In degli Stati Uniti che oscillano tra la campagna elettorale alle presidenziali e l’onda inarrestabile delle rivolte del movimento Black Lives Matter, il razzismo è un argomento più scottante che mai, capace di spingere artisti da ogni angolo degli States a schierarsi contro le discriminazioni. La poliedrica Beyoncé non poteva scegliere un momento migliore per rilasciare la sua ultima fatica, ovvero il visual album Black is King, prodotto da Disney+ e rilasciato in esclusiva sull’omonima piattaforma di streaming. Black is King è un inno alla cultura afroamericana, in tutte le sue sfaccettature e declinazioni, ma cos’è davvero la regalità e cosa comporta? E in che modo le proprie radici possono definire la propria identità?
Black is King: album o film?
Nonostante Black is King sia pubblicizzato da Disney+ come film, chiariamo subito che tratta di un visual album, ovvero di un insieme di videoclip musicali legati da un filo conduttore narrativo in un’esperienza ibrida tra l’ascolto di un LP, la visione di un documentario e la fruizione di una storia. Questa forma artistica non è nuova per Beyoncé: infatti il suo quinto album Beyoncé (2013) è stato accompagnato da una serie di cortometraggi, mentre il suo sesto album Lemonade (2016) parla estensivamente della vita da afroamericana, tra antiche tradizioni, relazioni traumatiche e femminismo di matrice black.
Black is King si può considerare un’estensione di queste tematiche, unite alla storia e alle voci del live action de Il Re Leone, in cui Beyoncé ha doppiato Nala e ha curato un album a tema intitolato The Lion King: The Gift. La produzione originale Disney+, quindi, è un album tie-in per Il Re Leone, cui storia e dialoghi sono ben riconoscibili durante la visione dell’opera. Black is King, tuttavia, reinventa la storia del classico Disney immaginando i personaggi come degli esseri umani, tra cui un giovanissimo bimbo-Simba che crescerà nella sua regalità e unicità.
A parte il giovane Simba, non ci sono dei veri e propri protagonisti ben riconoscibili nella narrazione del visual album, da considerarsi più un racconto corale dei popoli afroamericani che mostrano al mondo le proprie tradizioni e affermano a gran voce la propria dignità come esseri umani capace di grandi opere, al punto tale da essere portatori di regalità, intesa come quella nobiltà d’animo e tenacia che li contraddistingue. Esploriamo così una vasta gamma di ambienti, dai deserti alla savana, dai piccoli paesini africani alle metropoli statunitensi, osservando rituali e cerimoniali folcloristici, cori gospel e balli delle debuttanti.
Come menzionato in precedenza, il cuore pulsante del visual album è il sentimento di appartenenza alla cultura afroamericana, con i suoi rituali, usanze, colori e modi di pensare. Per esprimere questo al meglio, Black is King è stato girato in una miriade di regioni e Paesi differenti, dal Sudafrica all’Africa Occidentale, dalla Nigeria al Ghana, ma anche a New York e Los Angeles e in Europa (Regno Unito e Belgio). Questa scelta sottolinea come le radici dei popoli africani siano ben salde in Africa, tra le sue meraviglie paesaggistiche e culturali, nonostante le emigrazioni e le diaspore, che hanno concesso alla tradizione africana di abbracciare il mondo intero.
L’identità e le radici sono due dei cardini tematici di Black is King, affrontando uno dei grandi dilemmi delle popolazioni trasferitesi in un Paese diverso dal proprio: cosa costruisce la propria identità? La cultura del posto in cui si vive o il retaggio delle proprie origini? Beyoncé trova la risposta a questi interrogativi nella coesistenza di due mondi che si integrano l’un l’altro, creando in questo modo un’unicità che solo questo connubio poteva generare. La regalità, invece, è intesa come preziosità di spirito, ma anche come servizio nei confronti del prossimo, in un invito a recuperare le sagge tradizioni degli antenati per poter giovare alla comunità:
It would be a much better word for all of us if kings and queens realized that being equal sharing spaces, sharing ideas, sharing values sharing strength, sharing weaknesses, balancing each other out, that is the way our ancestors did things and and that is an African way. The royalty in you is there for you to be a blessing to others.
Black is King pullula di guest star che appaiono tanto in video quanto tra le note delle canzoni che compongono l’album. Oltre a molte delle voci già presenti in The Lion King: The Gift, ritroviamo l’immancabile Jay-Z, Pharrel Williams, Kelly Rowland, Naomi Campbell, ma anche la madre di Beyoncé Tina Knowles e i figli della cantante Blue Ivy, Rumi e Sir, a cui è dedicato il film. Musicalmente, il visual album è un’esplosione di diversità, a sottolineare l’eterogeneità del sentirsi afroamericano. Tra soul, R&B, urban e hip hop, Beyoncé miscela sonorità tribali, folcloristiche e gospel, mentre i guest artist che appaiono nelle canzoni che compongono l’album arricchiscono i testi con l’utilizzo delle diverse lingue originarie del continente africano, tra cui zulu e bantu.
Il ritorno di Beyoncé alla regia
Dopo Life is but a dream (2013), Lemonade (2016) e Homecoming (2019), Black is King è il quarto prodotto audiovisivo che vede Beyoncé alla regia, coadiuvata da un team di registi. La resa finale è eccellente: le inquadrature, sempre appropriate e varie, sono volte all’esaltazione delle bellezze paesaggistiche africane, complice anche un’ottima fotografia che mette in luce non solo la vastità delle ambientazioni, ma anche la ricchezza di colori dei popoli ripresi nel visual album.
Nonostante possa risultare estremamente autoreferenziale, la presenza di Beyoncé contemporaneamente alla scrittura, alla regia, alla produzione nonché davanti all’obiettivo come cantante, attrice e ballerina, non inficia il risultato finale di Black is King. Sebbene sia decisamente molto presente, Beyoncé non attira mai del tutto i riflettori su se stessa, dando largo spazio all’enorme cast di ballerini, attori e comparse che popolano l’intero visual album.
In conclusione, Black is King è una vera e propria lettera d’amore di Beyoncé non solo all’Africa come continente, ma anche ai popoli che la abitano o che l’hanno abitata per poi migrare altrove. Ricco di ospiti di spicco e di una notevole eterogeneità musicale e visiva, il visual album reinventa la storia del live action de Il Re Leone riflettendo a fondo sulla regalità e sulle sue responsabilità, sull’identità e sulle radici, in un meraviglioso racconto corale che abbraccia il mondo intero.