Vi pongo un paio di domande: quanti di voi si sarebbero aspettati, ben quattro anni fa, di vedere il fu neo annunciato Final Fantasy XIV tagliare il nastro di inaugurazione della sua seconda espansione? Quanti di voi hanno acclamato o snobbato il titolo bollandolo come nuovo fallimento della Square? Quanti, invece, hanno puntato il dito verso la software house accusandola di investire soldi e tempo in un progetto morto, magari a discapito di altri più importanti e attesi come la quindicesima fantasia finale? Qualsiasi sia stata la vostra posizione in merito, oramai non importa più. Come in una bella partita di calcio, concitata, dove le due squadre si equivalgono e solo le abilità dei fuoriclasse hanno il potere di far pendere l’ago della bilancia a proprio favore, così le capacità di un genio sono in grado di compiere quel miracolo tanto sperato. Square Enix, il suo Enrico V lo aveva, e gli è bastato conferirgli il comando per fargli compiere quello che possiamo definire, senza ombra di dubbio, il miracolo videoludico di più grossa portata della scorsa generazione.
Yoshida-san e il suo team hanno lavorato notte e giorno per permettere ad uno dei titoli più controversi della mamma di Final Fantasy di ritornare in vita, ma tutto il lavoro svolto e le fatiche patite dai nostri eroi hanno trovato la loro sublimazione nelle lacrime versate da Naoki Yoshida durante il launch event di A Realm Reborn, il 28 agosto del lontano 2013, dove tutt’altro che sorridente e trionfale come siamo stati abituati a vederlo nelle ultime apparizioni dei Fan Festival, insieme a tutto il suo team a testa bassa, annunciava l’apertura ufficiale dei server. Il miracolo era avvenuto, l’impresa era stata portata a termine. Nel giro di un anno e mezzo, il brutto anatroccolo dei Final Fantasy aveva spiegato le proprie imponenti ali pronto a librarsi leggiadro nell’aria e a compiere il suo maestoso volo, imponendosi con forza come uno dei migliori MMORPG mai creati.
Quell’aquila vola ancora alta nel cielo e questa volta è pronta a portare venti di rivoluzione, e non solo sulla nostra cara Eorzea, ma anche su di un nuovo continente completamento inesplorato: Othard, estremo oriente (per il momento) del mondo su cui le nostre avventure hanno avuto un inizio… e chissà una fine. Le scintille di guerra, alimentate dall’oppressione estrema e brutale dell’impero Garlean, hanno portato allo scoppio di ben due rivoluzioni: la prima vede l’arcinota Ala Mhigo riprendersi la sua libertà dopo venti anni e giogo, mentre la seconda ci vede alle prese con la liberazione di Doma, città introdotta solo nominalmente nella lontana patch 2.2 (marzo 2014). Due imprese, due storie parallele che si districano attraverso zone nuove, personaggi nuovi e due nuovi primal (Susano e Lakshmi) da combattere legati a due nuove beast tribe.
La trama di Stormblood, quindi, ci appare divisa in due capitoli: da una parte abbiamo gli eorzeani capitanati da Raubahn che combattono nella regione di Gyr Abania per liberare Ala Mhigo, dall’altro lato abbiamo le vicende di Lord Hien intento a salvare Doma. Senza troppi problemi, possiamo definire la narrativa, lo storytelling di questa espansione come il punto più alto di tutto Final Fantasy XIV caratterizzato da intrecci perfetti: macrostorie suddivise in microstorie proprie di ognuna delle nuove aeree e che vanno ad incastrarsi come le perle di una collana, che vede ai due capi le due rivoluzioni e le due regioni del mondo tenute insieme dalla nuova grande città Kugane. Quest’ultima non solo fa da collante tra le nazioni in guerra, ma si innesta come una delle microstorie che ci ritroveremo a vivere. Ma andiamo più nello specifico per spiegarci meglio: in ogni area dove approderemo, che sia The Ruby Sea, Kugane o The Peaks, non solo ci ritroveremo di fronte ad un ecosistema esteticamente diverso rispetto a tutti gli altri che rende realmente unica, indimenticabile ed inimitabile tale zona (come sempre), ma essa ci narrerà una storia diversa che riguarderà la vita della popolazione con cui entreremo in contatto, conoscendo i loro motivi, le loro volontà, le loro paure, i loro dubbi, le loro tradizioni e le loro culture che ricadranno e si scontreranno con la nostra volontà di proseguire e di adempiere alla nostra missione. Così li aiuteremo, con uno stile ruolistico squisitamente giapponese, e, di volta in volta, li faremo alleati preziosi in vista della battaglia finale (e qui, i più svegli tra di voi udiranno richiami alla struttura dei giochi di ruoli occidentali).
