Continua finalmente la serie di avventure targate Supermassive Games, che dopo l’apprezzatissimo Until Dawn nel 2015 (un vero e proprio salto di qualità per lo studio inglese) ha portato i propri lavori a degli standard davvero ottimi, fino ad arrivare all’ingegnosa idea di creare una serie antologica di piccole avventure dello stesso genere. Si tratta della Dark Pictures Anthology, che poco più di un anno fa faceva la sua entrata nel panorama videoludico con Man of Medan. Per chi non la conoscesse, si tratta di una serie di avventure grafiche che si avvalgono del sistema simil film interattivo, dove ogni scelta comporterà delle conseguenze – buone o brutte che siano – nella storia dei protagonisti, insomma il classico “effetto farfalla”. La peculiarità di tali videogiochi, oltre ai temi e alle tinte spiccatamente horror che sono marchio di fabbrica dello studio, sta nel fatto che sono ispirati da fatti, storie e leggende del mondo reale, e sono dei titoli completamente slegati tra loro. Bandai Namco Entertainment ha creduto fin da subito nel progetto, e nonostante una mezza “falsa partenza” a causa dei problemi tecnici di cui ha sofferto Man of Medan al lancio, la risposta del pubblico è stata più che soddisfacente, soprattutto grazie ai diversi modi in cui si può approcciare il gioco anche in compagnia. The Dark Pictures Anthology: Little Hope prende quanto di buono fatto con le meccaniche di gioco già rodate negli ultimi anni, e non cambia quasi nulla in tal senso. Tuttavia sono molti i punti da analizzare e che felicemente fanno segnare a questo nuovo gioco uno standard qualitativo davvero convincente.
Little Hope si avvale di un’autenticità storica da non sottovalutare
Little Hope: Lasciate ogni speranza
Come già detto, tutti i titoli che fanno (e faranno) parte della Dark Pictures Anthology sono ispirati da fatti o leggende metropolitane. Chiaramente anche Little Hope, e al contrario di Man of Medan andiamo a calcare un terreno già ben noto, una parte del folklore made in USA che più di una volta è stato sfruttato per opere di vario genere, dai libri, al cinema, ai videogiochi e tanto altro ancora: come già saprete, si tratta della caccia alle streghe. La città più famosa in cui tali processi ed esecuzioni venivano svolti era Salem, tuttavia non si trattava dell’unica. Little Hope infatti si avvale di molti richiami e nomi ispirati ai fatti di Andover, Massachusetts, che vide diverse condanne per stregoneria. La stessa Little Hope si riferisce a una particolare area della cittadina, avvalendosi di un’autenticità storica da non sottovalutare. Hanno infatti collaborato al gioco non solo un disegnatore di costumi direttamente dal mondo del cinema, ma anche attori in grado di riprodurre l’accento e le espressioni del 1692. Decisamente delle scelte importanti, che unite alle profonde ricerche fatte sul periodo del 17mo secolo garantiscono un’immersione degna di nota.
Un’immane tragedia
Tranquilli, non ci riferiamo al gioco, perché togliendo le castagne dal fuoco The Dark Pictures Anthology: Little Hope è davvero un bel titolo, che è riuscito neanche troppo timidamente a surclassare il fratello più anziano Man of Medan. Questo sia prendendo in considerazione una narrazione più intrigante (e capace anche di sorprenderci con un paio di plot twist ben assestati), sia che si vada ad analizzare il comparto tecnico o alcune scelte di gameplay.
Non c’è mai una scelta giusta o sbagliata, ma solo conseguenze
Di cosa parliamo quindi? Di un evento non troppo felice, senza dubbio, che farà da prologo alla poco piacevole avventura dei nostri 5 protagonisti. Nonostante si tratti di una scena atta a “dare il là” alla storia, prima di prendere il comando degli studenti e il loro professore, sappiate che ci sono alcune scelte che avranno delle conseguenze davvero importanti nel proseguo e nel possibile finale. Una delle caratteristiche più apprezzabili di quest’opera è infatti la sua spiccata variabilità, dove non prendiamo in considerazione solamente l’effetto immediato delle scelte fatte, ma anche le loro ripercussioni su personalità dei personaggi e dei loro rapporti… scelte che sembrano da nulla, ma che si riveleranno talmente importanti da influire sul finale stesso. Agirete con la testa o con il cuore? A voi la bussola morale, perché non c’è mai una scelta giusta o sbagliata, ma solo conseguenze.
