Dust to the End è uno di quei tanti titoli indipendenti ambientati in contesti apocalittici che fanno di combattimenti a turni e di meccaniche survival abbozzate la loro anima ludica, con un piccolo elemento aggiuntivo che abbiamo riscontrato in fase di recensione. Nonostante il genere rodato, questa volta le cose sono andate anche peggio del previsto. Per quanto riguarda la storia, abbiamo osservato che le vicende di Dust to the End sfruttano delle premesse narrative abbastanza abusate dal nostro media preferito, con il solito olocausto nucleare dovuto alla guerra fra nazioni belligeranti. Come al solito, dopo il terribile disastro, restano solo pochi sopravvissuti in lotta fra di loro, e in particolare molti individui sono riusciti a organizzarsi in piccoli villaggi continuamente spazzati dalla sabbia che imperversa di giorno e di notte.
Il personaggio che controlliamo è sfuggito al cataclisma in una sorta di bunker sotterraneo, altra premessa che ci ricorda fin troppo Fallout. Il nostro eroe viene infatti spinto da forza maggiore a scappare, e si ritrova dinanzi al deserto nel quale viene poi recuperato da un gruppo di carovanieri delle dune. È in questo universo post apocalittico che dovremo organizzarci e renderci utili agli abitanti della comunità che ci ha salvato, facendo la spola e commerciando con gli altri avamposti, oltre che cercando di razionare le nostre risorse per sopravvivere ai lunghi viaggi.
Lunghe camminate e qualche battaglia
Proprio sul concetto di perigliosi viaggi per i deserti si basano gli elementi ludici di Dust to the End grazie a un mix sulla carta interessante… ma poi in pratica mal eseguito, sia sul lato survival che su quello del combattimento. Infatti, come sopravvissuti in forze e con un’arma a disposizione dovremo percorrere decine di chilometri di deserto, inizialmente solo a piedi, cercando di razionare acqua e cibo per arrivare a destinazione in sicurezza. Lo spazio dell’inventario è inizialmente uno dei limiti maggiori perché gli zainetti che ci ritroveremo sulle spalle possono trasportare poca roba e sarà importante decidere se dare priorità alle merci o agli alimenti necessari per compiere gli spostamenti in salute.
Questo elemento survival pecca purtroppo di originalità visto che è uno degli elementi più sfruttati dagli indie del genere, almeno in questo periodo (pensiamo per esempio a Dead Age 2). Tuttavia, un piccolo barlume di speranza di varietà sa offrirlo l’elemento commerciale da carovaniere che porta in campo un sistema economico abbasta variegato, con ogni cittadina che dispone di un particolare tipo di risorsa ma difetta di altre, e quindi ha necessità di commerciare per ottenerla. Il già menzionato apparato commerciale non ha chissà quale livello di complessità, ma è sufficiente per dare uno stimolo aggiuntivo al player per percorrere i lunghi chilometri necessari per raggiungerli.
Una volta raggiunto un determinato quantitativo di soldi sarà però necessario pagare una sorta di tassa imposta che permette a tutti i villaggi confinanti di avere accesso, fra le altre cose, anche a un potente farmaco utile per tenere lontane alcune mostruose creature delle sabbia che possono attaccare le zone abitate e di conseguenza metterle in pericolo.
