Dark Souls è difficile. Questa è una delle frasi di accompagnamento più classiche con cui si è andato a inquadrare il titolo, almeno nei suoi primi anni di vita. Certamente non si tratta della sua caratteristica primaria, ben sappiamo il modo in cui questa saga (Demon’s Souls compreso) abbia trattato i primissimi pionieri ed esploratori, anche sotto altri aspetti. Eppure nel tempo, a discapito di qualsivoglia leggenda metropolitana, è stato il fascino a prevalere su una particolarità che, almeno in base a quanto parrebbe, ancora oggi miete vittime. Nel corso degli anni, poi, il medium ha vissuto un’importante trasformazione, arrivando a una poderosa massificazione dei videogiochi, che ne ha amplificato a dismisura la fruizione. Sono stati dunque i nuovi consumatori a gettare le basi della successiva produzione del mercato in questione, mercato che da un certo momento in poi è riuscito ad elevare la suddetta saga, facendo delle sue problematiche virtù e simbologie.
Moltissimi videogiocatori, soprattutto in questo periodo, sono stati attratti verso i cosiddetti “souls like”. Il lancio della Playstation 5, accompagnato dal “remake” di Demon’s Souls, capostipite di questa scuola, ha aperto i cancelli di una tanto odiata quanto amata Boletaria a tutti i fragili cuori dei nuovi consumatori, pronti ad investire il proprio denaro e tempo in un’impresa che 10 anni fa ha fatto versare lacrime amare a moltissimi coraggiosi. Il timore verso questi titoli, infatti, non fu alimentato soltanto dal modo in cui erano scritti e disegnati i suoi mondi, ma anche e soprattutto dalla loro difficoltà, dal fatto che non si premurassero in alcun modo di accompagnare il giocatore nell’avventura, catapultandolo fin dall’inizio nel pericolo più indefinito. Certamente non si trattava di una difficoltà troppo artificiale e con un minimo di studio, attenzione e tanta pazienza la situazione diventava abbastanza decifrabile, al punto da essere superata anche con agevolezza.
Poi il boom. Il primo Dark Souls, per tutta una serie di implicazioni sociali e commerciali, amplificò a dismisura la curiosità nei confronti di questi titoli, rompendo i limiti costruitisi con la prima nicchia di appassionati e conducendo a un’importantissima attenzione generale… eppure la difficoltà restava; tale e quale, netta. Un muro che, senza le dovute accortezze, era pronto a stroncarti in due l’esperienza. Curiosamente, però, anche l’amore nei confronti del lavoro di Miyazaki continuò a crescere indisturbato, alimentato da una passione tutta nuova, e da una paura minore. Almeno in apparenza.
Essere o non essere?
L’ampliamento fruitivo dei videogiochi ha condotto anche a implicazioni consumistiche prima di allora sconosciute. Complice probabilmente l’aumento dell’età media di coloro che giocano e la maggior disponibilità di denaro personale, in moltissimi casi si è registrato un incremento degli acquisti, senza però concreti sviluppi ludici. In parole povere, pochissimi giocatori si dedicano a un videogioco fino alla fine. E’ come se l’attenzione generale dei consumatori fosse ridotta al minimo, spinti da una fame che non riesce – e probabilmente non vuole – concretizzarsi a pieno. Questo fenomeno è facilmente notabile coi Souls, in particolar modo analizzando le percentuali di completamento dei loro trofei.
Eppure il web resta pieno zeppo di “esperti” pronti a giurare di aver finito il gioco senza subire neanche un danno, pronti a darti i consigli più dettagliati in caso di aiuto, pronti ad insultarti laddove tu non sia in grado di avanzare, pronti a vantarsi delle proprie capacità di “avventurieri”. Platinare un gioco come Dark Souls è così fondamentale? No. Però quanto inficia la difficoltà, alle volte anche soffocante, di questi videogiochi sulle varie run affrontate e soprattutto su quella “patina dorata” a rivestire l’elitarismo degli appassionati più tossici?
Essere un esperto significa aver affrontato un qualcosa, anche più volte, studiandone le angolature, le caratteristiche e i lineamenti nel dettaglio, conoscendone ogni sfumatura. Tuttavia le percentuali di completamento parlano chiaro… questo cosa significa? Significa che tutte le possibilità “intrattenitive” di cui siamo a disposizione, in moltissimi casi hanno creato qualcosa di inaspettato: appassionati che hanno costruito un amore verso qualcosa, senza però entrarne in contatto fino in fondo.
