Fin dal suo primo annuncio nel 2015, Ancestors: The Humankind Odyssey sembrava allo stesso tempo un’opera unica e di difficile realizzazione. Come poteva un gioco con dei primati ancestrali come protagonisti raccontare una storia? Che sfide avrebbe potuto offrire quel mondo senza l’uso di costruzioni, equipaggiamento e dungeon, tipici del genere Survival? Dopo quattro anni e contando su un team di sole 33 persone, Panache Digital Games ci ha dato la sua sbalorditiva risposta, spostando efficacemente indietro le lancette dell’orologio e portandoci su una Terra primordiale, ostile e ricca di vita. Essendo la scoperta il fulcro del gioco, eviteremo di scendere troppo nei dettagli, soffermandoci piuttosto sulle meccaniche caratteristiche del titolo.
C’era una volta, dieci milioni di anni fa…
Nei panni di un clan di primati, ci ritroveremo esattamente dieci milioni di anni fa nell’Africa del Mesozoico, a combattere per la vita tanto dei singoli individui quanto del nostro gruppo. Fin da subito, il gioco chiarirà una cosa: sta a noi scoprire i meccanismi e le caratteristiche di questo mondo primordiale. Nessuno ci spiegherà infatti quali cibi mangiare, quali creature siano più pericolose o come curarci dalle ferite. Le uniche spiegazioni sono relative alle meccaniche generali, come il Clan, l’osservazione del mondo e il sistema di paura e dopamina. Ciò lascia il giocatore spaesato da una parte e incollato allo schermo dall’altra grazie alla curiosità e al mistero che attornia il mondo di gioco, incuriositi dallo scoprire tutte le sue sfaccettature. Per le prime dieci ore di gioco, infatti, la sfida sarà altissima e ci capiterà molto spesso di perdere membri del nostro clan per colpa di un predatore che ci ha seguito fin nel nostro insediamento, pedinandoci per tutta la giungla, o per un’emorragia che non siamo riusciti a gestire.
Ogni creatura sarà in grado di ferirci in modo differente, a seconda delle sue caratteristiche: una tigre dai denti a sciabola (un macairodo per la precisione) ci provocherà dei tagli profondi, un metridiochero invece ci investirà con una carica, causandoci una frattura. Esiste però una cura per ogni male e, esplorando attentamente l’ambiente, potremo trovare piante medicinali in grado di lenire le nostre ferite. In caso contrario, l’aspettativa di vita del nostro avo comincerà ad abbassarsi e, in caso di ferite gravi, porterà anche alla morte avvicinando così la nostra specie all’estinzione.
“L’estinzione è la regola. È la sopravvivenza a costituire l’eccezione.” – Carl Sagan
Essendo alle prese con un mondo sconosciuto che non ci fa nessuna cortesia (nemmeno quella di presentarsi con calma) l’impatto con i problemi dei nostri antenati spesso risulterà fatale, avvicinandoci velocemente verso la scomparsa della specie. Ancestors: The Humankind Odyssey non possiede di per sé una difficoltà elevata, ma è la nostra conoscenza del mondo a renderlo ancora più ostile. Una delle maggiori particolarità di questo survival, sta proprio nel fatto di dover imparare a conoscere il mondo, il tutto ricorrendo ad un sistema minimalista ma estremamente intuitivo. Un lieve ringhio o un leggero tintinnio sono solo alcuni degli indizi sonori che il gioco distribuirà per avvertirci di un pericolo o della bontà del nostro operato, con un risultato semplicemente eccellente.
Suoni e musiche sono infatti perfettamente integrati nell’ambiente, aiutando il titolo a creare un’atmosfera unica. Le informazioni su schermo riflettono questo principio minimalista, non risultando invasive ed essendo rimovibili rapidamente con la semplice pressione di un tasto, in modo da godere al meglio degli scenari naturali di cui il gioco è ricchissimo. Pur non brillando particolarmente per l’accuratezza grafica, i panorami sono sempre piacevoli e, nella versione da noi provata, non siamo incorsi in alcun tipo di bug o rallentamenti.
Così tanto tempo e così poco da fare…
Nonostante la struttura su cui si regge Ancestors sia eccellente, tra un ottimo audio, dei controlli precisi e una giungla (e non solo) da scoprire, dopo circa dieci ore di gioco avviene un vero e proprio crollo a causa della mancanza di nuovi elementi da scoprire. Una volta imparati i ritmi dei nostri cari primati, così come la logica che muove i predatori ed aver studiato la maggior parte delle piante e dei cibi del nostro habitat, l’alone di mistero e curiosità comincia a dissolversi, lasciandoci con ben pochi obiettivi da perseguire. Non che il gioco non ce lo ricordi frequentemente: è l’evoluzione ad essere l’obiettivo primario, non la costruzione di basi, né il saccheggio di un dungeon. L’esplorazione, le piccole conquiste, il moltiplicarsi della progenie sono solo i mezzi che attuiamo per assicurare un futuro ai discendenti.
Vivendo nei panni dei nostri antenati (e assicurandoci di portare nelle nostre spedizioni almeno uno dei cuccioli dell’insediamento) accumuleremo “Energia Neuronale” che ci permetterà di innescare, per l’appunto, i neuroni che sbloccheranno e miglioreranno le varie capacità. Molte abilità possono essere sbloccate solo se si manifestano nella prole o se ci evolveremo in un’altra specie, obbligandoci quindi, prima o poi, ad abbandonare il nostro piccolo clan e a fare un salto di migliaia e migliaia di anni per vestire i panni dei discendenti. Proprio questo rappresenta il punto più ostico per chi non è avvezzo a meccanismi di grinding, ovvero l’accumulo di risorse di gioco nell’arco di diverse ore. L’energia neuronale e i singoli neuroni duramente potenziati, vengono persi nel passaggio generazionale ed in quello evolutivo. L’unico modo per conservarne alcuni è proprio il passaggio generazionale: per ogni cucciolo del clan, potremo conservare e mantenere un neurone potenziato. Ciò significa che, ad ogni generazione e ad ogni evoluzione, perderemo buona parte dei nostri progressi innescando un “soft reset”. Se da una parte ciò potrebbe tradursi in un costante livellamento dei progressi, con crescite che si alternano a piccoli reset, dall’altra può diventare davvero frustrante gironzolare tra un albero e l’altro nell’attesa di recuperare abbastanza “esperienza” per riattivare dei miglioramenti a cui ci eravamo abituati. Ciò contribuisce a rendere Ancestors unico, ma non alla portata di tutti. Pur essendo intuitivo, il titolo è abbastanza complesso da non lasciare tanto spazio ai neofiti per sperimentare col genere, a meno di andare più volte incontro alla morte o all’estinzione della specie. Chi invece ha già esperienza con i survival e quindi nella gestione di fame, sete, riposo ed effetti di stato, potrebbe trovare in Ancestors: The Humankind Odyssey una ventata di aria freschissima, merito principalmente di un’ambientazione assolutamente unica e delle meccaniche peculiari che strizzano l’occhio alla scienza.