É inutile negarlo, la nostra infanzia è stata segnata dalla Disney, la quale ha tratteggiato moltissimi dei modelli morali che ad oggi vengono messi in discussione quotidianamente dal mondo dell’intrattenimento. Osservando quella che era la struttura narrativa dei lavori del passato, sia a livello di animazione che non, si potrebbe costruire una curiosa riflessione sulla mutazione percettiva che lo spettatore ha sviluppato (e sta sviluppando) negli anni, verso i ruoli che le varie storie offrono, andando oltre i semplicismi del caso. Un tempo tutto era più facile, tutto era più strutturato, perché doveva riferirsi ad un pubblico cresciuto in maniera differente da noi, ed alcuni semplicismi la facevano da padrone nel panorama cinematografico e televisivo di massa. C’erano i buoni e c’erano i cattivi e questo bastava a tutti, questa era la linea netta a scindere i ruoli centrali nelle varie rappresentazioni. Oggigiorno siamo invece andati oltre, approfondendo ogni cosa, complice anche la progressiva fascinazione che le figure imperfette dei villain hanno generato e ispirato sulle nuove generazioni. É proprio partendo da questo tipo di considerazione che vogliamo aprire la nostra recensione di Crudelia, sottolineando quanto il mercato stesso si sia trasformato reinterpretando la richiesta di un pubblico che rigetta qualsivoglia tipo d’approccio superficiale.
Crudelia, la recensione di un personaggio iconico reinterpretato
Trattandosi di un live-action targato Disney ci si potrebbe aspettare lo stesso identico modus operandi approntato in passato, con i lavori che si sono mossi sulla medesima strada; così non è. Disney ha lungamente dimostrato il valore immortale del suo passato, con opere quali Il Re Leone, Aladdin et similia, ricostruendo passo passo i capolavori del proprio personale “rinascimento”, e lavorando moltissimo sia sull’effetto nostalgia che su quello della ricercatezza estetica, riportando però sul mercato dei semplici restauri. Questa volta la situazione è ben differente, anche perché questo Crudelia si premura innanzitutto di reinterpretare, di ricostruire la storia della sua iconica protagonista, non soltanto approfondendola, ma incastonandola in un continuum temporale che non risulta neanche troppo lontano da quello cui siamo stati abituati da bambini. Certo, il nostro presente impatta su ogni singolo aspetto narrativo della pellicola, rinfrescandone la caratterizzazione generale sotto molti aspetti, e distaccandola dal passato. Ogni singola scelta risulta però sempre rispettosa delle origini e vicina ad un personaggio che oggi inevitabilmente stonerebbe risultando anacronistico.
Fin da bambini, Crudelia è rimasta un personaggio terribilmente negativo e spaventoso sotto certi aspetti, qualcuno con cui risultava difficile empatizzare, anche minimamente, date le pochissime, seppur iconiche, scene in cui la si vedeva apparire ne La carica dei 101. La si vedeva esordire come una donna esile, egoista e priva di qualsivoglia sentimento o preoccupazione verso il prossimo. Il menefreghismo generale di ogni sua interazione sullo schermo era la primissima cosa che si notava, fusa a un’arroganza che esplodeva facilmente in momenti d’ira immotivata. Il suo era uno di quei personaggi che parlava chiaro, senza il bisogno di parlare affatto, una donna tratteggiata da un modo di porsi risultante immediatamente negativo, specialmente in relazione alla caratterizzazione genuina degli altri protagonisti, umani e non. Come si potrebbe dunque partire da un personaggio del genere, per poi costruirci intorno una storia intera? Le possibilità narrative erano molteplici, e in questa recensione di Crudelia cercheremo di essere più chiari possibili verso il lavoro fatto.
La trama di questo film si ambienta in una Londra completamente travolta dai moti punk degli anni ’70. In questo contesto storicamente riconoscibile fin da subito, si sviluppa la storia di Estella (Emma Stone), una ragazza dal passato difficile e fumoso, orfana, che vive con due suoi amici, Jasper (Joel Fry) e Horace (Paul Walter Hauser), tirando avanti rubando. La svolta arriva quando la ragazza riesce a dar forma ad uno dei suoi desideri, lavorando prima in un noto negozio della città ed in seguito per una delle più famose stiliste del posto, la Baronessa (Emma Thompson). Questa nuova esperienza aprirà la strada a tutti gli eventi del film, facendo affiorare sia dettagli dal passato della ragazza, sia un certo tipo di “carattere e personale consapevolezza” nel suo cuore, fuso a sentimenti contrastanti con cui fare i conti.
La costruzione narrativa del film targato Disney è più classica che mai, con un narratore intradiegetico (lei stessa) che racconta la trama e si racconta mano a mano, aggiungendo qualche commento particolare di tanto in tanto, rompendo la quarta parete (ricordando lavori come Le follie dell’imperatore, ad esempio). La protagonista resta dunque il centro focale, analizzata e mostrata in alcuni momenti chiave della sua vita, attraverso un punto di vista ovviamente parziale. Ne fuoriesce un approccio completamente differente, che punta l’attenzione su vicende da un lato inedite rispetto al passato e dall’altro vicine, muovendosi in una direzione anche riconoscibile. Non si può parlare di Crudelia in una recensione senza sottolineare i forti richiami ad opere come Il diavolo veste Prada e simili. L’universo rappresentato, però, pur originando la sua strada da ispirazioni chiare, tenta di imbastire un personalissimo approccio identitario, traversando i meandri di una storia su una ragazza divisa in due, scissa continuamente nel suo viaggio, spaccata a metà e alla ricerca di se stessa.
La ricercatezza estetica
Anche se a livello di trama il film non osa moltissimo, il discorso si fa ben differente quando si parla della sua estetica. Proprio con questa viene a formarsi uno dei tratti più riconoscibili e tangibili di Crudelia, e resta affascinante parlarne in una recensione. Tutti i richiami alla cultura pop degli anni ’70 inglesi si manifestano in una ricercatezza, anche a tratti maniacale, nella messa in scena e nella scelta dei vari costumi, i quali valorizzano incredibilmente tutto il materiale trattato nella trama. Ne fuori esce un curioso “studio in rosa” che parte dalla dimensione estetica su cui si compongono le varie inquadrature, per poi approdare e fondersi in un discorso generazionale. La ribellione di quegli anni, diventa, da tratto immediatamente riconoscibile, a vera e propria energia trainante dentro e fuori i personaggi. La storia così si ritrova ad avanzare tra alti e bassi, con un ritmo che sfiora il romanticismo e il giallo, con alcuni vezzi anche dickensiani, per certi versi.
Gli attori si dimostrano validi nel costruire i propri personaggi, guidati e incorniciati da una regia attenta non soltanto a valorizzarne la presenza scenica, ma anche quella emotiva, il tutto tratteggiato tramite una colonna sonora perfettamente azzeccata e sempre coerente, con continue citazioni ai brani iconici di quel periodo. Interessante resta anche l’approccio linguistico, soprattutto quando si parla dei nomi dei vari personaggi e del modo in cui oggi vengono resi (Cruella de Vil, Jasper, Horace…).