Demon’s Souls è in realtà il figlioletto di Dark Souls?

E se l'attuale amore nei confronti di Demon's Souls non c'entrasse troppo col gioco stesso? E se venisse da un'altra parte?

Nicholas Massa
Di Nicholas Massa GL Originals Lettura da 15 minuti

Con l’avvento della next-gen la voglia di giocare di tutti gli appassionati ha ripreso a scorrere a pieni ritmi, guidata da un’insaziabile curiosità nei confronti del futuro e di tutto ciò che verrà. Il mercato ci ha ormai abituati a una scelta fondamentale quando si parla di next-gen, scelta dettata non soltanto dal gusto personale e dalle soggettive possibilità e economiche, ma anche da tutta una serie di implicazioni fruitive atte a canalizzare il nostro denaro verso una scelta o l’altra. Moltissimi giocatori, ad esempio, partono seguendo immediatamente il proprio cuore, senza razionalizzare il tutto, guidati da un affetto nutrito e coltivato fin dai tempi dell’infanzia. Altri, invece, preferiscono studiare attentamente la situazione, tentando di comprendere quale sia la scelta migliore verso la quale investire tutte le proprie aspettative. In tutto ciò giocano un ruolo fondamentale i cosiddetti “titoli di lancio”, titoli, a volte soltanto all’inizio, legati a specifiche console e giocabili fin dall’acquisto di queste. Sono loro uno dei principali e primordiali spartiacque a disegnare i primissimi passi delle nuove generazioni videoludiche, ponendosi il più delle volte in maniera iconografica e acquistando quindi un’importanza e una cura fuori dal comune. Partendo da una riflessione di questo tipo, è curioso notare come con Playstation 5 un gran numero di consumatori sia stata attratta proprio da Demon’s Souls, un titolo affatto nuovo e parecchio discusso nel corso di questi passati 10 anni.

Perché Demon’s Souls?

Demon’s Souls uscì nel lontano 2009, precisamente il 5 febbraio, in Giappone, su Playstation 3, per poi giungere in Europa nel 2010. Fin dall’inizio il titolo attirò moltissime attenzioni soprattutto in terra natia, portando Hidetaka Miyazaki al successo, contribuendo dunque a costruirne la fama in seguito ampliata. Per quanto concerne l’Europa, invece, il titolo ottenne sì delle buone recensioni dalla critica specializzata, ma un’accoglienza tiepida generale, costruendosi una nomina che non giovò a una massificazione ideologica troppo ampia, riservandosi a una primissima e primordiale “nicchia”. Fu proprio questa nicchia a carpirne tutte le potenzialità anche se restarono a lungo ignorate. Per parlare di questo fenomeno, sarebbe più corretto fare un excursus generale del periodo storico di cui stiamo parlando. All’epoca il mercato videoludico stava vivendo un boom considerevole ed importante. Il numero di videogiocatori stava aumentando esponenzialmente, portando il medium a livelli del tutto differenti dagli anni precedenti.

Demon's SoulsLa massificazione del mezzo, ovviamente, impattò sul mercato, spingendo moltissimi sviluppatori a modellare i propri prodotti in funzione di questa nuova ondata di consumatori, portando quindi a una maggior percentuale di videogiochi non troppo impegnativi, che si centralizzavano, in molti casi, sulla spettacolarizzazione e sulle possibilità tecniche, a discapito di vere e proprie sfide impegnative e punitive (Uncharted 2 era del 2009, Call of Duty Modern Warfare 2, Assassin’s Creed 2, Batman Arkham Asylum, Dragon Age Origins…). È risaputo che il mercato segue il gusto del consumatore, e in questo caso, osservando ciò che veniva prodotto, è facile notare e identificare il trend generale del periodo, trend disegnato dalla “tendenza all’aiuto”, piuttosto che da quella della difficoltà più dura.

Proprio per questo Demon’s Souls rappresentò immediatamente un muro apparentemente invalicabile, se non un vero e proprio labirinto atto a disorientare tutti coloro che giocavano ai videogiochi “casualmente”, senza troppo impegno. Si parla dunque della fascia più ampia, di quelle persone che non vogliono provare frustrazione o rabbia eccessiva quando giocano.

