Diabolik – Recensione, il ritorno al cinema del ladro più temibile del mondo

Diabolik, il re del terrore, torna finalmente al cinema dopo più di cinquant'anno: ecco la nostra recensione del film dei Manetti Bros.

Mauro Landriscina
Di Mauro Landriscina - Contributor Recensioni Lettura da 8 minuti
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Diabolik

Negli anni sessanta Angela e Luciana Giussani ci hanno regalato una delle serie a fumetti più famose e iconiche, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, e dopo più di cinquant’anni dalla sua prima e unica avventura al cinema era davvero arrivato il momento di farla tornare su grande schermo. Questa è l’idea che ha spinto i fratelli Manetti a scrivere e dirigere Diabolik, il nuovo film che analizzeremo in questa recensione e che li vede tornare con una produzione su grande schermo dopo l’enorme successo di Ammore e Malavita, uscito nell’ormai lontano 2017 (pellicola con cui si aggiudicarono anche il David di Donatello per il miglior Film).

Il ritorno su grande schermo

Prima di iniziare, ci sembra doveroso fare un’analisi più generale sulla situazione attuale del cinema italiano. Nel giro di poche settimane sono usciti ben tre film d’autore nelle nostre sale cinematografiche, ognuno che offre un determinato racconto in modi diametralmente opposti: Freaks Out, un kolossal ambientato durante la seconda guerra mondiale; È Stata la Mano di Dio, un intimo racconto autobiografico; e infine proprio lo stesso Diabolik dei Manetti, che insieme ai due lungometraggi sopracitati si pone l’obiettivo di dare una nuova linfa a un settore dilaniato dalla pandemia da Covid-19. Se già le prime due opere hanno centrato il bersaglio, per un motivo o per un altro, ora chiudere il cerchio spetta al film sul ladro più famoso e temibile di Clerville, che torna al cinema dopo più di cinquanta anni.

Con questo film che sa mescolare il thriller al giallo e all’azione, i fratelli Manetti sono riusciti a impacchettare un prodotto che – seppur sperimentale –  riesce a reggersi su solidissime basi e può benissimo porsi come capostipite di un nuovo genere di opere basate sui noti personaggi dei fumetti italiani. In Diabolik troviamo infatti tantissimi spunti narrativi, ma soprattutto registici, che permettono all’intera pellicola di assomigliare a un fumetto che viene recitato e sfogliato davanti ai nostri occhi.

Riprendendo qualche idea dai maestri del western, i registi ci immergono nelle vicende che vogliono raccontare non solo con i dialoghi ma anche con una semplice zoomata su un volto, lunghi piani sequenza colmi di suspense o infine con occhi riflessi su un coltello che viene lanciato per stecchire un eventuale testimone.

Non era una missione facile portare su schermo un personaggio spietato, apatico ma incredibilmente astuto come Diabolik, ma teniamo a sottolineare l’ottimo lavoro da parte di Luca Marinelli, ad interpretare un ladro che sarebbe disposto a tutto pur di portare a termine un colpo. L’attore romano (noto per le sue precedenti apparizioni in film come Non essere cattivo, Lo chiamavano Jeeg Robot o Martin Eden) coglie ogni particolare della complessa psicologia di Diabolik, e riesce a trasmetterla anche con i silenzi o con il solo movimento degli occhi, l’unico particolare del volto non coperto dall’iconica maschera nera.

Al suo opposto, invece, troviamo l’ispettore Ginko, che cercherà in tutti i modi di prevedere e intercettare la geniale mente del ladro più ricercato di Clerville. Nei suoi panni vediamo un Valerio Mastandrea in gran rispolvero, che si cala perfettamente nel ruolo e ci regala un capo della polizia assolutamente incrollabile e diretto nel suo ruolo, ma assolutamente sconfortato dal rimanere sempre e comunque un passo indietro alla sua nemesi.

Diabolik Recensione

Infine bisogna assolutamente citare anche la splendida Miriam Leone, che ci dona una Eva Kant davvero magnetica, che non solo rapisce lo spettatore, ma lo fa anche con l’impassibile Diabolik, che vede in lei – oltre che una compagna per la vita – anche una dotata collega per aiutarlo nei suoi colpi più complicati. Lei più di qualsiasi altro personaggio subisce – quasi – una completa evoluzione dall’inizio alla fine della pellicola, partendo da ricca ereditiera ricattata da un viscido politico a una “diabolica” e vendicativa complice, alla quale non va bene nemmeno stare in disparte, preferendo immergersi a capofitto nell’azione. I veri problemi sorgono purtroppo sul resto del cast di attori che, al di fuori di un paio di presenze di spicco come per i ruoli minori di Elizabeth (Serena Rossi) o del vice primo ministro Caron (Alessandro Roja), ricadano spesso nel sembrare troppo teatrali e pomposi, che se da un lato può risultare una scelta stilistica da parte dei registi, dall’altra scivolano troppo spesso nel macchiettistico.

La Clerville di Diabolik

La storia prende gran parte delle sue vicende dal terzo albo della prima serie di Diabolik, “L’arresto di Diabolik”, dove viene narrato il primo incontro tra Eva e lo spietato ladro. La sceneggiatura, seppur assolutamente lineare, rimane solida per tutti i 120 minuti, ponendo le sue fondamenta sull’evoluzione del rapporto tra il criminale numero uno e Lady Kant.

Sicuramente alcuni passaggi restano un po’ troppo campati per aria (come ad esempio tutta la parte basata sul codice morse), ma il montaggio dinamico e mai banale riesce a far passare indisturbati anche questi piccoli inciampi. A dare manforte a tutta la narrazione c’è sicuramente una colonna sonora degna dei classici lavori dei fratelli Manetti, che come era solito fare nel cinema di una volta, presenta un leitmotiv unico che varia a seconda di ciò che accade su schermo e seguirà Diabolik meglio di quanto Ginko abbia mai fatto.

Diabolik Recensione

Indubbiamente uno degli elementi su cui è stata posta più cura in assoluto è stata la scenografia, e in particolare ogni luogo centrale della fittizia città di Clerville. Dal rifugio di Diabolik, che possiamo confermarvi essere stato curato alla perfezione, con entrate segrete poste per tutto il perimetro sia per essere usate dalla sua Jaguar E-Type, oppure semplicemente dei tunnel percorribili a piedi che lo conducono alla sua finta dimora, dove vive con il falso pseudonimo di “Walter Dorian”.

Le strade della città, poi, offrono degli scorci davvero ricostruiti davvero bene, con delle luci che accentuano molto anche i colori sia di giorno che di notte, dando al tutto una nota fumettistica che – ovviamente – si fonde perfettamente alla natura di quest’opera.

Sebbene dunque nel suo complesso l’esperimento dei Manetti Bros può dirsi più che soddisfacente, magari si potrebbe migliorare qualche dettaglio su recitazione e trama, che nonostante vengano mascherati da un più che distinto montaggio e una colonna sonora davvero curata, non riescono a mettere Diabolik sullo stesso piano degli altri due film citati all’inizio di questa nostra recensione. L’operazione però può considerarsi più che accettabile, nonostante l’annuncio di due sequel senza Luca Marinelli nei panni del re del terrore faccia storcere il naso… e non poco.

Diabolik
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Voto 8
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Di Mauro Landriscina Contributor
Nato nel 1997, fin da piccolo si appassiona di videogiochi grazie al Game Boy Color del fratello maggiore. Pensa troppo al futuro e poco al presente, spesso perdendosi nei suoi pensieri e andando quindi a sbattere su qualche palo per strada. Il suo sogno nel cassetto è quello di dirigere un film d'animazione.