Alcune zone, poi, raccontano più di una storia e a più livelli: per fare un esempio, in The Ruby Sea avremo a che fare sia con chi il mare lo naviga e con chi sotto il livello del mare ci abita. Due storie diverse e distanti in una sola area che convergono poi in una, che finisce con l’identificarsi con la nostra, consentendoci di raggiungere una parte del nostro obiettivo e avanzare nella prossima area, poeticamente e romanticamente introdotta da un monologo interiore di Lyse, protagonista del nostro viaggio. A questo schema non sfuggono nemmeno Rhalgr’s Reach, uno degli hub centrali della storia e delle attività endgame (costruito e pensato con molto più impegno rispetto al precedente Idyllshire in Heavensward), e Kugane, la nuova città-stato, costruita con uno stile nipponico, che vede negli accordi economici-politici la propria arma per la sopravvivenza, aprendo le porte sia agli eorzeani che agli imperiali e mostrandosi cortese e ben disposta verso tutti.
Così come nella vecchia espansione, anche Stormblood ci presenterà ben sei zone esplorabili, più due hub (funzionali anche alla storia): una città-stato (Kugane, appunto) e Rhalgr’s Reach, per un totale di ben otto zone nuove, quattro appartenenti ad Eorzea e l’altra parte ai due continenti di Othard e Hingashi, estremo oriente del mondo.
Le prime quattro, che rappresentano il primo filone narrativo, riprendono strutture ed ecosistemi che possiamo rinvenire nelle zone indiane del mondo reale, dimostrando la totale ispirazione ad esso. Ispirazione che vediamo condensata con forza nell’altra parte del mondo, che attinge a piene a mani dall’ecosistema, dalla cultura e dalle tradizioni giapponesi, come abbiamo avuto già modo di affermare. The Azim Steppe, invece, rompe un po’ con quanto detto prima, mostrandosi più simile al paesaggio della Mongolia. Proprio di quest’ultima mappa, oltre a The Ruby Sea, si dovrebbe discutere in quanto dimostrazione della cura maniacale di Yoshida e compagni con cui hanno tratteggiato i popoli delle steppe fin nel dettaglio, delineando e caratterizzando ogni clan, credenza e la società chiusa ad ogni contatto esterno di questa particolarissima area. Un’altra zona di grande importanza è The Ruby Sea, che si interpone tra Kugane e Doma. Chi vi scrive, l’ha trovata come l’area meglio costruita di tutta l’espansione, in quanto è l’unica che sfrutta al meglio delle possibilità la nuova feature più importante tra tutte: il nuoto. La vera grande novità di Stormblood, che amplia la possibilità di esplorazione, è la possibilità di nuotare (chiaramente in determinate aree sia nuove che vecchie) e la possibilità di immergerci per poter continuare l’esplorazione nelle profondità subacquee dove troveremo un nuovo ecosistema, nuove quest, dungeon secondari, villaggi con relativi NPC (di importanza per trama principale), percorsi alternativi e spot per il gathering. Tutto questo, unito al volo (introdotto nell’espansione precedente) e alla percorribilità standard via terra, rende The Ruby Sea la mappa meglio costruita di tutta l’espansione, in cui sarà necessario pensare l’esplorazione a 360 gradi.
