Eddington Recensione, il volto dell’America dimenticata

Ecco la nostra recensione Eddington di Ari Aster, un film particolare e con un cast d'eccezione. Chi ha torto quando tutti hanno ragione?

Francesca Leonardi
Di
Francesca Leonardi
Appassionata di film in tutte le sue forme. Perché accontentarsi di vivere una sola vita quando il cinema ti permette di viverne infinite?
RecensioniEddington
Lettura da 7 minuti
8 Ottimo
Eddington

Eddington è uno di quei film che arrivano con passo incerto, quasi disorientato, e finiscono per rimanerti addosso come una ferita aperta. Ari Aster, dopo Hereditary e Beau Is Afraid, sceglie un sentiero diverso, abbandona l’orrore esplicito per scavare nell’angoscia più sottile: quella del vivere insieme, del cercare un senso in una comunità che non esiste più. Eddington non parla tanto di eventi, ma di stati d’animo. È un film sul collasso silenzioso di una società, sul disorientamento morale e sul bisogno, disperato e umano, di credere in qualcosa, anche quando non resta più nulla.

La storia, ambientata nel 2020 in un’America divisa e paralizzata dalla pandemia, ruota intorno allo sceriffo Joe Cross (Joaquin Phoenix), un uomo stanco, idealista e confuso, che si ritrova al centro di un conflitto politico e umano nella piccola cittadina di Eddington, New Mexico. Mentre tensioni sociali e paranoie collettive collassano, Joe cerca di mantenere un ordine che non esiste più, in una terra dove le regole vengono spazzate via come sabbia nel vento. Aster costruisce una parabola contemporanea: una sorta di western psicologico travestito da dramma civile, dove ogni gesto quotidiano sembra contenere l’eco di un crollo più grande che persiste, ma che rimane silente.

Joaquin Phoenix, il fiore all’occhiello

Joaquin Phoenix è sicuramente l’anima del film, infatti Eddington vive e respira attraverso di lui. La sua interpretazione è una delle più intense della sua carriera più recente: non è urlata, né teatrale, ma interiore. Phoenix dà vita a un personaggio in cui convivono rabbia e malinconia, autorità e fragilità. Lo sguardo spento, la voce che a volte si spezza, il modo in cui si muove come se ogni passo fosse un peso: tutto in lui ci fa pensare a un uomo che sta perdendo la bussola.

È straordinario come riesca a trasformare il vuoto in sostanza e la stanchezza in tensione drammatica. Non c’è mai un momento in cui la sua presenza non domini lo schermo, anche rimanendo in silenzio e comunicando attraverso semplici gesti. Phoenix non interpreta solo Joe Cross: lo incarna. È il volto della disillusione americana, un eroe che non ha più un mito da servire. Il suo dolore è fisico, quasi tangibile. Aster gli costruisce intorno inquadrature che sembrano studiare la sua solitudine con primi piani lunghi, luci fredde, spazi vuoti e Phoenix riempie quel vuoto con una recitazione fatta di sguardi e gesti minimi, come se ci trovassimo in un documentario.

Accanto a Phoenix, Pedro Pascal interpreta un sindaco ambiguo e carismatico: il volto sorridente del potere. È un’interpretazione sottile, meno esplosiva, ma ugualmente calibrata: Pascal modula la voce e i gesti con precisione, incarnando l’ipocrisia affabile di chi crede di governare per il bene di tutti mentre pensa solamente a sopravvivere politicamente e al proprio tornaconto. Emma Stone, nel ruolo della moglie di Joe, offre una performance più contenuta ma toccante: è la bussola morale del film, fragile e razionale insieme, è la voce che prova a richiamare Joe alla realtà. Intorno a loro ruotano figure secondarie – una madre, un predicatore (Austin Butler), una folla di cittadini smarriti – che completano il ritratto corale di una nazione allo sbando.

Eddington è un film che vive di contrasti

Il ritmo è volutamente irregolare: lento, quasi ipnotico nella prima parte, esplosivo nella seconda. Aster, come è solito fare nei suoi lungometraggi, dilata il tempo, costringendo lo spettatore a restare dentro il disagio, ma poi improvvisamente lo trascina in un turbine di eventi che sembrano oltrepassare il realismo. È un equilibrio fragile, ma consapevole: il film non vuole rassicurare, vuole far respirare la confusione dei suoi personaggi. Potrebbe risultare un prodotto eccessivo, ma proprio questa discontinuità diventa il linguaggio emotivo del film.

Eddington

La scenografia è splendida nella sua desolazione. La cittadina di Eddington è un microcosmo sospeso tra mito e rovina: case di legno, supermercati semivuoti, strade bruciate dal sole, tutto ci rimanda a una comunità che si disgrega sotto il peso della paura. La fotografia alterna i toni caldi e terrosi tipici del western con luci fredde e artificiali. Ogni inquadratura sembra chiedere: che cosa resta di noi quando la civiltà si spegne?

Il montaggio frammentato, ma con una logica quasi musicale gioca un ruolo decisivo. I silenzi si alternano a improvvise esplosioni di dialoghi, come se il film stesso respirasse a scatti. Si sceglie di lasciare spazio agli attori, infatti molte scene si allungano oltre il necessario, ma proprio questa dilatazione consente alla tensione di crescere in modo sotterraneo.

La bellezza del disordine

Eddington non è un film perfetto: è dispersivo, a tratti incoerente, ma è anche un’opera viva, coraggiosa, che affronta il caos del presente senza cercare risposte facili. Aster firma il suo film più politico, ma anche il più umano: un racconto sulla solitudine collettiva, sulla perdita di fiducia e sulla speranza che, nonostante tutto, continua a pulsare. Alla fine, ciò che resta è un senso di vertigine, ma anche di riconciliazione. È un film che ci costringe a guardare dentro la confusione del nostro tempo, per scoprire che anche lì, tra rabbia e paura, si nasconde ancora un barlume di umanità.

Eddington
Ottimo 8
Voto 8
Condividi l'articolo
Appassionata di film in tutte le sue forme. Perché accontentarsi di vivere una sola vita quando il cinema ti permette di viverne infinite?