Una ragazza erede di una famiglia di ammazza-demoni. Un’isola separata dal resto del mondo da cause poco chiare. Un college dove si insegna a combattere creature non umane. Un gruppo di ragazzi che si mette in cerca di artefatti magici e di portali dimensionali per impedire la fine del mondo. Unite questi scampoli di narrativa a gustose citazioni horror e un’estetica pixel art che non rinuncia a particolari splatter, e condite il tutto con parentesi demenziali da manga per adolescenti. il risultato è Demonschool, opera quinta del piccolo team indipendente Necrosoft, che arriva a 3 anni dal loro precedente lavoro, l’arcade sci-fi Hyper Gunsport.
Questa volta lo studio basato in Oakland ha alzato il tiro, prelevando l’impianto RPG di una delle serie più in auge degli ultimi anni, ovvero Persona di Atlus, e modellandone una versione per così dire semplificata, adatta a chi predilige un approccio più casual rispetto ai classici JRPG da decine e decine di ore, senza per questo rinunciare ad un sistema di combattimento tattico appagante. Un approccio che ha portato con sé tanti aspetti positivi ma anche alcuni limiti, che finiscono col rendere incerto il target audience del titolo. Ma andiamo con ordine.

Horror sì, ma col sorriso
A Faye l’idea che i demoni invadano il mondo non sembra certo assurda, anzi: la protagonista del gioco è l’erede di una casata di ammazza-demoni, che le hanno trasmesso varie conoscenze sull’argomento. Con la spericolatezza che contraddistingue l’adolescenza, la ragazza non vede l’ora di solcare le orme dei suoi antenati e dare il meglio di sé in quello che si preannuncia un compito tutt’altro che semplice. Sul battello in rotta per una misteriosa isola sulla quale sorge un altrettanto misterioso liceo, Faye fa amicizia con la timida Namako, che coinvolgerà suo malgrado nella sua battaglia contro le mostruosità extra-dimensionali. Al duo si aggiungeranno ben preso altri comprimari, ma il compito si rivelerà tutt’altro che semplice da portare a termine: con sole poche settimane di tempo per chiudere i varchi dimensionali nascosti nell’isola, Faye e i suoi amici dovranno fare l’impossibile per evitare che i demoni invadano il mondo.
Le produzioni indie, che non dispongono di ampi budget da dedicare al comparto grafico e tecnico, devono spesso giocarsi le proprie carte migliori sui versanti della narrativa a dell’originalità del gameplay. Demonschool non fa eccezione, e impiega le sue limitate risorse a mettere in scena un nutrito cast di personaggi giocabili, ciascuno dotato di una sua personalità (e di una propria vocazione di combattimento), affidando ai dialoghi fra di essi e i comprimari il compito i tessere i fili di una trama semplice ma non per questo poco coinvolgente. La scrittura adotta un linguaggio immediato, spontaneo, divertente e semi-adolescenziale, senza per questo risultare semplicistico o ingenuo, riuscendo con poche accortezze stilistiche a evidenziare carattere e indole sia della squadra giocabile sia dei principali NPC.
Se è vero che la trama non è nulla di speciale rispetto ai grandi RPG che hanno fatto la storia del genere, il tono semiserio e il citazionismo di genere contribuiscono a rendere la narrativa molto piacevole, con citazioni dirette a classici del cinema dell’orrore (si inizia con la VHS che uccide chi la guarda e si continua con rituali per trasformare la gente in zombi e altre amenità). L’umorismo che permea la maggior parte dei dialoghi e le attività secondarie che spesso ci troveremo a compiere, d’altro canto, neutralizzano qualsiasi pretesa di seriosità, e fanno sì di strappare un sorriso anche di fronte ai particolari più splatter. C’è insomma un gusto da B-movie che va a sorreggere l’impianto sia narrativo che estetico, tale per cui la deliziosa grafica in pixel art rende una gioia per gli occhi financo il dettaglio più gore.
Siccome non stiamo parliamo di una visual novel, bisogna però valutare quanto il gameplay effettivo sia complementare a queste premesse positive. E qui Demonschool mostra un po’ il fianco, dando l’impressione che la volontà di semplificare formule rodate inserendovi solo qualche piccolo elemento di novità abbia finito per sacrificare fin troppo le meccaniche di gioco, col rischio di scivolare rapidamente in una eccessiva ripetitività. Vediamo perché.
Gameplay ridotto all’osso
Demonschool è un gioco schizofrenico in quanto a meccaniche: se lo consideriamo un RPG (come lo hanno etichettato gli sviluppatori) dovremmo dire che è scarno come pochi altri esponenti del genere. L’esplorazione è minima poiché si alternano tante minuscole location a schermata fissa che percorreremo più e più volte; le arene di combattimento sono tutte simili tra loro, il loot lasciato dai nemici si riduce a una valuta che potremo scambiare con un unico negozio in cambio di abilità o elementi estetici per il nostro campo base, e le attività secondarie si riducono a una manciata di minigiochi che si ripetono sempre uguali, utili a sbloccare alcune scenette extra e ottenere piccole ricompense. Ma sarebbe riduttivo e ingiusto riassumere il gameplay del gioco in modo così perentorio.