Altra componente di grande importanza è rappresentata dai personaggi che affolleranno la nostra avventura. Neanche questa volta Square Enix si è voluta risparmiare, presentando una folta schiera di eroi di grande carisma e caratterizzazione. A scendere in campo per la propria nazione (Doma), dopo circa 3 anni di attesa, sarà finalmente Yugiri, affiancata dal samurai Gosetsu, dall’altro lato (Ala Mhigo) abbiamo Raubahn, il toro di Ala Mhigo, pronto a sfogare una rabbia repressa per vent’anni, gli altri capi delle città-stato e gli eroi degli Scions of the Seventh Dawn. Le vecchie conoscenze si fondono assieme alle nuove come le antagoniste Fordola e Yotsuyu, i pirati della Confederazione, Hancock, Conrad, i guerrieri au ra delle steppe e infine il carismatico Lord Hien e l’indiscusso antagonista, nonché pazzo sanguinario, Zenos yae Galvus. Per quanto noioso, l’elenco appena fatto è doveroso e dovrebbe far riflettere, questo perché Stormblood riesce a conferire ad ogni personaggio (di una certa rilevanza) un aspetto unico, un lato che apparterrà solo ad esso stampando nella mente del giocatore la figura di quell’eroe e le sue vicende. Alcuni, ovviamente, saranno più approfonditi rispetto ad altri, ma se la volontà di Square era quella di regalare sfaccettare indimenticabili di questo viaggio da applausi, allora sì: è riuscita perfettamente nel suo intento. Io, da giocatore, ho partecipato emotivamente alla rivoluzione tanto interiore quanto esteriore di ognuno di essi, sia del pirata della Confederazione sia dell’abitante del villaggio alle porte di Doma. Ognuno di essi risplende di luce propria e avrà la sua parte all’interno dello spartito di una delle melodie più belle che Final Fantasy XIV abbia mai eseguito.
Ma Stormblood va oltre, facendoci titubare e dubitare delle nostre azioni, arrivando a farci empatizzare con i nostri nemici, arrivando a farci comprendere le loro motivazioni… e magari riuscendo nell’impresa di farci sperare nella loro redenzione. Il più importante personaggio, e intorno cui ruotano tutte le vicende che si susseguiranno, sarà Lyse. La bionda monk avrà un posto speciale nelle nostre peregrinazioni, in quanto sarà onnipresente all’interno del nostro party (che rispetterà rigorosamente i quattro membri, mostrando anche come la storia sia costruita ad hoc per far quadrare squisitamente questa chicca narrativa che strizza l’occhio ai vecchi Final Fantasy) e sarà l’ispiratrice della rivoluzione di Ala Mhigo. Il suo però non sarà una semplice scampagnata nelle terre dell’Est: quello che si ritroverà ad affrontare è un vero e proprio viaggio di formazione. Lyse, infatti, partirà dalle proprie terre incapace di trasmettere il coraggio e il sentimento nei cuori della sua gente, attraverserà il continente di Othard fino a giungere dinanzi agli occhi di Lord Hien, personaggio speculare a lei per intenzioni e ruolo, che riuscirà ad ispirarla a tal punto da permettere quel cambiamento tale che l’accompagnerà nel viaggio di ritorno e che le consentirà di porsi come la guida di una intera nazione. Tutti i tasselli sono posizionati al posto giusto, ogni trama (o sottotrama) che possa sembrare lasciata in sospeso avrà il suo momento dove potrà tornare in auge, sposandosi perfettamente con l’evoluzione della Main Story. Fino alla fine i colpi di scena saranno molteplici, fino alla fine (seriamente, fino alla fine) i personaggi avranno qualcosa da raccontare, e il finale da brividi sarà il coronamento di una espansione che esprime l’apice della genialità di Naoki Yoshida e di tutta Square Enix. Se la main quest e le side quest (interessantissime per comprendere alcune nozioni di lore) sono la dimostrazione delle incredibili potenzialità del titolo, tanto si può dire del gameplay, componente apprezzatissima del titolo.