Il fatto che questo videogioco non aiutasse minimamente, e che anzi tentasse in tutti i modi di ostacolare l’avanzamento del giocatore, contribuì a costruirne la celeberrima e temuta fama di “titolo difficile da cui rimanere alla larga”. Con Demon’s Souls, differentemente da tutti gli altri giochi del periodo, si veniva immediatamente catapultati all’interno dell’azione. Non c’era una vera e propria trama, sostituita da un breve filmato iniziale, atto ad introdurre le dinamiche del mondo di gioco e a giustificare la partenza iniziale. Non c’era un vero e proprio tutorial, sostituito da alcuni “simboli” o segni sul terreno ad indicare cosa fare, ma facilmente ignorabili dai più disattenti, con un suggello mortale che fin dal principio metteva in chiaro la situazione. Non c’era una mappa, o un’aiuto di qualsivoglia sorta, non c’erano indicazioni sul cosa fare, sul dove andare, sul come avanzare. Non c’erano troppi dettagli riguardo alla strada e all’avventura che si stava intraprendendo. Il tutto veniva snocciolato in maniera estremamente dosata a poco a poco che si avanzava.

Demon's SoulsA gioco iniziato veniva posta al giocatore subito una scelta importante: quale classe scegli? Questa, se affrontata senza avere alcuna coscienza di quanto si aveva davanti, risultava fin da subito fortemente disorientante. Demon’s Souls non è mai stato troppo chiaro neanche per quanto riguarda i suoi menù, presentando oggetti ed elementi che al principio non sono accompagnati da alcuna spiegazione chiara. La mancanza di linee guida fu da subito condannata dai più, abituati a tutt’altro trattamento. Una volta terminati i vari preparativi si veniva lanciati nell’azione, in questo mondo di gioco disegnato da ridondanti silenzi, da oscurità e da tanta “cattiveria”. La sopravvivenza diveniva fin da subito una componente principale, soprattutto per quella fascia di giocatori abituati a trovare checkpoint lungo la strada, o piccoli break. Qui la situazione era tutt’altro che rilassante, e la morte aveva un peso fondamentale non soltanto sul gioco stesso, ma anche sull’emotività di chi stringeva il joyopad.

Morire significava ricominciare dall’inizio, morire significava perdere tutte le anime, morire significava vedere la barra della vita diminuire, morire significava armarsi di pazienza e ritrovare la strada verso ciò che si aveva lasciato indietro. Tutte penalità che disegnavano una linea ben visibile e difficilmente paragonabile a tutti i prodotti presenti, in quel periodo, nel mercato. Questa era però la visione principale di un titolo che non eccelleva neanche dal punto di vista tecnico, con una grafica che fece storcere il naso a molti appassionati e critici, grafica che si fregiava di un a costruzione poligonale abbastanza indietro per i tempi e di una “legnosità” generale che riusciva egregiamente ad amplificarne la frustrazione, ponendosi in netto contrasto con quanto pubblicato in quel periodo. Una delle caratteristiche di Demon’s Souls che non tutti però riuscirono a cogliere, andando oltre a tutto questo, fu la sua “identità autoriale”, quel tocco particolare, quella fascinazione che fece innamorare la prima nicchia di appassionati, spingendoli a proseguire, sconfitta dopo sconfitta, test dopo test, in quel mondo prepotentemente inospitale.

Resta comunque fattuale l’importanza di questo titolo, soprattutto nei confronti dei lavori successivi di Miyazaki, lavori che giovarono di tutti gli esperimenti che il designer attuò all’interno di questo primo tentativo, tentativo che ancora oggi custodisce moltissime idee in seguito meglio sviluppate nella saga di Dark Souls.

Demon's SoulsPerché figlio di Dark Souls?

Ma se allora Demon’s Souls è venuto prima, gettando le basi dei futuri progetti di From Software, perché definirlo figlio di Dark Souls, che è venuto dopo?

Ritornando ai giorni nostri. Viene rilasciata la Playstation 5. Questo significa passo avanti, evoluzione verso il futuro, verso il cambiamento. Il termine “evoluzione” di per sé è etimologicamente legato a un qualcosa che si muove verso una direzione. Eppure questa console, fra gli altri titoli, è stata lanciata da un remake proprio di Demon’s Souls, riscuotendo attualmente un successo inaudito, con voti dalla critica stellari e una risposta massificatamene positiva dai consumatori, dagli appassionati. Come vi spiegate tutto ciò? Come vi spiegate il fatto che un titolo, che all’uscita venne alacremente ignorato da moltissimi, adesso stia ricevendo un trattamento praticamente opposto, ritrovandosi sulla bocca e sulle bacheche Facebook di tutti, pur rimanendo fondamentalmente identico nella sua struttura di gioco?

Come vi spiegate l’eccitazione di quelle persone che all’epoca non lo toccarono nemmeno e che adesso si sono trovate in hype fin dal suo primissimo annuncio?

