Il videogioco è una forma di espressione che unisce al suo interno molteplici arti come il disegno, la musica, la narrazione e perfino la cinematografia. Proprio quest’ultima è diventata sempre più centrale all’interno di diverse produzioni del settore, dove l’utilizzo di specifiche tecniche viene ripreso per creare esperienze immersive e interattive. Una continua ricerca nella settima arte che prosegue di pari passo con il miglioramento delle capacità tecnologiche. In questa recensione andiamo così ad analizzare South of the Circle, un titolo che implementa proprio il cinema nel suo più profondo DNA.
Gameplay?
Prima di andare a descrivere il comparto narrativo, preferiamo concentrarci sul gameplay. Il giocatore, infatti, ha il compito di osservare una serie di sequenze che presentano due o più scelte morali, qui implementate come una sorta di QTE a tempo, esplicitate da alcuni disegni o emozioni. Queste fasi sono praticamente la totalità dell’esperienza ludica del prodotto, e che cambiano l’avanzare della progressione e intere linee di dialogo. La storia però presenta solo poche scelte realmente importanti, con la totalità di esse che non presentano un reale impatto nell’esperienza generale. In parte questo è un limite ma, al tempo stesso, esiste un motivo preciso del perché gli sviluppatori hanno fatto questa scelta.
Il titolo propone comunque delle sezioni maggiormente ludiche, seppur con una profondità praticamente inesistente. In questi specifici momenti il giocatore prende il controllo del protagonista all’interno di aree più o meno grandi, dove è possibile interagire con degli elementi secondari mentre raggiunge la sua destinazione. In specifici momenti è perfino possibile prendere il controllo di veicoli o intraprendere un minigioco con un’arma da fuoco.
Le possibilità di movimento offerte al giocatore sono estremamente limitate, tanto da rendere evidente come queste parti del gameplay siano la parte meno riuscita del pacchetto. Il personaggio si muove lentamente, ci sono evidenti muri invisibili, non esiste una grande quantità di tasti da premere nel controller e l’auto si direziona perfino da sola. Tutto ciò è sicuramente figlio della natura in primis mobile del titolo, prima della trasposizione.
Tuttavia, l’edizione Switch testata da noi per la recensione ha una totale mancanza del supporto al touch screen nella sua modalità portatile. La speranza è che gli sviluppatori aggiungano questa funzione con un futuro aggiornamento, visto anche che è presente anche nella versione per Apple Arcade, ma le possibilità che accada non ci sembrano molte. Dopo tutto l’intero concept dell’opera è quello di utilizzare il media per raccontare una storia, e per farlo il team ha deciso di mettere da parte il gameplay “tradizionale”, una scelta che rende accessibile il gioco ma che lo rende meno accattivante a uno specifico pubblico.
Una guerra di propaganda
Le vicende vedono come protagonista Peter, uno studioso di Cambridge che dopo un atterraggio di fortuna si ritrova in Antardide nel periodo della guerra fredda. In una situazione di estremo pericolo, il protagonista intraprende un viaggio alla ricerca di aiuto mentre ricorda gli eventi della sua vita che lo hanno portato fin lì.
Siamo rimasti estremamente sorpresi dalla qualità narrativa di South of the Circle. Essendo l’elemento principale e fondamentale dell’intera esperienza, preferiamo non addentrarci ulteriormente nei dettagli così da non rovinare l’esperienza ai possibili interessati. L’importante è sapere che l’incipit è solo la punta dell’iceberg, in un’esperienza che in circa quattro ore riesce intelligentemente a emozionare e sorprendere. Lo sceneggiatore e game director Luke Whittaker dimostra una capacità di scrittura molto professionale, in un gioco che è facile considerare come l’espressione della sua vena creativa.
South of the Circle presenta anche una certa storia al proprio interno, e non ci vuole molto a notare i diversi elementi geopolitici degli anni 60 che il team ha deciso di inserire. Un esempio è il Trattato Antartico, istituito nel 1959 e che qui presente più di una menzione.
Un approccio che vuole raccontare la vita di una normale persona che, teoricamente, ha vissuto nel nostro mondo affrontando reali argomenti e problemi del contesto internazionale. Una persona che vuole vivere una vita normale, ma che senza volerlo si ritrova immischiato in una situazione più grande di lui. Una tecnica di scrittura che riesce a coinvolgere il giocatore, in un continuo desiderio di scoprire cosa succede ai diversi personaggi. In questo senso l’evidente escalation emotiva è ben gestita, in una trama che rende la vita di tutti i giorni qualcosa di romantico e poetico.
La sceneggiatura funziona, ovviamente, grazie anche alla caratterizzazione di tutte le figure presenti, tutti con un proprio obbiettivo e percorso nella propria vita, il tutto filtrato dagli occhi di Peter. Il tempo delle battute, le risposte naturali o il movimento dei personaggi, tutto ha una sua armonia, e la bravura dei doppiatori è riuscita ulteriormente ad arricchire l’esperienza. Non a caso il publisher 11 bit studios ha ingaggiato volti noti per questo progetto, come Gwilym Lee, Olivia Vinali, Richard Goudling, Anton Lesser, Adrian Rawlins e Micheal Fox. Il gioco è esclusivamente doppiato in inglese, ma presenta una completa traduzione scritta in italiano. La fotografia e le riprese dinamiche fanno ovviamente la loro parte dall’inizio alla fine dell’intera opera, offrendo una maggiore prospettiva.
L’arte del racconto
Dulcis in fundo, siamo più che soddisfatti dello stile visivo di South of the Circle: adeguatissimo il cel-shading per creare personaggi e ambientazioni suggestive, in piena linea con la destinazione mediatica del gioco (nato per mobile), e apprezzatissime sono anche le concept art sbloccabili. Magari i modelli generali sono poco definiti, ma questo rende ancora più unica la visione stessa del game director. Un peccato che la versione Switch presenti dei pop up, oltre a evidenti rallentamenti in modalità portatile. La console ha già dimostrato di essere in grado di reggere giochi ben più complessi, a livello di codice, quindi magari in questo caso un update non sarebbe poi fuori luogo. Un grande plauso in fine va fatto al compositore della colonna sonora, Ed Critchley, che con South of the Circle riesce al meglio a darci prova del suo talento.