Yoshida ha da tempo reso noto la sua volontà di modificare il battle system che ha fatto la fortuna del gioco, questo perché l’ulteriore innalzamento del level cap da 60 a 70 avrebbe introdotto altre nuove skill, rendendo ancora più difficile ed ostiche le esecuzioni delle rotation di mosse da fare per massimizzare i danni, ma non solo: in questi quattro anni di gioco – e chi vi scrive ha potuto toccare con mano questa realtà – si è potuto notare un forte gap tra l’abilità dei giocatori più hardcore e quella dei meno dediti al titolo. La volontà di combattere questa disparità e di scremare le rotazioni di battaglia hanno portato alla concretizzazione di quel “revamped battle system” che ha destato la curiosità di tutti. Nulla da dire: il nuovo sistema funziona, convince e va alla grande: molti job, come il Bard, sono stati rivisti e ribilanciati, altri hanno mantenuto la stessa base di fondo, ma hanno visto rivisitate alcune meccaniche introdotte in Heavensward, come il Dragoon. La fatica ha di certo ripagato gli uomini di Yoshida perché la macchina funziona e funziona bene, il gameplay risulta decisamente più fluido e meno ostico, soprattutto nelle battaglie più difficili. Vi starete chiedendo: e la difficoltà che ha caratterizzato il titolo? È svanita? La strada per imparare a dovere il proprio lavoro come DPS, Tank od Healer è sempre in salita e sebbene tale difficoltà sia stata ridotta, tale verrà compensata dalle meccaniche che saranno presenti nelle trial (le sfide contro i boss) e nei raid endgame, e un primo assaggio di ciò lo abbiamo potuto provare dal boss finale della trama, lo “story trial” più difficile della storia del gioco, capace di rivelarsi un serio grattacapo anche per i giocatori più esperti.
Proprio delle nuove sfide parleremo adesso, siccome nel momento in cui è stata scritta questa recensione, sono stati rilasciati i due primal in versione Extreme (Susano e Lakshmi) e la modalità storia del raid endgame Omega: Deltascape. La realizzazione di questi contenuti è da applausi. Le trial dei primal sono sempre state di grandissima fattura, ma difficilmente mi sono ritrovato così estasiato come di fronte a questi due boss, che portano con sé meccaniche nuove di combattimento e una rivisitazione della “Duty Action” resa più immediata, una soundtrack che è una gioia per le orecchie e tanto tanto carisma. Come se tutto questo non fosse abbastanza, ecco sopraggiungere Omega che, con i suoi primi quattro piani su dodici (verranno rilasciati più avanti), attinge a piene mani in quell’infinito bacino di ispirazione che sono i vecchi Final Fantasy, in particolar modo questo contenuto vede comporre frasi d’amore nei confronti del quinto capitolo, da cui riprende diversi personaggi.
A rifinire questo bellissimo quadretto sono i nuovi job inseriti: Il Red Mage e il Samurai. Yoshi-P ha oltremodo accontentato le richieste dei fan, aggiungendo al roster delle classi due delle più amate e richieste in assoluto nella storia del gioco – me compreso. Il primo un caster con una combo melee, il secondo un melee puro, si sono immediatamente imposti come i migliori interpreti dei loro rispettivi ruoli, sfoggiando prestazioni che assicurano un output di danno davvero eccezionale. Il Red Mage giocherà moltissimo sulle chainspell delle cosiddette magie rosse (una versione particolare delle magie nere e bianche) e la velocità di cast, oltre ad un combo melee in pieno stile scherma francese che servirà per scaricare le due barre di mana bianco e mana nero; dal lato opposto, abbiamo il Samurai che sfrutta i Sen, per caricare delle tecniche legate allo Iaijutsu, e i Kenki, punti che verranno accumulati e spesi per gli Hissatsu, tecniche che utilizzeranno quei punti per diverse abilità (skill, buff). Se siete abbastanza attenti, avrete notato qualcosa di strano: cosa sono le barre di mana nero e bianco, Sen e Kenki? O meglio: come ci vengono mostrate queste feature? Stormblood, come già detto, ha avuto l’onere e l’onore di rimodellare il combat system ed una delle più importanti aggiunte è la Job Gauge, vale a dire barre che rappresentano la meccanica base del job: nel caso del Dragoon avremo i secondi