Tra gli interpreti spicca chiaramente Will Poulter, il giovane attore che in Little Hope impersona Andrew e che abbiamo visto all’opera non molto tempo fa anche nel film interattivo di Netflix, Black Mirror: Bandersnatch. All’interno del titolo, tra i contenuti speciali, è anche presente un’intervista fatta all’attore. L’intero gioco è completamente doppiato in italiano, così come è presente la traduzione di tutti i menù e di tutti i testi nella nostra lingua. La voce di Andrew nella nostra lingua è nientemeno che quella di Renato Novara, un professionista perfetto per lo scopo. Nella somma l’interpretazione dei protagonisti, virtuali e vocali, è risultata molto buona, anche se in un paio di casi – forse per la mancanza di immagini in sala doppiaggio – l’intenzione è sembrata di poco “incongruente” alla scena.
Oggetti e documenti sono indispensabili per entrare nel mood
Da solo…
Come anticipato in apertura, sarà possibile affrontare il terrore offerto da Little Hope totalmente in solitaria, oppure in compagnia di uno o più amici. L’esperienza fatta in solitaria risulta decisamente standard e permette di far concentrare il giocatore sulle proprie scelte, sull’interpretazione, e sugli indizi che può trovare per capire come sarà meglio agire. Nelle 6 ore abbondanti di gioco sarà essenziale analizzare tutto ciò che abbiamo a disposizione, ma soprattutto accertarci che anche i personaggi stessi riescano a sopravvivere. Per tutta la durata dell’avventura, dovremo tenere conto anche del rapporto che ognuno avrà con gli altri, e ancora più che in Man of Medan acquisteranno un ruolo fondamentale i Tratti delle loro personalità. Proprio per la loro importanza e per i vari risvolti su cui questi influiranno, non entreremo nei dettagli, evitando possibili spoiler.
Torna chiaramente anche la feature dedicata alle “immagini” di un possibile futuro, che in Little Hope sono sotto forma di cartoline: grazie a queste – come accade fin da Until Dawn -, vedremo dei brevi filmati su ciò che potrebbe accadere, che sia un avvenimento positivo o dannatamente negativo, dei piccoli tips che potrebbero risultare incredibilmente utili (e tra cui è compreso anche quello riguardante l’anticipazione sul prossimo gioco dell’antologia). Per tutta la durata dell’avventura, come ormai sarà prassi per ogni titolo della Dark Pictures Anthology, saremo guidati dalla figura del Curatore, un Virgilio che oltre a spiegarci come giocare nelle fasi iniziali, sarà sempre presente per commentare gli avvenimenti, ma anche per lasciarci qualche perla di saggezza che potrebbe essere particolarmente utile (a nostra discrezione).
…O in compagnia
La Storia Condivisa online regala qualcosa in più, in tutti i sensi
La musica cambia, e in meglio, se giocherete con degli amici (e non a caso nella lista delle modalità, il “non giocare da solo” è la prima in ordine). Giocare in compagnia sarà possibile in due differenti modi e la cosa davvero gradita è che si tratta di due esperienze molto diverse tra loro. La prima è “Serata al Cinema”, praticamente un couch multiplayer dedicato a giocatori che vanno da 2 a 5: in questa modalità i giocatori vivranno l’intera esperienza capitolo dopo capitolo passandosi il pad, dopo aver scelto all’inizio del gioco quali personaggi ogni giocatore controllerà. Questa modalità non ha subito troppe variazioni rispetto a Man of Medan, se non una quantità minore di intermezzi tra un atto e l’altro. Alla fine di ogni atto, a ogni giocatore sarà assegnata una sorta di valutazione, che descrive l’approccio e le qualità che hanno contraddistinto la sua “performance”. In termini narrativi e di scena, questa modalità non aggiunge nulla rispetto a quella in giocatore singolo.