Per tentare di spiegare questa risposta da parte delle masse, si potrebbe tranquillamente partire da due fronti: da un lato troviamo l’enorme successo che fece la saga di videogiochi successiva di Miyazaki, ovvero Dark Souls (suo seguito spirituale, anche se soltanto dal punto di vista di alcuni elementi e strutture), successo che levò ancor di più la fama di Miyazaki stesso, e che, contrariamente a qualsivoglia aspettativa massificò il tutto anche da noi. Dall’altro troviamo la “visibilità”, la pubblicità e il fatto che con questa nuova saga vennero a formarsi tutta una serie di dinamiche sociali fondamentali ad incrementarne la fascinazione.

Parlo proprio della community. Con Demon’s Souls ancora non esisteva una community abbastanza grande, ampia, determinata e forte come quella che è nata con i Dark Souls. È proprio questa il cuore pulsante di tutta la fascinazione di questi giochi. Stiamo parlando di storie che spingono inevitabilmente al confronto con gli altri, che spingono alla ricerca, allo studio, il tutto in funzione della cosiddetta Lore, elemento tanto amato quanto odiato. Non si parla, dunque, soltanto di cooperazione o sfida pvp, con Dark Souls le persone cominciarono ad approfondire la “cultura” del mondo di gioco, appassionandosi a tutte quelle leggende che aleggiavano in ogni dove, in ogni oggetto, arma o scorcio che si aveva davanti agli occhi. Cominciarono ad inquadrare il modo in cui gli eventi venivano narrati, e compresero che stava a loro il compito di riunire tutti i pezzi a giustificare quel duro viaggio. Lo studio e la speculazione sulla lore di gioco, portarono a tutta una serie di interazioni fra gli appassionati intenzionati a scoprire sempre di più, contribuendo alla nascita di un qualcosa di più grande e unito.

Demon's SoulsCon lo studio generale venne anche l’appoggio reciproco in game e l’amore verso questi nuovi titoli crebbe esponenzialmente, ovviamente anche grazie all’apporto di youtuber che svilupparono il proprio lavoro cercando di approfondire e presentare al meglio quanto si aveva davanti. Questo amplificò ancor di più la cosa, rendendo la saga un fenomeno di massa, saga che comunque manteneva lo stesso carattere del suo predecessore. Non si tratta di avventure facili, ma adesso la difficoltà veniva percepita non più come un fastidio o un limite, bensì come qualcosa di stimolante, come un qualcosa che finalmente colpisse le semplificazioni medie degli altri giochi, segando un cambiamento importante anche dal punto di vista del mercato e del consumatore medio.

Quindi Dark Souls ebbe un successo inaudito, contrariamente a Demon’s. Questo successo travalicò i limiti della saga arrivando addirittura ad istituire una terminologia di genere: i cosiddetti “Souls Like” si diffusero a macchia d’olio, segnando una vera e propria evoluzione culturale del medium e del mercato stesso, aprendo dunque gli occhi nei confronti di quello che i giocatori andavano cercando in quel momento. Se inizialmente giochi di questo tipo venivano evitati a prescindere dai “casual”, adesso tutti ne restavano affascinati seguendone attentamente gli sviluppi. Questo indicò una gigantesca trasformazione generale ed è proprio da questa trasformazione che deriva l’attuale accoglienza del nuovo Demon’s Souls su PS5, oltre che, ovviamente, dalla curiosità nei confronti delle potenzialità della nuova console di casa Sony.

Se Dark Souls non avesse fatto ciò che ha fatto, probabilmente non sarebbe esistita neanche una remaster di Demons’ Souls. Per questo si potrebbe tranquillamente affermare che l’ultimo progetto di Blue Point sia un diretto discendente della fama della trilogia di Miyazaki e non viceversa, un figlioletto per molto tempo ignorato, ma adesso ritrovato. Si tratta di un’accoglienza che si esplicita proprio attraverso l’amore che i fan di Dark Souls e tutti i suoi casual gamers hanno costruito nel corso di questi anni, anni in cui il medium è cambiato, si è evoluto, anni in cui la curiosità verso il futuro sta lentamente aprendosi davanti ai nostri occhi, anni in cui progetti come questo sembrano spadroneggiare su un mercato che, oltre ad avanzare, tiene sempre un occhio puntato al passato, pronto a ripescare, valorizzare o rivendere, rinfrescare e centralizzare vecchi titoli attraverso operazioni commerciali studiate ad hoc che possono affascinare quanto annoiare, stuccare o disgustare…

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Adora i videogiochi e il cinema fin dalla più tenera età e a volte si ritrova a rifletterci su... Forse anche troppo. La scrittura resta un'altra costante della sua vita. Ha pubblicato due romanzi (a vent'anni e venti quattro) cominciando a lavorare sul web con varie realtà editoriali (siti, blog, testate giornalistiche), relazionandosi con un mondo che non ha più abbandonato.