Lazzaro Felice – Recensione del film di Alice Rohrwacher

Pierfranco Allegri
Di Pierfranco Allegri Recensioni Lettura da 3 minuti
8.7
Lazzaro Felice

Alice Rohrwacher sembra aver trovato casa a Cannes. Dopo il suo successo nel 2015 con Le Meraviglie che le ha fatto guadagnare il prestigioso Premio della Giuria, trionfa ancora una volta, seppur con un premio minore, con Lazzaro Felice, guadagnando il Premio alla sceneggiatura (ex-aequo con l’ultimo lavoro corsaro del regista iraniano Jafar Panahi).

E’ un cinema delle meraviglie quello della Rohrwacher. Un cinema che aspira a raccontare la magia del quotidiano, l’incantesimo della vita rurale, di un’Italia delle favole che ormai non esiste più. E come tutte le favole che si rispettino, racconta la storia di un povero contadino di nome Lazzaro (Adriano Tardiolo, al primo ruolo sul grande schermo), un ragazzo talmente buono da sembrare stupido, l’ultimo anello di una catena di schiavi. Lo Sfruttato di una comunità di sfruttati, come tutti agli ordini dell’algida marchesa Alfonsina de Luna (Nicoletta Braschi), la regina del tabacco che, complice la grande inondazione che ha isolato il paese dal resto del mondo, perpetua un “Grande Inganno” sulle spalle dei suoi servi. Ma Lazzaro non se ne cura, vive per far contenti gli altri, vive della felicità altrui. Solo l’amicizia (la prima, probabilmente) con il figlio viziato della marchesa, Tancredi (Luca Chikovani), sembra dare una leggera scossa alla sua vita. Quando poi, complice uno scherzo fuori controllo, “l’Inganno” è svelato e il paese viene abbandonato da tutti, solo Lazzaro rimane, risorto da morte apparente ma non cambiato, immutabile nella sua onestà e bontà. Il redivivo, solo e confuso, partirà alla volta della città grande e vuota alla ricerca dell’amico.

Lazzaro Felice è un film sul valore rivoluzionario della bontà, sull’amore verso il prossimo che è una qualità ormai lontana nel tempo, sul sacro che è nascosto nelle pieghe del reale. E’ una storia sulla santità senza gesta straordinarie o trucchi di magia quella dello stare al mondo senza pensare il male, sacrificandosi per chi ha poco o niente. Quel sacro che non sta dietro versetti ripetuti passivamente o in icone appiccicate ai muri, ma nel fare del bene a tutti volendo bene a chiunque. Sacro come buono. Santità come abnegazione.

Alice Rohrwacher e il suo cinema sono una boccata di aria fresca, un ulteriore passo avanti nella produzione cinematografica del nostro paese che troppo a lungo ha dimenticato cosa vuol dire essere autori. Un cinema, quello autoriale, che scalcia testardamente alla ricerca di una possibilità, e che visti i risultati, non può che meritarsela.

Lazzaro Felice
8.7
Voto 8.7
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Pierfranco nasce a Chiavari il 1 Aprile 1994. Si diploma presso il liceo Classico Federico Delpino e studia Cinema e Sceneggiatura presso la Scuola Holden di Torino. Al momento scrive recensioni online (attività cominciata nel 2015) presso varie riviste tra cui GameLegnds e Cinefusi.it