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Cult of the Lamb – Recensione, ampliare il proprio culto in un roguelite

Non sono pochi i titoli che, nonostante un budget minore e di conseguenza un target di utenti ridotto rispetto alle grandi produzioni, sanno farsi apprezzare grazie alle proprie peculiarità e potenzialità. Editori come Devolver Digital hanno spesso modo di finanziare dei giochi di questo tipo, individuando in anticipo dei titoli pronti a dire la propria in un mercato per tanti versi saturo, con un tocco di ironia e irriverenza che senza ombra di dubbio non guasta mai, e che anzi ha modo di far notare questo tipo di titoli in un oceano sconfinato. Vogliamo approfondire in questa recensione Cult of the Lamb, opera su cui abbiamo messo le mani per molto tempo su PC, e che a parte una mancata traduzione in italiano si è adattato al meglio alla piattaforma (pur essendo fruibile al meglio con controller e non con mouse e tastiera).

Un culto diviso fra due giochi

Il concept di Cult of the Lamb è di sicuro tanto strano quanto il suo gameplay e tutte le altre componenti che compongono l’esperienza, le quali sono di continuo pronte a fondere una facciata di estrema tenerezza di personaggi – e protagonista – con blasfemia e brutalità, in un’accoppiata vincente e mai prevedibile per quel che riguarda le meccaniche di gioco. Vedere gli occhi dolci di un protagonista pronto nel giro di qualche minuto a mangiare i cadaveri dei suoi fedeli e sterminare orde di nemici, è di sicuro un tipo di esperienza a dir poco inusuale.

Cult of the Lamb

Vendendo alla vera trama, abbiamo a che fare con un agnello che sta per essere sacrificato da un culto oscuro come ultimo membro della sua specie, in un mondo dark fantasy pieno di ironia e citazioni, e che si trova invece a resuscitare e a servire “The One Who Waits” (Colui che Attende), un non meglio precisato Dio pronto a ridargli la vita… ma a una condizione. Quest’ultima è quella di fondare un culto in suo nome, secondo obiettivo che continuerà a seguire il giocatore nella sua avventura mentre questo si troverà a dover avanzare nella storia al fine di sconfiggere coloro che lo hanno sacrificato.

Nelle molte ore di gioco ci si trova quindi davanti a un dualismo del gameplay senza dubbio interessante, considerando che gli utenti sono chiamati a vivere delle fasi di esplorazione dalle tinte roguelite (o roguelike, che dir si voglia), le quali condividono molte meccaniche con vari titoli di questo tipo ma che al contempo hanno molto da raccontare.

Abbiamo avuto modo di notare che in alcune fasi l’esplorazione roguelite e la gestione del proprio culto non sono mixate al meglio, ma per fortuna nella maggior parte dei casi ciò non avviene, e si riesce di conseguenza a trovare sempre la miglior soluzione al fine di bilanciare le due cose.

Varietà a palate

Con la sua durata tutt’altro che da trascurare, Cult of the Lamb ha modo di offrire moltissima varietà per gli utenti. Ciò vale per rituali, costruzioni ed attività che si svolgono senza imbracciare armi, con quindi esplorazione e sistemi gestionali pronti a reinventarsi di continuo aggiungendo nuove meccaniche, senza per fortuna rendere mai il tutto troppo difficile e senza penalizzare eccessivamente gli utenti che trascurano le meccaniche citate. Che si tratti tuttavia di divertirsi con queste attività, o meno, al fine di potenziare il proprio personaggio e proseguire nel corso dell’avventura non è possibile ignorare totalmente quanto viene proposto all’infuori dei combattimenti, e di conseguenza gli utenti meno avvezzi a questo tipo di genere, che preferiscono maggiormente il sistema hack and slash, potrebbero non apprezzare la dualità di questo gameplay.

Cult of the Lamb

Il proprio culto, fra una risata e una decisione, permette inoltre di potenziare il personaggio sensibilmente, grazie a dei veri e propri sermoni che permettono a questo di salire di livello e di sbloccare nuove abilità, rendendo di conseguenza gli scontri maggiormente facili, e non solo. Che si tratti del reperimento di nuove risorse, armi o di salvare nuovi membri del culto per portarli fra le proprie file, l’albero delle abilità a cui si accede è decisamente essenziale, e completare l’avventura senza focalizzarsi su questo potrebbe risultare davvero ostico. Purtroppo, infatti, il vero punto negativo di Cult of the Lamb, che esalta al meglio due esperienze diverse fondendole con un ottimo risultato, è il suo sistema di combattimento.

Chi non ha mai giocato a un roguelike potrebbe trovare difficile adattarsi a questo, vista la precisione spesso richiesta e un sistema di controllo che di certo non fa gridare al miracolo, mentre chi è abituato al genere noterà la mancanza di sufficienti contenuti per i combattimenti. Un’arma bianca e un colpo caricato che generalmente colpisce dalla distanza, più qualche cuore da trovare in giro per allontanare la morte da sé e un sistema di tarocchi (potenziamenti validi solo per la run in corso): una serie di opportunità fin troppo limitate, insomma, che anche procedendo con le ore di gioco non danno l’idea di star cambiando le carte in tavola. I controlli, poi, come anticipato, pur offrendo un ottimo feedback dei colpi, rendono i combattimenti spesso inutilmente confusionari e non danno l’esatta idea di quali nemici risulterà possibile colpire mentre si sferra una combo, attività che senza decine di schivate in mezzo risulta sufficientemente legnosa da ricevere colpi.

Cult of the Lamb

8.6

Cult of the Lamb è un titolo dalle tinte roguelite con delle meccaniche da city building che rende la gestione delle risorse divertente e (quasi) mai stressante, intervallando delle pure fasi gestionali a missioni, esplorazione e dialoghi con NPC, in un mondo che sa sempre dire qualcosa di nuovo fino ai titoli di coda. Il combat system non ha saputo entusiasmarci quanto le altre meccaniche di gioco, ma ciò non rende di sicuro l'opera poco valida, e anzi, possiamo confermare che questa rientra di diritto nell'olimpo delle piccole perle. ;s

Andrea Pellicane
Nasce nel 2000 già possessore di una Playstation 1 e già appassionato di videogiochi. In tenera età scopre il mondo dell’informatica ed inizia la sua inutile corsa verso la bramatissima Master Race. Nonostante la potenza di calcolo sia la sua linfa vitale è alla perenne ricerca della varietà e di titoli indie che piacciono solo a lui, incurante del fatto che potrebbero funzionare agevolmente anche su un tostapane. Viene spesso avvistato mentre effettua incomprensibili ragionamenti (soprattutto per lui) legati all'economia. Eccelle particolarmente nel trovare i momenti meno opportuni per iniziare e divorare intere serie TV.

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