Borderlands 4 è il ritorno di una saga che, volenti o nolenti, ha segnato un genere. Dopo anni di silenzio e qualche esperimento secondario non sempre riuscito, Gearbox torna a impugnare il proprio marchio con una sicurezza quasi spavalda, consapevole di quanto l’eredità del suo universo pesi sulle spalle di chi deve espandere un mondo già iconico. Eppure, sin dalle prime ore, il nuovo capitolo lascia intendere che questa volta l’ambizione non si limita al più grande, più esplosivo, più folle: vuole anche essere più maturo, più sfaccettato, più capace di raccontare qualcosa al di là della pura ironia. Ve lo raccontiamo meglio in recensione.
Bentornati nel mondo di Borderlands
La storia ruota intorno all’ascesa della NovaCorp, una corporazione interplanetaria che tenta di impossessarsi di ogni Vault rimasto, e nel farlo tocca corde inaspettatamente umane: l’avidità come religione, il fanatismo come merce. Si sente che lo studio ha voluto costruire una narrativa meno usa e getta, inserendo dialoghi scritti con maggiore cura, cutscene cinematiche e una recitazione che finalmente dà profondità ai protagonisti. Pandora non è più un semplice deserto anarchico, ma il primo tassello di un mosaico più grande: una galassia intera, fatta di pianeti tossici, metropoli decadenti e colonie disperate.
Tutto questo viene accompagnato da una direzione artistica che, pur mantenendo il tratto inconfondibile del cel-shading, riesce a portarlo a una nuova maturità visiva, grazie a un uso intelligente di luci dinamiche e texture più vive, senza tradire la sua identità fumettistica. È la stessa anima di Borderlands, ma resa più viva, più contemporanea, più consapevole.
Mille e uno proiettili
Il cuore del gioco, però, resta quello che tutti conosciamo: sparatorie, build, bottino, cooperazione. Ed è proprio su questo terreno che Borderlands 4 dimostra di essere non solo un sequel, ma un’evoluzione. Le armi non sono più meri strumenti di morte con statistiche casuali, ma oggetti che reagiscono al contesto, cambiano forma, mutano con l’ambiente o con il tipo di nemico affrontato. È una sensazione tattile, fisica, quella che si prova nel combattere: ogni colpo, ogni esplosione, ogni feedback sonoro dà un senso di potenza che pochi sparatutto sanno trasmettere oggi.
La nuova mobilità, fatta di scatti, rampini e jetpack, aggiunge una verticalità che rende gli scontri più dinamici, più spettacolari e meno ancorati alla formula classica del “copriti e spara”. Allo stesso tempo, il sistema di progressione è stato ridefinito con un’attenzione rara: ogni Vault Hunter dispone di alberi di abilità più stratificati, influenzati anche dai pianeti visitati, così da favorire build uniche e non limitate a tre archetipi fissi.
Si avverte un amore sincero per la personalizzazione, per la libertà di costruirsi un’identità ludica coerente. E poi c’è la cooperativa, sempre il cuore pulsante della serie, che qui raggiunge un nuovo livello di integrazione: il bilanciamento del loot, l’intelligenza artificiale dei nemici e la sinergia tra classi rendono le partite a quattro un piccolo caos orchestrato, dove tutto esplode ma nulla è lasciato al caso.
In mezzo a questa frenesia, il gioco trova anche spazio per momenti di esplorazione, per missioni più tranquille e per un’ironia che non si vergogna più di alternarsi a toni più cupi. Non tutto funziona sempre: qualche fetch quest di troppo, qualche boss meno ispirato, un paio di zone che sanno di riempitivo. Ma quando il gioco ingrana, quando il ritmo si fa travolgente, Borderlands 4 diventa puro piacere visivo e sensoriale, una danza di proiettili e follia che ricorda perché questo franchise è diventato culto.
Un’avanzata significativa
Dal punto di vista tecnico, il passo avanti è evidente. Su PC e console di nuova generazione il gioco gira con una fluidità costante, e l’occhio di chi gioca viene catturato da scenari che sembrano usciti da un concept art animato. Le musiche accompagnano perfettamente il tono di ogni sezione: sintetizzatori metallici per le fasi d’azione, melodie quasi malinconiche nelle missioni più narrative, esplosioni sonore calibrate per non coprire mai il ritmo della battaglia. Anche il doppiaggio – inglese o localizzato – mostra una cura eccellente, con performance che riescono a dare credibilità a personaggi tanto caricaturali quanto umani.
È un titolo che non ha paura di essere Borderlands, ma nemmeno di maturare, e questo è forse il suo più grande pregio. Certo, non mancano le sbavature: qualche bug residuo, un paio di caricamenti ancora troppo lunghi, e una certa tendenza al grinding nelle fasi finali. Ma nell’insieme, Borderlands 4 è un trionfo di coerenza e ambizione, un’opera che riesce a essere esattamente ciò che promette: un ritorno in grande stile, ironico ma consapevole, adrenalinico ma mai superficiale.
Dopo tante attese, Gearbox ha finalmente ritrovato la voce che sembrava aver perso: quella di un franchise che sa essere spettacolo senza dimenticare il proprio spirito punk, quella di un gioco che ti fa ridere, ti fa esplodere e, a modo suo, ti fa anche pensare. Non è perfetto, ma è vivo. Ed è probabilmente il miglior Borderlands mai realizzato. Coraggio, solidità e passione. Un nuovo inizio per un vecchio amore.