“Esplorare” la zona non è sempre sicuro perché nel corso dei viaggi potremmo essere interrotti da criminali o anche vedere degli scontri fra alcune fazioni. Starà a noi decidere se fuggire o provare a scontrarci e dare quindi il via a delle lotte a turni in stile JRPG. Il gioco trae molte delle sue caratteristiche dai giochi di ruolo a turni con tanto di mosse speciali e attacchi di precisione. Anche se dobbiamo precisare che queste sono spesso applicate in modo poco profondo e non troppo incisivo durante gli scontri, che sono in generale abbastanza statici. Gli scontri sono infatti delle battaglie fra il nostro party (composto inizialmente solo dal nostro pg e da un mentore) contro un piccolo gruppetto standard di avversari. I nemici in questo frangente si sono spesso dimostrati come poco caratterizzati sia esteticamente che negli attacchi e persino le belve e i mosti radioattivi che possiamo affrontare nel deserto sono tutti molto simili fra loro. L’unico elemento strategico degno di nota è che attaccare i nemici può essere anche uno spreco considerevole di risorse alimentari e quindi va sempre tenuto d’occhio il contatore di cibo e acqua per non rischiare di restare tragicamente a secco nel bel mezzo della traversata. Parlando del sistema ruolistico il titolo si è dimostrato come alquanto basilare, a tratti quasi “trascurato”, con due principali classi: quella ranged e quella melee, che si presentano con i loro relativi stereotipi di sorta senza veri lampi di originalità per il genere.
Un colpo d’occhio da dimenticare
Quello che ci ha più lasciati contrariati quando ci siamo approcciati a Dust to the End per questa recensione, non è stata però la già citata storia, vista e rivista, e nemmeno il gameplay quasi privo di qualsiasi mordente, piuttosto è stata la banalità e la poca cura che è stata posta sul lato grafico del titolo. Vogliamo fare una doverosa premessa, non parliamo tanto delle caratteristiche tecniche del gioco, che anche queste richiederebbero un paragrafo a parte, ma soprattutto del lato prettamente artistico dello stesso e della capacità dell’ambientazione di far immergere il giocatore in quel determinato universo.
Cominciamo dai villaggi, realizzati su fondali quasi copiati e incollati di una distesa di sabbia con qualche casupola, con pochissimi edifici con cui poter interagire e con praticamente quasi nessun NPC con il quale scambiare quattro chiacchere. Infatti, il prodotto ci permette di interagire soprattutto e quasi esclusivamente con i mercanti, o dovremmo dire il “mercante” disponibile in ogni villaggio. Questo imbarazzante individuo avanti con l’età e la canottiera bianca sporca di sabbia è infatti stato copiato e incollato in tutti i possibili luoghi con le medesime sembianze e ci accoglie nel suo piccolo negozietto, posto esattamente nello stesso punto di ogni cittadina con quasi la stessa identica struttura. L’unica cosa che cambia sono le merci in vendita e le percentuali tipiche di ogni area. Dal lato artistico, gli unici elementi di qualità sono esclusivamente gli sprite dei personaggi principali della storia, che per quanto stereotipi su due gambe, hanno almeno la decenza di essere ben disegnati.
Anche il lato tecnico di Dust to the End è da dimenticare, con un’altra piccola premessa che dobbiamo fare: i requisiti PC minimi richiesti per poter fruire del gioco sono bassissimi e questa scelta si ripercuote sulla qualità delle texture molto scarsa. Un peccato perché, come premesso, parliamo di un prodotto a bassissimo budget, quindi non ci sentiamo di colpevolizzare troppo gli sviluppatori per non essere riusciti a creare un titolo ambizioso da un punto di vista tecnico.
Tuttavia, non possiamo accettare il livello di non curanza da parte dei ragazzi di Haloy Games, che almeno ad un occhio esterno non sembrano essersi minimamente curati di tutto il lato artistico del titolo che sprizza mediocrità e disinteresse da tutti i pori. Un vero peccato. In questo contesto vogliamo anche inserire una piccola nota di colore, visto che allo stato attuale i requisiti minimi indicati su Steam presentano un grave errore concettuale, visto che viene richiesta una scheda grafica NVIDIA Geforce GT 760 che non esiste e non è mai esistita sul mercato. Molto probabilmente gli sviluppatori volevano indicare invece la GT 7600 GT (scheda dalle caratteristiche estremamente budget), da non confondere assolutamente con la GTX 760, visto che parliamo di un divario di oltre il 3700% di potenza a livello di benchmark.