Dopo essere stato rinviato di un mese a causa della terribile tragedia di Manchester, finalmente Get Even fa il suo esordio sulle nostre piattaforme, rivelandosi un titolo fuori dal comune e mai scontato. The Farm 51 ha sviluppato il titolo con una concezione alquanto originale, aprendo numerose possibilità di azione al giocatore, ma mantenendo sempre e comunque una linearità dettata dal susseguirsi degli eventi. lo sparatutto in prima persona pubblicato da Bandai Namco, si presenta quindi come una sorta di baluardo contro l’esperienza convenzionale, forgiando una sorta di ibrido. Quali sono i rischi? E quali sono le battaglie vinte dal team nei vari ambiti? Senza indugio, scopriamo insieme Get Even.
Un mare di ricordi
Non per nascondermi dietro ad un dito, o ad un’unghia, ma tutto ciò che leggerete da adesso in avanti vi risulterà forse poco chiaro, vago, o anche estremamente confusionario. Questo perché è esattamente ciò che accadrà al giocatore stesso approcciando al titolo: già partendo dal genere stesso, potremo definire Get Even uno shooter decisamente atipico, con la possibilità di approcciarsi in modo silenzioso e stealth, oppure ad armi spianate (con tutte le difficoltà del caso). Questa però non è nient’altro che la punta dell’iceberg perché, non spoilerando nulla, tutte le funzionalità che l’individuo giocante avrà a disposizione sono innumerevoli e i cambi di ritmo e di marcia metteranno a dura prova le nostre sinapsi. Non vi diremo il perché, ma sappiate che ogni singolo accenno alla trama equivarrebbe ad anticipare troppo. Essa si costruisce intorno al rapimento di una ragazza di nome Grace, figlia di un uomo decisamente importante all’interno dell’industria, ma anche in questo caso ogni parola di più equivarrebbe a spoiler (specialmente perché da ciò dipende il gameplay stesso). In una modalità decisamente “poco convenzionale” ci ritroveremo a vivere una matrioska di ricordi legati a più personaggi, questo per far luce sulla vicenda e sulle motivazioni dell’accaduto. Eppure i ricordi spesso possono essere plasmati di prepotenza, occlusi, nascosti. Saranno davvero attendibili?Ciò che però siamo in dovere di dire riguardo la storia, è che senza dubbio non vi lascerà insoddisfatti: essa è infatti cosparsa di colpi di scena che si susseguono, mischiando spesso le carte in tavola, ma riuscendo a mantenere integro il sottile filo conduttore che li lega. Molti di questi in ogni caso saranno impossibili da prevedere, dove neanche il più concentrato degli Holmes riuscirebbe a cavarne un ragno dal buco prima della rivelazione. Questo senso di curiosità e inadeguatezza è fortemente legato al gameplay, che ci vedrà (anche se in modo limitato) anche esplorare gli environments proposti, venendo in possesso di tutti gli indizi possibili per far luce sul corso degli eventi. Così tanta confusione però è convogliata in un unico “tunnel”, un corridoio che farà della linearità il suo Virgilio (e non permettendo come già detto la libera esplorazione). Queste fasi di claustrofobica linearità si esprime maggiormente nelle fasi che fungono da intermezzo e da catalizzatore del titolo, alternando momenti di pausa e di pura angoscia. Ricordate, tutto ciò che farete, avrà delle conseguenze.Get Even è un titolo dotato di un incredibile carisma, che si traduce non solo in una sceneggiatura davvero buona, ma anche in delle interpretazioni ottime dei vocal actors (il titolo presenta l’audio in lingua inglese, ma sottotitolato in italiano). Eppure c’è quel qualcosa che manca, quella ciliegina che renderebbe la torta ancora più buona: chiudendo il cerchio aperto a inizio paragrafo, sarete rapiti quasi inconsciamente dalla confusione, ben più di quanto molti altri titoli siano mai riusciti a fare, guadagnando in stimoli, ma perdendo in effettivo appagamento. La scelta del team è infatti quella di non rivelare assolutamente nulla al giocatore prima della fine del gioco, e fino ad allora non riusciremo nemmeno ad avere certezze su quello che effettivamente abbiamo vissuto. L’avvertenza più grande che mi sento di dare è che se vi sentite poco appagati dal titolo nelle prime 2 ore di gioco, non avete ancora visto nulla.
Memorie instabili
Lì dove il comparto narrativo di Get Even è affascinante, la realizzazione tecnica in molti frangenti si trova a zoppicare. Al di là degli enigmi da risolvere, non moltissimi, ma che spesso sembrano inseriti fuori contesto, Get Even basa tutto sul “procedere” e sul sangue freddo del giocatore. Concentrandosi su questo, molti fattori si sono tradotti in vere e proprie leggerezze, come bilanciamenti vari non equalizzati al meglio, o veri e propri bug sparsi per le mappe (quello più frequente è il blocco totale del personaggio, che si incastra accanto ad un oggetto non riuscendo più a camminare). Anche se non a livelli altissimi, l’Unreal Engine 3 svolge bene il suo lavoro, sacrificando la qualità dei dettagli in favore della fluidità delle azioni di gioco e non solo. La fatica vera e propria del motore si manifesta solamente in alcune occasioni legate ai caricamenti. Come anticipato, anche la qualità del comparto sonoro risulta tra le più gradite sorprese di Get Even, ma non solo grazie al decantato doppiaggio: sappiate che tutto ciò che vi circonderà in game sarà atto a creare una certa “atmosfera”, qualunque sia il posto che i ricordi vi faranno visitare, e l’accompagnamento con voci, rumori, ed effetti, faranno passare in secondo piano il solo sufficiente rumore delle pallottole (che vi consiglio di sfruttare il meno possibile). La colonna sonora è anch’essa una splendida sorpresa, con tracce consone senza esagerare nell’estro. Solo in un unico ricordo di gioco, solo uno, la traccia utilizzata sarà totalmente fuori da ogni concetto logico (ed è doveroso farlo presente). Ve ne accorgerete.
Il Vaso di Pandora
Una volta terminato il gioco, è arrivato il momento delle conclusioni. Al di là dalla buona qualità del titolo, è impossibile non chiedersi come mai non sia stata più implementata la componente VR. La periferica che in game ci permetterà di rivivere i ricordi si chiama PandoraSavant, un headset che ricorda moltissimo i visori di realtà virtuale. Alla luce di ciò, analizzando il gameplay del titolo e le proprie meccaniche, si capisce chiaramente che originariamente lo studio stava pensando ad un titolo per le periferiche VR. Il peccato più grande è che se il titolo avesse terminato lo sviluppo con tale modalità, sarebbe stato uno dei migliori giochi dedicati a questo tipo di periferiche che fin ora hanno visto la luce: questo non solo per la corposa longevità, ma anche per l’immersione stessa e per le feature inserite. Non è escluso che ciò possa accadere in futuro, ma per il momento ci è sembrato di aver sfruttato questo titolo solo a metà, un titolo mutilato della sua vera essenza.