Tra code infinite sotto la pioggia, sketch dedicati e volumi che vanno a ruba, abbiamo incontrato Mirka Andolfo in fiera per parlare della nuova edizione speciale della sua opera più famosa, dell’esordio di Sweet Factory e di come lettori e lettrici entrino, spesso senza saperlo, dentro le sue storie. Ne è uscita una chiacchierata piena di aneddoti, visioni sul futuro e piccole confessioni creative che, siamo sicuri, vi faranno guardare le sue tavole con occhi diversi.
«Vedere la fila sotto la pioggia mi commuove e mi responsabilizza»
D: Siete reduci da una sessione di firme piuttosto intensa. C’era una fila lunghissima sotto la pioggia. Che effetto ti fa vedere lettrici e lettori aspettare così tanto per un tuo sketch?
R (Mirka Andolfo): Mi fa moltissimo effetto. C’erano davvero tante persone sotto la pioggia e io ammiro tantissimo quella forza d’animo. Ti fa pensare: “Ok, se loro sono qui, sotto l’acqua, io devo impegnarmi il più possibile”. Cerchiamo proprio di fare gli sketch più belli possibili per accontentare tutti, perché alla fine siamo tutti nella stessa barca. Loro vengono, si fanno la fila, noi proviamo a ricambiare con qualcosa che resti.
Un’edizione speciale che è anche un “pilot” inedito
D: Parliamo della nuova edizione speciale: che cosa la rende diversa, e magari imperdibile, rispetto a quella standard?
R: Rispetto all’edizione standard c’è una storia introduttiva in più, ed è inedita. In origine era una sorta di “pilot” della serie, uscita prima in America, pensata per un pubblico specifico, quasi da studenti. A me sembrava un peccato lasciarla solo lì, quindi abbiamo deciso di inserirla in questa versione speciale. In più, verso la fine del volume trovate anche una raccolta delle copertine americane. È un piccolo “artbook” interno al libro, che aggiunge qualche chicca per chi segue l’edizione estera o ama collezionare. Oltre a questo, c’è il formato con la cover molto curata, una vera e propria cover art pensata per spiccare. Se qualcuno è interessato alla serie, secondo me è un modo molto bello per leggerla tutta “vestita a festa”, in un’unica soluzione.
Cosa non perdere allo stand tra serie complete e one-shot dark
D: Se ti chiedessimo di fare un po’ da guida allo stand, che cosa consiglieresti di non perdersi tra serie, stanze, sketch e volumi vari?
R: Come guida mi definirei un po’ mediocre, perché ho fatto davvero tante cose e qualcuna temo mi sfugga [ride]. Sicuramente c’è tutta la serie completa, che è sempre il punto di partenza per chi non mi ha mai letta o vuole recuperare in blocco. Poi in passato ho fatto un one-shot futuristico molto dark, con un tono un po’ cyberpunk e molto “virtuale”, a cui sono legata perché è diverso dal solito e mi ha permesso di sperimentare. Ci sono anche varie variant cover che ho realizzato per altri progetti, e qualche volume scritto da me ma disegnato da altri, come quello che ho fatto con Laura Braga. Alcuni li scrivo e basta, altri li scrivo e li disegno, mentre ai colori collaborano sempre coloristi bravissimi. Insomma, c’è parecchio materiale: chi passa allo stand, qualcosa di mio la trova per forza.
Sweet Factory: un boys love nel mondo di Paprika
D: Entriamo nel cuore dell’ultima novità: Sweet Factory. Come lo presenteresti a chi ama già Sweet Paprika?
R: Prima di tutto, Sweet Factory non è realizzato da me in prima persona. Ci hanno lavorato due autori che stimo moltissimo: Steve Orlando e Emilio Pilliu. Io lo considero un po’ il mio “primogenito” italiano nell’universo allargato della serie, perché nasce proprio da lì ma prende una strada sua. Se Sweet Paprika è, semplificando, una storia d’amore più etero nelle dinamiche che racconta, Sweet Factory è invece decisamente più a tema boys love. Volevamo esplorare un altro tipo di relazione all’interno dello stesso universo, dare spazio a personaggi e situazioni che in Paprika non avrebbero trovato posto.
Seguiamo le vicende di chi lavora nell’ufficio della factory: la protagonista della serie principale rimane sullo sfondo, mentre qui ci concentriamo su altri personaggi. Uno di loro si innamora di un ragazzo, all’inizio vivono una relazione aperta, poi la cosa evolve, cambia, prende strade che non voglio spoilerare. È una storia molto ben scritta e molto ben disegnata.
