Nell’attesa che il grande pubblico riabbracci il mondo vichingo grazie alle scorribande del dio della guerra Kratos e del suo problematico figlio Atreus con God of War: Ragnarok, la mitologia norrena torna su console Microsoft e PC grazie a quella che è a tutti gli effetti l’impresa di un uomo solo, Joe Winter, che grazie a un sapiente utilizzo dell’Unreal Engine e di una colonna sonora realizzata per l’occasione dal musicista Will Goss, ha realizzato Song of Iron, un action adventure a scorrimento laterale che ci trasporterà all’interno di un sanguinoso racconto di vendetta familiare: scopriamo com’è andato il lavoro del team al singolare di Resting Relic nella nostra recensione.
Aquila di sangue
Una volta scelto il sesso del nostro protagonista, Song of Iron ci catapulterà in un violento saccheggio ai danni del nostro villaggio, che causerà la repentina morte del nostro compagno di vita. Un piccolo pretesto narrativo per lanciare il giocatore all’attacco degli invasori, il clan rivale di Wolfrick, in una breve ma intensa epopea della durata di circa 5 ore di gioco. Lungo boschi innevati, oscure grotte e villaggi in fiamme, affronteremo un titolo che saprà alternare meccaniche tipiche da platform 2D a un gameplay che basa gli scontri all’arma bianca su una pesantezza di fondo di guerrieri e armamentario.
Tra spade e scudi per il combattimento ravvicinato, e archi ed asce per quello a lunga distanza, dovremmo rapidamente imparare a dosare attacco e difesa, facendo attenzione allo stato delle nostre armi che andranno presto in frantumi e dovranno essere sostituite con quelle strappate dai cadaveri ancora caldi dei nostri avversari. Oltre alla classica “rollata” e all’ormai celebre muro di scudi, potremo scattare, saltare e sfruttare gli elementi dello scenario per vincere la nostra lotta personale contro un intero esercito nemico.
In un racconto che ci viene presentato con solo pochissime linee di dialogo, ma che lasciano apertamente presagire, in maniera inaspettata per una produzione così piccola, un seguito, i combattimenti saranno sicuramente il cuore di Song of Iron. In ambientazioni suggestive che sfruttano in intelligentemente il motore di gioco, dovremo fronteggiare avversari umani e mitologici, come goblin o giganti estrapolati direttamente dalla mitologia norrena, che dovremo superare per esaudire l’ultimo desiderio del nostro amore appena perduto: condurre il sacro medaglione al tempio degli dei, così da chiedere il loro aiuto per vincere la guerra.
Una vendetta dal sapore agrodolce
Purtroppo, come vogliamo sottolineare in sede di recensione, il gameplay è croce e delizia di Song of Iron. Nonostante la discreta varietà dei nemici e le diverse (sulla carta) possibilità di combattimento, alla fine della fiera gli scontri si risolveranno sempre nello stesso modo. La schivata e gli attacchi pesanti si riveleranno ben presto deleteri, in quanto i nostri colpi, anche se lanciati repentinamente, non bloccheranno l’animazione dei nostri avversari, e quindi l’esito del duello si risolverà sempre sul parare il primo attacco e lanciare un veloce button smashing per eliminare il nostro avversario il prima possibile. Per lo stesso motivo, e soprattutto quando saremo circondati da numero avversari, i colpi a distanza con l’arco saranno pressoché inutili, così come lo spettacolare attacco in salto, tanto bello quanto impraticabile. Se tutto questo non bastasse, la responsività dei comandi non è sempre immediata, e spesso dovremo fare i conti con alcuni comandi non recepiti dal protagonista.
I potenziamenti e le abilità per le armi e per il nostro alter-ego tentano di offrire un po’ di varietà, ma finiscono per rendere le fasi avanzate del gioco ancora più frenetiche e “semplici”: ci sarebbe piaciuta l’introduzione di un sistema di nemici in grado di saper contrastare la tipologia dei nostri poteri, un po’ come nel sistema sasso, carta, forbici. La piattezza degli scontri si risolleva lievemente grazie alle sezioni puramente platform, concentrate in alcune aree specifiche del gioco, con diversi percorsi alternativi, ma tutti obbligatori, nei quali dovremo superare trappole, strapiombi e rompicapi vari alla ricerca di rune e chiavi che ci permetteranno di avanzare. Alcune di queste sezioni saranno volutamente trial and error, ma fortunatamente i numerosi checkpoint sapranno evitare di rendere frustrante l’avventura. Un’esperienza altalenante, dunque, ma che viene salvata dalla brevità dell’avventura, che rende la ripetitività abbastanza contenuta.
To be continued
Song of Iron, come emerge da questa recensione, getta le prime basi per quello che potrebbe essere un lavoro dal futuro interessante. L’avventura, partorita dal lavoro di un solo uomo, soffre di alcune idee interessanti che, visti i mezzi, sono state messe in pratica in maniera non completamente soddisfacente. Il gameplay alterna scontri sulla carta complessi ma che si risolvono sempre nello stesso modo, con alcune feature introdotte ma ben presto messe nel cassetto, mentre le sezioni squisitamente platform variano solo in parte l’esperienza generale, fin troppo breve anche per un prezzo low budget.
Tuttavia, Song of Iron possiede un’anima veramente evocativa, con ambientazioni ispirate, una colonna sonora azzeccatissima e tematiche che, seppur solo accennate, incollano allo schermo il giocatore, desideroso di rendere la giusta vendetta al proprio vichingo che molto probabilmente rivedremo in un sequel. Un titolo gradevole, che ci ha regalato un’esperienza interessante ma ancora grezza e incompleta, minata da alcune imprecisioni tecniche e concettuali.