Si tratta di un fenomeno piuttosto diffuso sul web. Si guarda un video del proprio youtuber preferito per poi spacciarsi per esperto. Il preferire la visione su internet di un gioco difficile può legarsi ad infinite motivazioni soggettive, che però acquistano un contorto fascino nel momento in cui dalla visione ci si costruisce una vera e propria maschera. Ecco che la difficoltà tipica dei Dark Souls non viene proprio affrontata, ma arginata del tutto attraverso mezzi differenti. Tutto ciò dovrebbe far riflettere non soltanto sul gioco in questione e sul modo in cui è stato costruito, ma sull’importanza che si dà alla propria immagine, a questo punto disegnata di false apparenze. Certamente la difficoltà resta uno dei tanti elementi ad alimentare questa particolare implicazione sociale, che qui assume una centralità, anche emotiva e curiosamente introspettiva.
L’importanza della sfida
La difficoltà resta uno degli elementi centrali in un videogioco. La sfida verso un qualcosa di complesso, il mettersi in gioco, il rischio, la sconfitta e l’avanzamento. Queste sono tutte caratteristiche basilari esistenti fin dai primissimi lavori costruiti all’interno del settore. Ovviamente questa va tratteggiata in un certo qual modo, seguendo alcune linee guida che ne consentano un approccio, o magari una crescita da parte del giocatore stesso, che ci mette anima e corpo. Se ti impegni vieni premiato, questo è il fulcro dell’esperienza videoludica. Non dev’esserci né troppo sadismo, né una costruzione priva di senso, troppo artificiale, insomma. Il raggiungimento di un tesoro con tutte le difficoltà del caso, possono da un lato ispirare e dall’altro frustrare. Dunque una “difficoltà giusta” si costruisce intorno alla possibilità di una riuscita non soltanto personale ma anche pratica, materiale ed emotiva.
Partendo da tutto ciò si può scegliere di costruirsi una personale “expertise”, una curva di crescita che, tentativo dopo tentativo, ti ispira una consapevolezza, anche automatizzata, diversa da prima; si può scegliere di seguire guide e consigli online, oppure semplicemente di mollare. In moltissimi casi, infatti, la difficoltà limita soltanto l’avanzamento, limita la voglia di proseguire, soprattutto quando eccessiva. Lo spendere ore ed ore contro un boss, il percorrere e ripercorrere gli stessi identici luoghi per tentare di ottenere qualcosa, può tranquillamente stuccare, limitando le possibilità espressive di quanto si ha davanti.
Con Dark Souls, ad esempio, fin dal principio si viene catapultati in un mondo aperto, in un mondo che non obbliga a seguire alcuna strada, anche se la sua voce si fa chiara fin dai primissimi tentativi di esplorazione. Il dover necessariamente imparare può essere visto come una scelta limitante e in parte ridondante. Certo, qui finiamo nella dimensione “soggettiva” di chi sceglie di avventurarsi in esperienze del genere. Resta curiosa, però, l’attuale interpretazione di una difficoltà che resta identica al suo passato. Esce la Playstation 5, esce il “remake” di Demon’s Souls e in moltissimi lo acquistano, magari proprio gli stessi che all’epoca lo bistrattarono per la sua difficoltà troppo elevata e punitiva. Adesso queste stesse persone, invece, lo prendono incuriosite, seguendo un fenomeno tutto sociale e consumistico, ben lungi dalle proprietà tecniche di un videogioco che resta abbastanza invecchiato male.
Ecco che la moda cambia tutto, riesce nella sua ciclicità (questa cosa la si nota soprattutto nell’ambito sartoriale con stili che continuano a tornare dal passato) a proporre prodotti che conosciamo, reinterpretandoli in una chiave di lettura che sfrutta una visuale nuova, ma al contempo identica, sviluppatasi attraverso altri elementi. Lasciarsi guidare dai prodotti sotto ai riflettori delinea tutta una serie di attitudini tipiche del consumatore contemporaneo, che alle volte mette da parte il gusto personale plasmandolo in altro (o lo aveva messo da parte al principio seguendo le leggende?). Adesso tutti, o quasi, amano Demons’ Souls, videogioco del passato che apre la curiosità anche verso gli altri Souls. Tutti vogliono affrontarne la difficoltà, anche artificiale in alcuni momenti. Tutti seguono la scia di un successo successivo, mettendo da parte la paura precedente. Tutti, ma proprio tutti, riscoprono un moderno amore, precedentemente schifato e adesso innalzato quasi a status simbol… sarà tutto vero?