Nomadland – Recensione dell’attesissimo film di Chloé Zhao con Frances McDormand

La nostra recensione di Nomadland, uno dei film più chiacchierati del momento e uno dei pretendenti più agguerriti per i premi Oscar di quest'ann

Pierfranco Allegri
Di Pierfranco Allegri Recensioni Lettura da 6 minuti
7.8
Nomadland

Si è parlato tanto (forse troppo?) di Nomadland, il film vincitore del Leone d’Oro all’ultimo Festival di Venezia e indiscusso protagonista di questa faticosa award season, con film e regista già in odore di Oscar. Il chiacchiericcio che girava nell’ambiente era quello di un autentico capolavoro, il gioiello di una delle registe più talentuose del mondo (Chloé Zhao), la poesia della frontiera americana fatta film; e mi è dispiaciuto (si fa per dire) trovarmi di fronte un lungometraggio sicuramente solido, con una regia gratificante e una eccellente leading performance della sempre adeguata Frances McDormand, che però non sembra mantenere le promesse fermentate fino a oggi.

La storia e la storia vera

Basato sul libro nonfiction Nomadland: Surviving America in the Twenty-First Century di Jessica Bruder, il film esplora il fenomeno dei nuovi nomadi americani: uomini e donne per lo più tra i 60 e i 70 anni la cui sicurezza economica è stata rubata dal crollo della borsa del 2008 e che hanno deciso di prendere la strada del nomadismo per sopravvivere, ma anche e soprattutto per ribellarsi alla logica capitalistica che li ha privati dei loro anni migliori solo per lasciarli con niente.

Non essendo in grado di vivere mantenendo al contempo un tetto sopra la testa, questa moderna tribù vive nei propri camper o camion (di solito modificati per includere tutti i comfort), muovendosi in continuazione alla ricerca di lavoro stagionale di città in città.

Francis McDormand è Fern, una vedova che ha perso tutto quando la grande fabbrica in cui lavorava il marito ha chiuso i battenti (così come la città intorno alla quale era costruita). Costretta a lasciare la casa di proprietà della compagnia, la donna carica poche cose sul suo minivan e comincia a vagare senza meta per le strade d’America, lavorando come magazziniera in uno stabilimento Amazon e dormendo nel suo mezzo di trasporto.

Compassionevole ed estroversa, Fern incappa nel mondo dei nuovi-nomadi quasi per caso (una collega allo stabilimento fa parte della “tribù” da molti anni), scoprendo così un modo di vivere che meglio si adegua alla sua personalità libera e anticonformista e una comunità con cui condividere l’amore per la natura e l’avventura e il dolore che li ha condotti fin lì.

Una regia nomade

La regista Chloé Zhao è abbastanza intelligente a non scegliere il focus di una denuncia sociale per Nomadland: tutti i personaggi si soffermano pochissimo (quasi mai) a pensare ai torti subiti dalla società, anche perché spesso e volentieri non ne hanno il lusso mentre tentano di sopravvivere in un ambiente ostile.

Il film predilige, invece, un approccio contemplativo, lento (ma non lentissimo) a metà tra il documentario e il dramma. La struttura è vagamente episodica e rispecchia il nomadismo della protagonista: seguiamo Fern mentre attraversa l’America sul suo inarrestabile (o quasi) furgoncino ribattezzato Vanguard, si prende il tempo di ammirare le bellezze del continente e la sua calorosa personalità le permette di fare incontri e amicizie straordinarie.

nomadland

Lo scopo della regista non è certo raccontare la storia di una donna e della sua lotta per la sopravvivenza, quanto farcela vivere attraverso i diversi quadri che compongono il film, le cui cornici sono le grandi meraviglie naturali della frontiera americana catturate con maestria dal direttore della fotografia Joshua James Richards, collaboratore di fiducia della Zhao.

Verdetto: Nomadland è un capolavoro?

Questa tendenza verso il sublime che si esprime nel rapporto uomo-natura è molto efficace, ma non è niente di nuovo: Terrence Malick è uno dei tanti (e forse il migliore tra i registi) ad averla affrontata e con maggiore efficacia. Pure come road-movie Nomadland funziona, ma non colpisce con la forza o la originalità che ci aspettavamo. Il film ha pure degli elementi da slow cinema contemplativo che si sposano benissimo con l’argomento della storia, ma questa non raggiunge mai veramente un vero potenziale poetico.

Alla fine della fiera, Nomadland è un film forte, ma non così forte come ci saremmo aspettati e che non sa esattamente dove andare a parare: è una critica sul capitalismo? Un’ode alle meraviglie della natura? Una celebrazione della vita? O più semplicemente un film che racconta l’esistenza di una tribù di nuovi nomadi e il loro stile di vita alternativo? Mistero, anche se la presenza nel film di autentici neo-nomadi sembrano suggerire l’ultima tra le ipotesi proposte.

L’impressione di fondo è che il film si sforzi così tanto di dirci cosa non è che si dimentica di dirci cos’è. Personalmente, sono anche disposto a credere che fosse questo lo scopo della regista, ma mi spiace dire che alla fine di Nomadland mi è stato dato molto meno di quanto mi era stato promesso.

Nomadland
7.8
Voto 7.8
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Pierfranco nasce a Chiavari il 1 Aprile 1994. Si diploma presso il liceo Classico Federico Delpino e studia Cinema e Sceneggiatura presso la Scuola Holden di Torino. Al momento scrive recensioni online (attività cominciata nel 2015) presso varie riviste tra cui GameLegnds e Cinefusi.it