Agli amanti del genere horror il nome di Mike Flanagan risulterà sicuramente familiare: autore di una filmografia spicciola di titoli molto apprezzati da pubblico e critica, un regista con una rara maestria nell’uso dei leivmotiv del cinema dell’orrore e thriller, arricchito da personaggi e situazioni fresche e complesse. Il passaggio al format seriale è altrettanto felice, se non di più. Il regista americano porta sul piccolo schermo tutti gli elementi sopracitati e un ventaglio di collaboratori fidati per realizzare nel 2018 una serie Netflix già diventata di culto, un riadattamento in dieci episodi del libro di Shirley Jackson, divenuto nel 1963 una pietra miliare del cinema dell’orrore (ometto con serenità il remake pop del 1999 con Liam Neeson e Catherine Zeta-Jones), con grande successo di pubblico e critica. Sempre per Netflix, Flanagan porta nuovamente un libero adattamento di un altro classico del cinema e seguito stand-alone di Hill House, The Haunting of Bly Manor, stavolta tratto dal racconto dell’orrore di Henry James, Il Giro di Vite (The Turn of the Screw, 1898), anch’esso già adattato per il grande schermo in un capolavoro del thriller psicologico Suspense (in lingua originale The Innocents) del 1961, di cui anche stavolta ometterò l’esistenza del remake del 2020.
La casa in riva al lago
L’anno che corre è il 1987. Nell’Inghilterra dell’amministrazione Thatcher, del trionfo del capitalismo e dello yuppismo, Dani (Victoria Pedretti) è una giovane maestra americana in fuga dai fantasmi di un doloroso passato, incaricata dal ricchissimo e sfuggente avvocato Henry Wilgrave (Henry Thomas) di ricoprire il ruolo di au pair presso l’antica residenza di famiglia, Bly Manor nell’Essex. Compito della ragazza sarà prendersi cura dei due giovani nipoti dell’uomo, il tormentato Miles e la sensibilissima Flora, rimasti orfani di entrambi i genitori dopo un tragico incidente in India.
L’enorme e antica villa di gusto elisabettiano è già dimora di altri servitori della famiglia Wilgrave: la paziente ed empatica governante Hannah (T’Nia Miller), il giovane e ambizioso cuoco Owen (Rahul Kohli) e la ribelle e anticonformista giardiniera Jamie (Amelia Eve). A insaputa di Dani, però, il ruolo di au pair era precedentemente ricoperto da un’altra ragazza, Rebecca, morta suicida dopo essere stata abbandonata e truffata dal precedente assistente di Henry, Peter (Oliver Jackson-Cohen), apparentemente fuggito con una grossa somma di denaro e di cui nessuno sa più nulla. Ben presto, misteriosi avvenimenti e apparizioni tormenteranno Dani, mentre i bambini sembrano nascondere più di un inquietante segreto.
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Ampie aspettative accompagnavano l’uscita di questo seguito dell’apprezzatissimo Hill House, forse troppo alte per godere a pieno di una ghost story come questa, fermo considerato che The Haunting of Bly Manor non è un seguito vero e proprio della serie del 2018, quanto un progetto sulla stessa lunghezza d’onda del suo predecessore: un adattamento di un classico del romanzo gotico americano, già adattato per il grande schermo e già opera di riferimento per molti amanti del genere.
Certo, Flanagan è abbastanza intelligente da capire che se una formula funziona non vale la pena di cambiarla completamente, ma decide comunque di correre dei rischi creativi, cominciando ovviamente dal trasportare la vicenda del libro dal XIX secolo alla fine degli anni ’80 (operazione già fatta con successo per Hill House). Il sottotesto della novella e del film (la repressione sessuale della protagonista che si trasforma in mania di persecuzione sovrannaturale) viene poi ricalcolato in un’ottica di espressione omosessuale tanto di voga di questi tempi. Un peccato, visto che tale elemento avevo fatto la fortuna critica del racconto originale di Henry James, così sapientemente rappresentato poi nell’adattamento cinematografico di Jack Clayton firmato niente poco di meno che da Truman Capote.
Però, lo sforzo di Flanagan (non da poco) è stato di rimodellare un thriller psicologico in una storia di fantasmi vera e propria, unendo il suo stile personale a un’atmosfera a tratti hitchcockiana, il gotico allo psichedelico, il fantasmagorico al fantasmatico. Una scelta che rischia di non rispettare le aspettative di molti e di mettere a dura prova i fan di Hill House, già pronti a guardare con grande attenzione a questo “seguito” stand-alone. E infatti Bly Manor è una serie ad ampissimo respiro, dove l’azione si dipana lentissimamente e gli spaventi veri e propri sono molto pochi nei ben nove episodi da quasi un’ora che compongono la serie, risultando a tratti provante per chi è in cerca di emozioni forti sin da subito.
A guadagnarci, però, è l’apparato umano e sentimentale della serie, con il suo eccellente character development e la sua attenzione al dipartimento psicologico (e a tratti psicanalitico) dei personaggi, che risulta così particolarmente sincero pure per gli standard di un genere forse più sentimentale di questo. Flanagan esaurisce con questa Bly Manor tutto il potenziale romantico nascosto dietro il topos della storia di fantasmi, rimettendoci nel dipartimento del cinema di paura, ma guadagnandoci nel rispetto di un film romantico dai toni neogotici e fantasmagorici.