di Blood Of The Dragon e Life Of The Dragon, nel caso del Warrior ci saranno le stack di Wrath, nel caso del Red Mage le percentuali di mana bianco e nero. Una trovata estetica niente male che riduce il numero di buff attivi e rende quelli essenziali più visibili. Quest’aria di rinnovamento (o di rivoluzione) ha portato cambiamenti anche nelle skill primarie dei job, che sono state ridotte di molto: alcune sono state eliminate, altre trasformate in traits (abilità passive) e altre ancora trasformate in role action (come Invigorate e Leg Sweep). Grandi cambiamenti sono stati fatti nell’ambito statistiche: le leggendarie Parry e Accuracy hanno lasciato il posto a Tenacity, utile ai tank, e Direct Hit Rate, utilissima per le classi DPS e cambierà i danni che verranno inflitti ai nemici, più alta la statistica, più forti saranno i colpi messi a segno. Un cambiamento senza dubbio atteso in quanto molti giocatori Tank erano arrivati a tal punto da snobbare Parry, puntando su statistiche in grado di aumentare i danni inflitti. Se questi cambiamenti vi sembrano tanto, sappiate che Stormblood non si ferma qui: tante sono le innovazioni a livello di gameplay, sia per quanto riguarda le meccaniche dei boss sia per quanto riguarda la semplice sidequest, manifestando una cura per quest’espansione che sprizza passione da ogni zona, da ogni animazione, da ogni combattimento e da ogni traccia audio.
E gli applausi si sprecano di fronte al comparto sonoro di questo capitolo, che si piazza senza difficoltà al di sopra di qualsiasi altro titolo della quattordicesima fantasia. Le musiche che accompagnano i “fight” e le nostre esplorazioni nelle zone sono azzeccate, evocative, solenni, impossibili da dimenticare. Il tema principale Revolution è stato realizzato dal leggendario Nobuo Uematsu, mentre le altre dal solito Masayoshi Soken che ora più che mai ha dato prova del suo grandissimo estro intessendo una colonna sonora perfetta, capace di conferire la giusta memorabilità ad uno dei viaggi più belli di Final Fantasy.
Sono rimasto genuinamente estasiato. Ho mal vissuto Heavensward, l’espansione precedente, in quanto non sia riuscita a darmi le stesse emozioni e la voglia di portare avanti il mio viaggio. La guerra dei draghi non destò in me, tranne che per alcuni aspetti, la giusta curiosità così come aveva fatto A Realm Reborn. Sicuramente fu un passo avanti, ma Heavensward rappresentò quasi una stagnazione di ciò che di buono il suo predecessore aveva fatto, senza una vera e propria evoluzione (se non per qualcosa), presentando contenuti con una componente narrativa sì ottima, ma leggermente fiacca, che non è riuscita ad incidere così come forse gli autori avrebbero voluto. Stormblood riesce esattamente in tutto ciò in cui il suo predecessore non è riuscito: rinnova, innova, ripropone vecchie meccaniche e le impreziosisce con quegli elementi che hanno fatto la fortuna del titolo. Gli appassionati non potranno non innamorarsi alla vista di tutto ciò che questa espansione porta, non potranno non lasciarsi trasportare dalla musica, né dimenticare le vicende e i personaggi che questa tempesta cremisi ha portato con sé: una profonda e passionale lettera d’amore scritta col sangue di due popoli oppressi e con le lacrime del suo ideatore dedicata a tutti coloro che hanno avuto l’ardire di supportare questo gioco, i veri protagonisti a cui Yoshida fa sempre riferimento con grande rispetto. La strada, però, è ancora lunga da percorrere, ci sono altre cinque patch che aggiungeranno altri contenuti e solo alla fine di queste potremmo dare un vero e proprio bilancio di questa espansione (mancano ancora i tre piani del raid a ventiquattro persone “Return To Ivalice”, i due piani di Omega, Diadem, il nuovo Deep Dungeon ecc…) bisognerà aspettare le cinque patch che arriveranno durante l’arco di questi due anni, prima della 5.0, e che aggiungeranno molti altri contenuti e il proseguo della storia. Eppure, ciò che abbiamo di fronte è un prodotto di altissimo livello che tutti dovrebbero provare, in particolar modo i più scettici, che pensano che la magia di Final Fantasy sia completamente assente in questi capitoli online.