In verità Necrosoft ha lavorato con arguzia nel tentativo di prendere a modello l’impianto di gioco della serie Persona (non di Megaten) spogliandolo degli orpelli più prolissi e delle meccaniche più complesse, per distillarne una versione “light” che si presta ad un approccio più casual. La similitudine più evidente con la serie Atlus si ha nell’alternanza tra l’elemento slice-of-life e il combattimento: nel primo si coltivano le relazioni con i compagni di squadra, impegnandosi in attività che aumentano il feeling reciproco (ad esempio cantare assieme al karaoke o cucinare per loro) approfondendo le narrative individuali e andando ad influenzare alcuni aspetti del finale del gioco. Potremo anche impiegare parte del nostro tempo assegnando alcuni membri del team allo studio di abilità di combattimento aggiuntive, da equipaggiare fuori dalla battaglia. Infine permane l’ambientazione scolastica, con la presenza di un calendario consultabile in qualsiasi momento che ci ricorda le scadenze cui ottemperare di settimana in settimana.
Tuttavia si tratta di scadenze fittizie: non c’ è davvero modo di fallire un compito, dato che la trama principale segue binari prefissati e inalterabili. Al massimo si può rinunciare al completamento di quest secondarie, alcune delle quali non saranno più affrontabili dopo lo scorrere di un certo periodo di tempo. Se tali compiti riservassero premi unici o rari, il problema della scelta di quali attività compiere in quali momenti sarebbe si porrebbe effettivamente: ma così non è, poiché non c’è davvero nulla di perdibile e irripetibile al di fuori della trama principale. Considerate ad esempio il fatto che non esiste alcun equipaggiamento indossabile, offensivo o difensivo. Nessun “segreto” come viene inteso nel videogioco di ruolo, ovvero un segmento narrativo o di gameplay nascosto che ricompensi il giocatore in modo particolare (o almeno io non ne ho trovati). Insomma gli stimoli ad esplorare tutto l’esplorabile (complice le dimensioni ridotte del mondo, come già detto) tendono a scemare dopo una decina di ore di gioco.

Meglio il fronte combattimento, che presenta arene suddivise in celle quadrate in cui muovere a turni i nostri personaggi (non più di 4 per battaglia). Lo scopo è uccidere il numero di demoni prefissato e sigillare l’arena, ovvero giungere al lato opposto rispetto a quello in cui iniziamo per chiudere il portale dimensionale. Allo stesso tempo, dovremo anche assicurarci che i mostri non raggiungano il nostro lato del campo di battaglia, dove potrebbero aprire un varco per il nostro mondo portando al game over. Il combattimento prevede una fase di preparazione in cui possiamo muovere a piacere i personaggi, attaccare e usare abilità, ma anche cancellare le mosse e reimpostarle all’infinito, finché non siamo soddisfatti. Una volta avviata l’azione, sarà risolto prima il nostro turno e poi quello dei nemici. Ciò facilità un approccio strategico che ci consente di prenderci tutto il tempo necessario per valutare le mosse migliori.
Ciascun personaggio ha la sua prerogativa, che corrisponde vagamente ai ruoli tipici degli RPG (attaccante melee, guaritore, supporter…) ma con alcune peculiarità. Namako, ad esempio, non può danneggiare direttamente i nemici, ma stunnarli rendendoli vulnerabili ai colpi degli altri personaggi. Inoltre chiudere i nemici a tenaglia raddoppia i danni contro di essi, ci sono abilità che consentono di lanciare i nostri compagni addosso ai mostri per attaccare a grandi distanze, e così via. L’elenco è lungo e stimola sia lo studio che l’improvvisazione, risultando da subito un sistema facile da comprendere e appagante da sperimentare. Inoltre il gioco brilla particolarmente nel frangente delle bossfight, ciascuna dotata di una propria personalità estetica e di una peculiarità di gameplay, che le rende una boccata d’aria fresca rispetto ai combattimenti normali e in alcuni casi vi farà spremere le meningi nel cercare il modo migliore e più rapido per sconfiggere l’aberrazione di turno.

La velocità in termini di numeri di turni necessari a vincere la battaglia, è un fattore di calcolo per l’attribuzione del punteggio complessivo (C, B, A), così come l’eventuale K.O. di un membro del party. A seconda della valutazione riceveremo più o meno valuta da scambiare al negozio delle abilità, quindi ottenere buone valutazioni è vitale per ampliare il ventaglio di manovre a nostra disposizione. Sebbene per finire il gioco non serva sbloccare proprio tutto, chi vuol cimentarsi nell’ottenere il rango massimo in ogni battaglia dovrà rimboccarsi le maniche e prepararsi ad affrontare sfide tutt’altro che semplici, in cui ogni singola mossa potrà fare la differenza.
Il lato negativo è l’estrema ripetitività dei combattimenti, cui sarete sottoposti ogni pochi minuti di gioco e che vi accompagneranno per ore, fino a che non ne potrete più. Malgrado gli sforzi in termini di tipologie di nemici, le novità inizieranno a mancare dopo qualche ora, e le arene di gioco raramente offrono spunti originali: tutt’al più compare ogni tanto qualche ostacolo esplosivo, o da spingere per bloccare la strada ai demoni. In situazioni molto affollate, poi, la telecamera isometrica fissa finisce per essere un ostacolo alla visibilità generale; sarebbe stato meglio implementare la possibilità di ruotarla, invece vi toccherà aguzzare la vista e a volte andare a memoria, col rischio di beccarvi degli attacchi da parte di mostri in agguato dietro a ostacoli che li occultano alla vista.
