Avatar: la Via dell’Acqua – Recensione del nuovo colossal di James Cameron

Avatar - La via dell'acqua è il secondo capitolo di quella che diventerà l'epopea massima di James Cameron, ecco la nostra recensione.

Tiziano Sbrozzi
Di Tiziano Sbrozzi - Senior Editor Recensioni Lettura da 6 minuti
6.5
Avatar - La via dell'acqua

Tornare: nella vita si ritorna, sempre. Torniamo a casa dopo una giornata di lavoro o studio, torniamo dopo un litigio a fare promesse e siglarle con baci alla persona amata, torniamo alla vita dopo un lutto. Il ritorno è da sempre intrinseco nella vita: che vuoi che sia, tornare ancora una volta su Pandora? Dodici anni ci hanno separato da quel pianeta azzurro tanto simile quanto differente dalla nostra Terra: allacciate le cinture, James Cameron ci presenta Avatar – La via dell’acqua.

Lasciare la propria casa

Jake Sully è oramai Olo’eyktan degli Omaticaya: con Neytiri ha costruito una rigogliosa famiglia, composta da tre figli naturali e una adottiva, probabilmente uno dei personaggi più misteriosi di tutto il film, che però per ragioni di trama vi lasceremo celato. Tutta la felicità, la spensieratezza e gli obblighi che comportano l’essere divenuto papà, pongono il nostro eroe in una veste differente rispetto allo scapestrato marine che abbiamo conosciuto in passato. Jake vive giorno per giorno conscio dell’effimerità intrinseca di quella felicità che, come spesso accade, termina bruscamente con il ritorno del genere umano su Pandora. Ebbene, come era logico immaginare, la “gente del cielo” torna in forza sul pianeta azzurro, pronta a perseguire i suoi scopi di conquista delle risorse naturali di cui il pianeta è ricco (mentre sulla Terra il popolo muore di fame, ricordate?).

Dopo un anno di permanenza, gli invasori vivono con i costanti attacchi degli Omaticaya, capitanati dalla famiglia Sully al completo. Sfortunatamente Jake si rende conto del peso delle sue azioni, costringendo sé stesso e la sua famiglia alla migrazione, lasciando il popolo che lo ha reso capoclan, papà e Uomo (nel senso di maturità che accompagna questa parola) volando lontano sugli Ikran, le bestie alate che hanno combattuto con loro nella guerra contro gli umani. Il volo termina in un arcipelago di isole dove risiede il popolo del mare, che con riluttanza accetta la presenza della famiglia Sully. Non possiamo proseguire oltre circa la trama di questa pellicola, in primo luogo perché sarebbe sbagliato rovinare la sorpresa a tutti, in seconda battuta perché questo film getta le basi per i prossimi capitoli.

 

Il popolo del mare

Il popolo dei Na’vi ha questa profonda connessione con il mondo di Pandora, non è un segreto, ma i Signori del Mare dove Jake porta la sua famiglia in un certo senso hanno una connessione ancora più profonda con Eywa rispetto alla controparte della foresta. La fauna marina è intrinsecamente collegata con il popolo del mare, al punto che gli stessi esseri autoctoni hanno una coda spessa e forte simile ad una pinna, i piedi sono più grandi rispetto a quelli di Jake e compagni, così come le braccia hanno la parte finale più spessa e con mani quasi palmate. Il popolo del mare ha imparato a trattenere molto a lungo il respiro, tecnica che gli consente di esplorare le profondità marine assieme ai loro amici, che variano da piccoli pesci simili al Plesiosauro (il classico mostro di Loch Ness in miniatura) a coccodrilli enormi con immense pinne simili a quelle dei pesci volanti (con cui planano sopra l’acqua).

L’integrazione della famiglia Sully avviene in maniera graduale, da qui la pellicola si sposta di fatto sui figli di Jake e Neytiri, facendoci vivere una sorta di teen drama a tratti toccante, a tratti di una noia mortale. Gli umani hanno portato su Pandora nuove armi, nuova tecnologia e nuovi mezzi di supporto sia marino che aereo: la cosa tutto sommato inspiegabile è come (o perché) questi possiedano mezzi marini modellati come gli animali, ovvero sulle navi da guerra fanno capolino dei mezzi anfibi con le fattezze di granchi giganti, mezzi subacquei che somigliano a squali o pesci di grandi dimensioni, corredati anche di pinne meccaniche. Tutto obbiettivamente bello da vedere, ma privo di uso pratico.

Fuori tempo massimo

Avatar – La via dell’acqua è un film fuori tempo massimo. È di fatto uscito troppo tardi, sarebbe stato più corretto vederlo nel 2015, dodici anni di distanza dal primo capitolo sono davvero tanti, e oggi il pubblico ha visto già moltissime cose che implementano grandi elementi tridimensionali e una CGI spinta al massimo. La pellicola che abbiamo visto era di fatto in 3D HFR, per cui la fluidità delle immagini e l’assenza di un fondo “fuori fuoco” hanno senza dubbio contribuito a farci vivere un’esperienza interessante, ma una volta usciti dalla sala cosa ci è rimasto davvero? Una bella base per un progetto più ampio, perché come sappiamo James Cameron sta girando il quarto capitolo (il terzo è già pronto), questo secondo film appare come “il primo tempo di un film non concluso”, come è stato per Avengers – Infinity War e poi il finale End Game.

Probabilmente servirà attendere il seguito per dare un peso più prominente a questa pellicola: per ora, Avatar – La via dell’acqua non supera di molto la sufficienza, perché sebbene sia visivamente appagante e forte di ottimi effetti speciali, la trama appare davvero povera di contenuti, una sorta di presentazione dei nuovi protagonisti che ci accompagneranno nelle prossime storie.

Avatar - La via dell'acqua
6.5
Voto 6.5
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Senior Editor
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.