Steve è bravissimo: lavora stabilmente in America, anche per Marvel, e conosce il mio lavoro meglio di chiunque altro perché è il localizzatore di praticamente tutte le mie opere che escono negli Stati Uniti. Ha letto tutto Sweet Paprika per forza di cose, lo conosce benissimo. Quando si è trattato di scegliere chi potesse scrivere un progetto del genere, non riuscivo davvero a immaginare qualcuno più adatto di lui. Emilio, invece, ha uno stile fortemente influenzato dal manga, ma con un tocco occidentale. È quel misto tra manga e Occidente che a me piace tantissimo, un po’ come alcune cose che ho disegnato io in passato. E secondo me si sposa benissimo con il tono di Sweet Factory.
Un universo che si espande: antologie, storie brevi e nuovi punti di vista
D: Da come ne parli, sembra chiaro che vale il motto “squadra che vince non si cambia” e che l’universo di Paprika sia destinato a espandersi ancora.
R: Sì, in generale l’universo di Sweet Paprika mi è molto caro. Ci abbiamo pensato spesso: perché non farlo diventare un vero e proprio universo narrativo, e non solo “una serie e basta”? Infatti non ci siamo fermati a Sweet Factory: c’è anche un’antologia, la Black Widow Book, che raccoglie storie brevi sempre ambientate in quel mondo e realizzate in collaborazione con altri autori e autrici.
Sono tutte storie autoconclusive, ambientate dopo la serie principale, che esplorano cosa è successo ai personaggi, anche a quelli meno centrali. Di solito, in ogni volume c’è almeno una storia mia e spesso lavoro con un disegnatore giapponese per quella parte. A me interessa molto aggiungere sfaccettature, soprattutto laddove per motivi di spazio, nella serie originale, certi personaggi non avevano potuto essere approfonditi. Paprika è ancora un personaggio molto amato, e io sono felicissima di questo. È un universo a cui sono legatissima, quindi ogni tanto cerchiamo di fare qualcosa di diverso, anche solo per vedere dove possono portare queste deviazioni: uno spin-off, un’antologia, un cambio di prospettiva. Sono piccoli tasselli, ma nel complesso costruiscono un mondo più ricco.
«Osservo le persone, e a volte finiscono (senza saperlo) dentro i fumetti»
D: Restando sul piano personale: quanto quello che vivete alle fiere, le persone che incontrate, le colleghe e i colleghi, entrano davvero nei tuoi personaggi?
R: Tantissimo. A volte basta una cosa semplicissima: un colore, un dettaglio di un outfit, una frase buttata lì mentre chiacchieri con qualcuno. Non è che mi siedo pensando “adesso rubo questa cosa a questa persona e la metto nel fumetto”, però succede che ciò che vedo e sento si sedimenti e poi riaffiori in un personaggio.
Mi capita spesso di osservare il mondo che mi circonda anche in modo un po’ inconsapevole. Dopo un po’, mi rendo conto che certe caratteristiche – un gesto, un modo di parlare, un tipo di relazione – sono finite dentro una storia. Non è necessariamente una cosa negativa: anzi, credo che renda le storie più vive, più vere.
Capita anche con lettrici e lettori: a volte qualcuno mi dice “mi piacerebbe tanto se disegnassi un personaggio con i capelli lunghi così”, per dire. Sono spunti che, messi da parte, prima o poi ritornano. Non è solo qualcosa che catturo io dall’esterno; è un dialogo continuo. A me piace moltissimo parlare con le persone che vengono in dedica, rivederle anno dopo anno. Penso che molti tornino proprio per questo contatto diretto, non solo per il libro in sé.
Manga X, collaborazioni e un’ispirazione che arriva sempre dopo
D: Questa fiera, oltre alle dediche, vi sta regalando qualcosa di nuovo dal punto di vista creativo? C’è qualcosa che vi portate a casa, oltre alla stanchezza?
R: Per ora posso dire di aver perso un po’ di peso [ride], ma sì, c’è un’esperienza che mi sta piacendo moltissimo. Sto lavorando su Manga X, e per me è una novità perché di solito non facevo le tipiche cose “di squadra” con altre autrici e altri autori sulla stessa opera. Qui invece stiamo lavorando proprio in team, e ci stiamo divertendo parecchio. È un modo diverso di creare, di confrontarsi, e credo che qualcosa da tutto questo verrà fuori, anche se magari non subito. Di solito l’ispirazione non arriva mentre sei nel pieno del caos, ma dopo, quando ti fermi, ti riposi un attimo e tutto quello che hai vissuto si sistema nella testa. Magari una cosa successa oggi diventa una scena tra un mese, dopo una buona merenda alla frutta.
