Quando id Software annunciò DOOM: The Dark Ages, in molti si chiesero se l’universo del Doom Slayer avesse ancora qualcosa da dire dopo l’esplosione stilistica di Eternal. La risposta breve è “sì, ma…”. Il primo impatto, pad alla mano su PS5, è straniante e familiare insieme. Straniante perché la verticalità ipercinetica inaugurata da Eternal lascia spazio (quasi) del tutto a un approccio “grounded”: ci si muove molto più in orizzontale, si schivano proiettili, si aggirano demoni usando movimenti concentrici e piattaforme basse. Familiare perché il ritmo resta quello di un balletto sanguinario: entri in arena, riconosci le priorità di target, alterni le armi, premi R3 per la glory kill e riparti.
Il feeling delle armi è l’elemento che più ricorda DOOM 2016. Il Canne Mozze torna protagonista e le bocche di fuoco hanno un peso che si percepisce nelle vibrazioni del DualSense. Ogni colpo martella il trigger, ogni impatto fa tremare il polso, e persino l’HUD strizza l’occhio ai capitoli ’90 senza scimmiottarli.
La violenza visiva è da manuale id Tech. Gli smembramenti ricordano Eternal, ma la granulosità delle texture e la nuova gestione particellare regalano schizzi ematici più densi e persistenti su schermo. Non una rivoluzione tecnica, piuttosto una rifinitura, e su PS5 si viaggia solidi a 60 fps in 4K dinamico, salvo qualche flessione nelle arene con il Mecha – niente di drammatico, ma lo stacco si nota.
Dodici ore tirate, venti per i completisti
La campagna si compone di 22 capitoli; ho impiegato poco più di dodici ore restando concentrato sulla trama, esplorando il minimo indispensabile nelle zone aperte. Raccogliere tutti i collezionabili, massimizzare le armi e scovare le aree segrete porta facilmente alle venti ore. Non esistono quest secondarie vere e proprie, ma le sfide opzionali – come combattimenti a tempo, ondate di élite, stanze platform – garantiscono deviazioni sostanziose.
La progressione ruota attorno a due valute: l’oro e le gemme (rosse e viola), una valuta che viene usata per potenziare le armi, le abilità dello scudo sega e delle armi fisiche. Abbiamo puntato ovviamente per Canne Mozze con runa delle lame, che ad ogni parata corretta lanciava delle spade di luce, ma ce ne sono altre tre da poter usare, oltre che 3 armi corpo a corpo diverse (che variano quantità di utilizzi e danni).
Ambientato cronologicamente prima di DOOM 2016, The Dark Ages prova a colmare il vuoto narrativo che separa le origini del Doom Slayer dall’invasione marziana. L’incipit è intrigante, con la storia legata ad Argent D’Nur… Peccato però che la sceneggiatura corra troppo. Le cut-scene tra un capitolo e l’altro sono ben girate, ma spesso spezzano il ritmo perché non collimano fluidamente: si passa da dialoghi poco spessi ad un assalto alla fortezza senza un vero ponte emotivo.
Lo sforzo di “mostrare” anziché far leggere log a terminale è apprezzabile, ma il risultato sa di compromesso: dialoghi funzionali, poco brillanti, e una manciata di personaggi appena abbozzati. Il doppiaggio italiano svolge il compitino (niente vocine fuori registro, ma neppure battute memorabili). In poche parole: la lore si espande, ma non vibra davvero.
Mappe aperte: buone intenzioni, poca sorpresa
La seconda, grande novità sono le macro-aree “open map” che in alcuni capitoli sostituiscono i corridoi lineari di un tempo. All’inizio funzionano: scorci infernali, villaggi assediati dal fuoco infernale, mini-hub con forzieri segreti. Dopo le prime due zone, però, l’effetto scoperta svanisce. I segreti consistono quasi sempre nel rompere pareti incrinate o scalare pareti scalabili; la ricompensa è prevedibile (collezionabili estetici, vite extra) e l’ostacolo è raramente creativo. Chi ama la caccia al 100% troverà pane per i suoi denti, ma non certo quello gourmet.
Per calibrare il nuovo approccio orizzontale, id ha rallentato i proiettili dei demoni. Non parliamo di un bullet-hell a rallenty stile Returnal; semplicemente il tempo di reazione per schivare un globo al plasma è più generoso, compensato da arene fitte di mob mid-tier. Il risultato è un flusso di micro-decisioni che, sul lungo periodo, offriranno ore di gioco davvero divertente. Le impostazioni di difficoltà sono granulari. Oltre ai preset canonici, si possono modificare parametri singoli: finestra di parata con lo scudo, danno dei nemici e danno vostro. Un vero “crea il tuo DOOM”, perfetto sia per speedrunner hardcore sia per curiosi che vogliono una sfida bilanciata.
Se da un lato il level design fatica a stupire per varietà di layout – molti corridoi si assomigliano e gli spazi aperti seguono schemi già visti – dall’altro trova nuova linfa nell’uso dello scudo. Il lancio serve non solo a stordire i demoni, ma anche ad azionare ingranaggi, aprire porte o rompere catene, mentre il dash con lo scudo diventa un mezzo di locomozione rapido in alcuni punti specifici, o modi per rompere muri nascosti. Nulla di cervellotico, però il ritmo ne guadagna e la sensazione di “strumento multifunzione” calza a pennello, offrendo respiro tra una carneficina e l’altra.
Sessioni Mecha & Drago: luci e ombre
Ogni tanto l’azione tradizionale viene interrotta da due varianti. La prima vede il Doom Slayer ai comandi di un Mecha titanico: si spazzano demononi grossi come palazzi a colpi di pugni idraulici. Sono sezioni brevi (10-15 minuti) ma danno respiro. La seconda variante è in sella a un Drago invece, coperto d’armatura. All’inizio stupisce: un inseguimento di navi nemiche, schivate in volo e ostacoli da superare. Ma alla terza ripetizione lo stupore svanisce. Gli schemi di attacco restano identici e il ritmo generale si appiattisce, complice la necessità di dover sempre completare un numero di obiettivi molto simili, cosa che succede anche sulle mappe aperte.
La soundtrack, pur non firmata da Mick Gordon, prende il testimone con rispetto. Riff thrash, stacchi drum’n’bass e cori gregoriani sporchi di distorsione accompagnano ogni colpo. Gli effetti sonori – granate che fischiano, lame che spezzano corazze – sono scolpiti con cura chirurgica, e inn cuffia 3D su PS5, il ruggito di un demone infernale alle spalle è un brivido assicurato. Sul fronte tecnico, DOOM: The Dark Ages gira liscio su PS5: 60 fps quasi costanti, ray tracing su ombre e riflessi interni, se non fosse per qualche drop nelle fasi Mecha; sono quelle col Drago invece a girare lisce, per assurdo.