La vera grande evoluzione nel multiplayer, però, arriva grazie alla “Storia Condivisa” online. Questa era presente anche in Man of Medan, e permetteva a due giocatori di vivere scene separate in sincro (quelle che si svolgevano appunto nello stesso arco temporale). Tuttavia queste scene erano le stesse che, giocando in singolo, avremmo giocato comunque prima o dopo. In The Dark Pictures Anthology: Little Hope la Storia Condivisa ha subito un cambiamento gigantesco: una sterzata incredibilmente positiva che non solo ci farà condividere la storia con un amico a distanza, ma va ad aggiungere delle scene giocabili praticamente inedite che non sono presenti nella modalità in solo! Questo comprende di conseguenza anche dialoghi inediti, nuove scelte e nuovi risvolti. Per un’esperienza completa, e per scoprire “cosa sta succedendo dall’altra parte”, è quindi necessario giocare anche questa modalità.
Non più in alto mare
Nonostante abbia mantenuto un equilibrio tra gioie e dolori, Man of Medan usciva con le ossa rotte dal confronto con gli altri lavori dello studio, soprattutto per i bug presenti anche dopo il day one e per delle meccaniche che rallentavano non poco l’esperienza. Little Hope è stato la prova del nove, l’esame per lo studio inglese dove dimostrare che i feedback del pubblico fossero stati ascoltati, e che dal “test” del gioco precedente si fosse imparato molto. Sul piano tecnico quindi ci troviamo di fronte a un buon lavoro (nonostante siano presenti dei piccoli problemi di pop up o di lip sync che saranno risolti già al day one con una patch), con dei dettagli grafici più che interessanti, un gioco di telecamere immersivo che si adatta ad altezze e ambientazione, animazioni più fluide specialmente nel camminare, e cali di frame decisamente rari. Ma i passi in avanti più importanti sono stati mossi verso ciò che riguarda il gameplay stesso: ad esempio, le finestre di scelta durante i dialoghi sono state leggermente aumentate, ora in grado di donarci respiro e di scegliere attentamente cosa rispondere (come già detto anche le singole scelte sui dialoghi possono avere grandi conseguenze) o ancora, i Quick Time Event che potendo essere anche singoli, ci vedono avvertiti da un “bollino” che indica il tipo di azione che andremo a compiere, il tutto affiancato da una maggior precisione e responsività (vera croce del primo periodo di vita di Man of Medan).
Grandi passi in avanti in tutti i sensi, dal comparto tecnico al gameplay
Tutto in una notte
Come ogni titolo horror che si rispetti, Little Hope fa dell’oscurità una delle sue carte vincenti. L’intero gioco si svolge nell’omonima città fantasma, piena di storia e allo stesso tempo di insidie, in un’atmosfera tutt’altro che rassicurante. La nebbia, i colori freddi e spenti, ma anche lo sporco e le fonti di illuminazione improvvisate, creano un quadro davvero suggestionante… anche se non a livelli estremi. Quest’avventura infatti riesce ad inquietare parecchio, soprattutto grazie alla suddetta atmosfera e al tema trattato, ma non riesce a fare lo scalino decisivo per arrivare al terrore vero e proprio. Certo, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un passo in avanti rispetto al predecessore, che fallì disastrosamente questa missione.
Il lavoro più importante e riuscito tuttavia risiede nell’accuratezza storica e nella ricostruzione di tutto ciò che riguarda il diciassettesimo secolo, con cambiamenti cromatici (e non solo quelli) a scandire le fasi. Il marchio di fabbrica di Supermassive Games torna sempreverde, ovvero i jumpscare, sempre presenti ma mai troppo fuori luogo: non si tenta di “forzare” la paura inserendoli lì dove sarebbero stati inutili, ma sono studiati e coerenti con le scene (certo, a parte un paio di casi dove sono stati volutamente inseriti per “divertirsi” col giocatore). L’immersione nel gioco comunque sarà importantissima, e ribadiamo di nuovo l’importanza dei vari oggetti e documenti che troverete, perché saranno indispensabili per entrare nel mood dei fatti raccontati (presenti e passati).
Nonostante si tratti di un gioco di media lunghezza, la grande varietà di scelte e di approcci che si possono attuare in gioco ampliano, come spesso accade, la longevità di molto, con anche il piccolo plus delle modalità dedicate a più giocatori (e ricordiamolo, a un prezzo più che accettabile). Di certo un secondo titolo molto apprezzabile per la Dark Pictures Anthology, e speriamo possa trattarsi del primo step per una scalata niente male. Ma dove andremo a finire col prossimo titolo?
Alla prossima! Magari nel sud del pacifico, o nel deserto arabo, oppure in un altro luogo… ma ci rivedremo ancora, almeno un’altra volta.
Il Curatore