanti mitologia giapponese e storie urbane: non sarà strano per esempio vedere uno spirito di un defunto che, se in vita accumulava oggetti, da morto crea dei buchi neri capaci di assorbire oggetti e anime.

Sebbene Ghostwire: Tokyo prenda spunto da creature anche più “moderne”, c’è un’attenzione ai dettagli legata alla cultura giapponese senza precedenti, almeno per quanto riguarda il sovrannaturale. Molte storie e leggende davvero raccontate prendono vita all’interno di questo gioco in un modo unico e indelebile, e ogni singolo nemico – che si differenzierà non solo per tipologia ma anche per caratteristica – mostra un horror visto di rado nel mondo del gaming (e scomparso almeno dall’uscita di Obscure su PlayStation 2).

Parlando di queste creature, ognuna di esse poi è capace di esistere sotto “forme diverse”, e a seconda di queste cambieranno anche gli attacchi, le resistenze e come si comporteranno sulla mappa. Se quindi avrete le forze per analizzare meglio le creature (e magari sopravvivere), troverete molti dettagli interessanti sulle loro origini, partendo dai semplici Slenderman e arrivando fino a creature particolari come l’Amewarashi, un bambino con impermeabile giallo che è stato separato dai genitori.

Tecnicamente lo abbiamo già detto, ma tra il doppiaggio in giapponese, il lavoro audio fatto sugli spiriti e i yokai e la qualità grafica, Ghostwire: Tokyo è estremamente piacevole da vedere e da sentire, e un paio di volte qualche spavento – seppur non nel modo classico del jumpscare – ce l’ha dato. Esplorare e fermarsi a vedere ogni vetrina sarà interessante anche se non inerente al gioco in sé, proprio per il lavoro ricamato fatto per ogni singolo poligono di gioco.

Ghostwire: Tokyo , durante le prime ore che abbiamo provato, ci ha mostrato come un gioco debba essere: originale, unico e divertente. La profondità della trama doppia – che dobbiamo ancora capire come evolverà, ma che per ora ci ha a dir poco catturato – unita ad un gameplay stratificato e solido, rende il gioco una ventata di aria fresca. Ora dobbiamo capire solo se questa ventata sia un semplice piccolo vento autunnale, o se invece abbiamo davanti un gioco che davvero potrà staccarci dai soliti e consueti open world fantasy. Per ora, sembra proprio di si.

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Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.