Avere la possibilità di parlare, di raccontare qualcosa liberamente senza il terrore di essere limitati o intimiditi da una società che potrebbe giudicarti non dal tuo valore, ma dalla tua etnia, e poi semplicemente andare oltre, crescere migliorare. E’ proprio su una visione del genere che questa recensione di Due estranei prende forma, evidenziando il peso creativo che continua a scalpitare dalla prima all’ultima scena della pellicola in questione. Il valore della libertà espressiva, resta fondamentale specialmente nella nostra attualità, specialmente in seguito a tutti i passi in avanti attuati dall’umanità nel corso dei secoli, nel corso di una storia che si è sempre macchiata del sangue di milioni d’innocenti e che, ancora oggi, sembra non aver troppo imparato. La violenza quotidiana e la pochezza culturale diventano, prima ancora di essere materiale creativo, discorso diretto e feroce e attuale, atto non soltanto a narrare un qualcosa ma a mostrarlo, a lanciarlo addosso allo spettatore cercando di ispirare qualcosa.
L’utilizzo del cinema in questo modo, non risulta un qualcosa di inedito, anzi, nel corso degli anni una mole assurda di registi ha tentato di politicizzare il proprio materiale non soltanto a scopo artistico, ma soprattutto a scopo intellettuale. Lo stesso Jean-Luc Godard diceva: “È ora di smetterla di fare film che parlano di politica. È ora di fare film in modo politico”, sottolineando proprio questo aspetto del mezzo stesso, sottolineando le potenzialità dialettiche del cinema, a discapito dell’intrattenimento e di quelle semplicemente descrittive. Il fatto di poter costruire un confronto con chi guarda lo schermo è uno degli aspetti centrali di Due estranei e non si può non parlarne in una recensione.
Un loop che fa male dentro, in questa recensione di Due estranei
Con Due estranei (Two Distant Strangers in lingua originale) ci troviamo davanti a un cortometraggio targato Netflix, della durata di una trentina di minuti, diretto da Free e Martin Desmond Roe e sceneggiato da Travon Free, attualmente candidato ai premi Oscar 2021 nella categoria Miglior Cortometraggio. Narra la storia di Carter (Joey Badass), un ragazzo afroamericano che, in seguito a un appuntamento con una ragazza, si risveglia nel suo letto, e si appresta a tornare a casa sua, dal suo cane che lo attende con ansia. Il tutto si apre nel più classico dei modi, con una regia e fotografia che fin dall’inizio sottolineano la leggerezza della situazione, la tranquillità di una mattina nel bel mezzo di una metropoli che riparte, con tutte le sottigliezze sociali ed emotive di questi due che stanno cominciando a conoscersi e forse a legarsi.
La situazione, però, vira improvvisamente quando Carter se ne va, quando scende in strada e decide di fumarsi una sigaretta. I campi medi e le varie inquadrature sottolineano che ci si trova in un quartiere se non alto, almeno middle class, caratteristica ambientale interessante da sottolineare, soprattutto in relazione a ciò che accade dopo. Sono le immagini, infatti, le prime a parlare, le prime a mettere in evidenza qualcosa di silenzioso che però s’insinua sempre di più, gradualmente, nel tessuto della narrazione.
Mentre il mondo intorno a Carter continua a scorrere indisturbato, ecco che un poliziotto (Andrew Howard) lo approccio in maniera “selvaggia”, in maniera aggressiva, ponendogli domande che vanno bel oltre i suoi doveri, evidenziando un sottotesto sociale problematico fin dalla primissima battuta, che si interpone fra i due. Da qui in poi Due estranei muta vertiginosamente la sua narrazione, servendosi di un espediente tipicamente legato all’ambito della fantascienza, ovvero: il loop temporale. Carter resta intrappolato in questo loop, in questo “eterno ritorno” che si centralizza immediatamente intorno tutta una serie di ingiustizie e violenze inaudite che continua a ricevere, dal suddetto poliziotto, soltanto per via della sua etnia. La domanda che resta fondamentale e centrale è: come reagirà ad una situazione del genere?
Un espediente per un messaggio forte
Nello scrivere questa recensione di Due estranei resta importante sottolineare l’anima di questo cortometraggio. Anche perché la struttura della sua narrazione viene ben presto asservita alla voce che l’opera dimostra di avere, all’urlo che tenta di uscire, soffocato ma comunque estremamente chiaro. Il lavoro fatto da Free e Martin Desmond Roe si serve del protagonista stesso per parlare di una tematica che va oltre il cinema e l’intrattenimento, per parlare del razzismo in America e di tutte le ingiustizie che le comunità afroamericane hanno subito e continuano a subire nel corso delle proprie vite. Ecco che l’elemento fantascientifico del loop si fa surrealismo puro, e lo fa attraverso una scrittura che non soltanto mette a nudo le paure e la rabbia di queste persone, ma anche tutte le incoerenze morali di coloro che “stanno dall’altra parte”, di coloro che dovrebbero assistere il libero cittadino e non ostacolarne l’esistenza.
I Due estranei del film sono la faccia di una stessa medaglia, i lineamenti di una stesso disegno più grande che, se osservato da vicino diventa immediatamente sofferenza e ingiustizia. Ecco che una storia apparentemente semplice diventa prima surreale e poi dolorosa, dolorosa perché va a toccare uno strato sociale che ognuno di noi conosce, mostrando apertamente una realtà che continua inspiegabilmente a ripetersi anche fuori dal corto stesso, sia attraverso i dialoghi e la scrittura, sia attraverso le inquadrature di una città segnata da quanto detto fin qui. Un viaggio infinito che continua a macchiare il protagonista stesso, intrappolato negli errori che gli esseri umani continuano a commettere. Come se il loop fosse una chiara simbologia degli errori che continuiamo a ripetere noi stessi, senza nulla imparare dalla nostra storia, senza mai andare veramente avanti.