L’errore prevenuto di giudicare prima di aver provato, è intrinseco di questo mondo e di questi prodotti. A periodi alterni salta fuori qualche corvo di sventura, professore di economia proveniente da prestigiose università della vita o game designer di provincia, che dichiara con convinzione l’imminente morte della Games Workshop ed il fallimento dei suoi titoli.
“Fa sempre così la gw, non cambia mai”
“Ad ogni nuova uscita si possono buttare quelle vecchie”
“Age of Sigmar non venderà mai e Shadespire fallirà in un battibaleno”
Per nostra fortuna la Games Workshop continua la sua mission, oramai trentennale, di produrre giochi, sintesi di scultura, ambientazione e giocabilità, che hanno reso oggi Warhammer il colosso che tutti conosciamo. Ed il neonato Warhammer Underworlds, seppur il più piccolo della famiglia, non è certo da meno dei suoi fratelli più grandi.
A distanza di pochi mesi dall’uscita del Core Set, sotto una comunità che si estende a macchia d’olio, il gioco si espande con due nuove bande prese dall’ambientazione di Age of Sigmar e si tinge per metà di verde, con modelli presi dalle order barbariche degli Ironjawz, e metà di viola, richiamo al drappeggio dei freddi tumuli del Reame di Nagash.
Così I ragazzi di Ironskullz e le Guardie dei Sepolcri, seppur profondamente diversi per stile, profili e caratteristiche, condividono ancora una volta la cura per i dettagli che descrive al meglio l’arte raggiunta dai designer di Notthingham. Non è difficile rendersi conto che con solo due nuove bande lo spettro delle possibilità già offerte in Warhammer Underworlds si sia allargato così tanto: basta una veloce occhiata alla ricca scelta di carte e profili inclusi nelle scatole a convincerci di questo pensiero.
Una storia in continua evoluzione che sembra evolversi velocemente ad ogni nuovo capitolo, una storia che uscita dopo uscita merita sempre più di essere seguita.