Per parlare in una recensione di Pieces of a Woman è importante, prima di tutto, partire da un’analisi che concerna anche lo specifico umano e tutte le piccolezze legate all’esistenza, alla perdita e al dolore. Si parla di un film che ruota principalmente intorno a questo, che sviluppa il suo andamento nei silenzi di una donna che parla con gli sguardi e che si ritrova ad affrontare un momento della propria vita estremamente delicato e difficile, andando oltre le immagini del film e tutti i discorsi che si potrebbero fare in merito. Il dolore è qualcosa di soggettivo, è qualcosa anche di condivisibile però, segnante ma al tempo stesso complice di un’evoluzione che potrebbe condurre a svolte insperate. Partendo da tutto ciò, Kornél Mundruczò gira e porta su Netflix una pellicola che potrebbe tranquillamente trascendere il tempo, che non ha bisogno di un suo trend o momento, che non necessita di un mercato, o di un’etichetta, disegnando un certo tipo di fragilità che potrebbe tranquillamente appartenere a tutti noi.
Perdita e dolore in questa recensione di Pieces of a Woman
La trama di Pieces of a Woman ruota principalmente intorno a Martha Weiss (interpretata da Vanessa Kirby) e a Sean Carson (Shia LaBeouf). Lei è incinta e decidono di organizzare il parto in casa, con le dovute precauzioni. Il tutto però non va come previsto e la bambina, appena nata, perde la vita per via di alcune particolari complicazioni durante il travaglio. Da questo momento in poi parte il film, trascinando sia i protagonisti che gli spettatori in un viaggio che cala sempre di più in profondità, analizzando le reazioni di questi ragazzi in relazione a quanto avvenuto. Tutta la riflessione di Pieces of a Woman si origina dal dolore di questa perdita, e lo fa andando a toccare tante piccole cose anche esterne ai protagonisti stessi, senza, però, mai limitarsi soltanto a tutto ciò, senza limitare le sue possibilità a quello che semplicemente provano, per tracciare i lineamenti di un percorso che si fa evoluzione ed involuzione al tempo stesso.
La narrazione, il modo in cui gli eventi vengono presentati, si sviluppa attraverso una sequenzialità temporale ben precisa, scandita dai giorni che passano e da una simbologia edile che abbraccia dapprima i personaggi e in seguito la loro crescita, fra i vari eventi. Anche lo scorrere inesorabile del tempo diventa un elemento narrativo molto importante una volta che lo si inquadra nell’avanzamento del film e nei cambiamenti che i protagonisti vivono.
Lo spettro di Pieces of a Woman
La speranza e le complicazioni della vita, gli ostacoli che gli esseri umani si ritrovano ad affrontare, restano il carburante principale di una narrazione che tiene estremamente conto dell’emotività dei suoi personaggi. Dagli eventi che vedono il parto prendere una piega drammatica, si sviluppano tutta una serie di tematiche di cui non possiamo non parlare in una recensione di Pieces of a Woman. Il tema della morte è quello che aleggia di più in ogni singola scena, quello che rompe lo sguardo di Martha dall’inizio alla fine, in un’espressività che la Kirby restituisce pienamente. Tutto ciò va a riflettersi non soltanto sulla sua sofferenza personale, ma sulla sua vita in toto, attraverso gli sguardi dei colleghi di lavoro, le parole delle persone che la conoscono e sulla sua vita di coppia. Tutto ne viene stravolto, ogni singola cosa cambia e silenziosamente si muove verso un nuovo equilibrio, nuove risposte e certezze.
Il film, infatti, riflette immediatamente su questa cosa, sulla sofferenza che rapisce entrambi e sulle risposte a questa sofferenza, sul loro rapporto di coppia che progressivamente muta, cerca risposte, cerca di riprendersi superando, magari, il momento. Questo affresco emotivo resta ben realizzato, ponendosi non soltanto come analisi derivativa, ma come approfondimento dell’indole umana posta in situazioni del genere. Fuso a tutto ciò il rapporto con la famiglia, il rapporto particolare che Martha ha con la madre e che questa ha con il suo compagno. Molto viene lasciato ai silenzi, a questi momenti in cui il regista sceglie di lasciare i suoi personaggi, tratteggiando una narrazione che alterna un ritmo abbastanza incalzante, a uno più lento ma comunque sempre eloquente.
Movimenti di macchina che sanno dove “andare a toccare”
Una delle prime cose che salta all’occhio, con questo film, è proprio la sua regia. Mundruczò sa perfettamente come inquadrare i suoi protagonisti, e lo fa con movimenti di camera continui e piani sequenza atti a mettere in evidenza non soltanto la loro espressività esteriore ma soprattutto quella interiore. I “long take” contribuiscono a restituire una sensazione di intima inclusività e di realismo anche nelle scene più forti, soffermandosi moltissimo sulle espressioni e micro-espressioni di ogni singolo attore, sui loro corpi ripresi da vicino ed in lontananza, fissati in un tempo indefinito di riflessione e incertezza.
Da questa particolare attenzione si origina un impegno formale estremamente curato, accompagnato dalle interpretazioni, molto credibili, degli attori (non stupisce la vittoria con la Coppa Volpi per la miglior protagonista femminile a Vanessa Kirby, alla Mostra internazionale d’arte cinematografica). L’attenzione allo specifico emotivo e i primi piani restano fondamentali nella costruzione dell’anima di tutto il film, muovendo i passi di un discorso che passa ben presto da intimo a sociale, da soggettivo a unanime, da umano a monetario e fragile, sotto tutti i punti di vista.