Detroit: Become Human è già uscito trenta anni fa, si chiamava Blade Runner

Tiziano Sbrozzi
Di Tiziano Sbrozzi - Senior Editor Analisi Lettura da 6 minuti

Se vi dicessi che Detroit: Become Human è un gioco che i ragazzi nati e cresciuti a cavallo tra gli anni ottanta e novanta hanno già vissuto, mi credereste? Se vi dicessi che conosco già il pensiero e la metrica dei protagonisti come ci rimarreste? Oggi il mondo videoludico sta per assistere all’uscita di Detroit: Become Human; ebbene esso è uscito già trenta anni fa, su un altro media, quello che all’epoca era il top della comunicazione di intrattenimento per la massa: il cinema. Sto parlando di Blade Runner, il film cult del 1982 diretto da un leggendario Ridley Scott; oggi David Cage riprende quella storia, la modernizza e la inserisce in quello che forse è sempre stato il sogno proibito di tutti i ragazzi di cui parlavo poco sopra.

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.

Roy Batty

Queste parole riecheggiano ancora oggi nel flusso del tempo: parole di vita, parole di morte; parole che descrivono in senso pieno e dolce di quanto sia effimera la nostra presenza su questa terra. Roy Batty era un replicante nel mondo di Blade Runner, un essere artificiale condannato all’oblio per pura scelta di quell’umanità che lo aveva generato e che giocava a fare Dio con le “vite” di questi esseri tanto simili quanto differenti dai loro genitori. Oggi, dopo trentasei anni da quelle parole, troviamo Markus, un androide che decide di liberarsi dalle “catene” della sua condizione di oggetto e di liberare i suoi simili. Oggi, come trenta anni fa, la libertà dall’oppressione e la voglia di cambiare il proprio destino suona forte in Detroit: Become Human.

Kara (interpretata da Valorie Curry) è un androide creata consapevolmente con una coscienza umana, in grado dunque di provare emozioni e di sentirsi davvero viva. La ragazza decide di fuggire dalla sua vita e cerca in tutti i modi di uniformarsi agli umani che la circondano a Detroit, compito tutt’altro che semplice dato che nel suo mondo lei e quelli come lei altro non sono che oggetti; di fatto, lei sta sfuggendo a quell’egemonia che gli umani hanno creato. Trentasei anni fa, sul grande schermo c’era Rachael (Mary Sean Young), replicante (consapevole o meno della sua condizione) che viveva tra gli uomini e ci lavorava per giunta. Se tutto questo non bastasse a farvi gelare il sangue: ebbene lasciate che vi presenti Connor, uno straordinario modello avanzato di androide, creato per dare la caccia a quelli come lui che si ribellano al sistema e che decidono di percorrere una strada alternativa, come Kara e Markus appunto; recentemente al cinema abbiamo visto Blade Runner 2049 con uno straordinario Ryan Gosling interpretare l’Agente K/Joe, un replicante in dotazione alla polizia per stanare e sopprimere i suoi simili che tentano di nascondersi in mezzo agli umani.

Se alla luce di tutto questo vi state chiedendo il perché, le risposte possono essere molteplici: in primo luogo, il tema dei replicanti/androidi che cercano di sembrare umani è un argomento che fa presa su molti, sia sugli appassionati di fantascienza sia su chi non è propriamente un fan del genere ma riesce comunque a stare al passo con la tecnologia. Da li ad immaginare un essere senziente ed autonomo il passo è breve. In secondo luogo posso dirvi che ad oggi i videogiochi sono un mondo pericoloso per gli sviluppatori: basta sbagliare un titolo e non è detto che si riesca a progettarne un altro, dati i costi di produzione elevati ed i costi pubblicitari proibitivi per la maggior parte delle aziende che rimangono indipendenti anche per questo motivo; oggi si punta sul concreto, su ciò che grazie a moltissime ore di studio si pensa che possa funzionare a livello commerciale. Ebbene il tema scelto per Detroit: Become Human è un tema sdoganato e già consolidato grazie a libri e film di cui Blade Runner è sicuramente un cardine fondamentale, ancora di più se si pensa al recente successo del sequel ovvero Blade Runner 2049.

Credo fermamente che Detroit: Become Human sarà il Blade Runner di questa generazione, che molto probabilmente sarà l’anello di congiunzione tra chi ha vissuto il mondo del cinema come unico media di intrattenimento e quelli che sono invece cresciuti dopo l’anno duemila, un mondo avveniristico dal mio punto di vista, fatto di app, cellulari senza tasti e schermi portatili (tablet/PC). Credo che il prossimo venticinque maggio vivrò un dejavu interattivo, mentre molti più giovani potranno decidere il comportamento dei loro beniamini, del resto: tutto è stato detto, ma non ancora sentito.

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Senior Editor
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.