Russell Crowe ci racconta una storia particolare, fatta di amicizia, amore e rispetto non soltanto per i valori descritti, ma per la vita in generale. Poker Face, nonostante i difetti oggettivi del film che come sappiamo ha avuto una gestazione particolare, stroncata dalla pandemia del 2020, riesce a coinvolgere ed emozionare lo spettatore che potrebbe essere tratto in inganno dal nome del film, bollandolo come una storia di gioco e nulla oltre, mentre invece chi lo vedrà scoprirà una storia a tinte forti ed impressionistiche, come un quadro di Paul Cézanne.
La vita si gioca in un colpo…
Jake Foley (Russell Crowe) è un ragazzino che si diletta a giocare a poker con gli amici di sempre, che sono Michael (Liam Hemsworth), Andrew Johnson (RZA), Paul (Steve Bastoni) e Sam Levine (Daniel MacPherson). Crescendo arrivano gli anni ’90 e l’avvento di internet permise a quei ragazzi scapestrati di diventare degli “dei del poker” programmando dapprima siti per gioco, poi in seguito trasformando il proprio algoritmo in un programma implacabile, capace di calcolare le prossime mosse non solo delle persone ma anche degli eventuali Stati del mondo: ne consegue che Jake divenne un uomo potentissimo, ricco oltre ogni immaginazione mentre alcuni dei suoi amici gli sono rimasti accanto, altri hanno preso strade diverse.
Jake si ritrova alla soglia dei suoi 57 anni con un cancro al pancreas inoperabile e deve fare i conti con la sua mortalità, ma prima di lasciare le proprie spoglie in questo regno mortale, di cui è un padrone assoluto, decide di riunire la vecchia banda e di giocare “a carte scoperte”: il suo piano prevede una partita a poker, Texas’ Hold’em chi vince prende tutto, ma tra alcol, signari e un veleno che scioglie la lingua, lo scopo del Signore del Poker è quello di rivelare la verità ai propri amici ed avere in cambio la verità che merita (o che già conosce…). Inizialmente, come detto nella prefazione, il film può trarre in inganno, facendoci immaginare che si tratti della solita storia sul poker e delle mani impossibili dove un personaggio farà punteggi improbabili seguiti da colpi di scena dannatamente fittizi (se avete in mente 007 Casinò Royale avete capito il tipo di gioco becero e improponibile frutto solo ed esclusivamente del cinema). In Poker Face di Russell Crowe il gioco è delle parti, dei visi e di ciò che un sorriso nasconde.
…Il resto è attesa
Chi vi scrive ha calcato i tavoli verdi per una considerevole parte della propria vita: il poker è una parafrasi esatta della vita umana, fatta di scelte giuste e sbagliate, di schemi da applicare e di azioni che intraprendiamo per noi stessi che però indiscriminatamente colpiscono chi ci sta intorno, che lo vogliamo o meno (Newton descrive questo evento in una delle sue Leggi). Il tavolo verde, che si riflette nelle immagini del mare dell’Australia, ricco di riflessi verdi, che poi ritroviamo nel verde degli occhi di Jake (prestatigli da uno straordinario Russell Crowe) e che infine viene ripreso dal verde delle banconote da $100 dollari australiane è una costante del film, un colore che accomuna in qualche modo tutti, qui troviamo un’altra allegoria alla vita.
Poker Face ci costringe a riflettere sul controllo che abbiamo della nostra vita, delle nostre scelte e, come avviene quando siamo in balia di quel mare verde, di quel tavolo verde, o schiavi di quel verde danaro che ci passa tra le mani, in realtà abbiamo l’illusione del controllo e tutti giocano con “le carte che gli sono state servite”, mentendo quando non ci piacciono e sentendoci campioni quando risultano vincenti, ma mentre giochiamo, navighiamo o paghiamo un conto, ci sfugge l’ineluttabilità degli eventi, ossia che prima o poi la partita finirà, l’onda giungerà alla riva, salderemo l’ultimo conto e l’ultima lacrima scenderà dall’argine di quegli occhi, ci addormenteremo e di noi nulla sarà più.
Resteranno le nostre scelte, giuste o sbagliate non sarà più un nostro problema. Resteranno gli amici e le tracce che abbiamo, volenti o nolenti, lasciato dentro di loro. Resteranno gli amori ai quali, pur non volendo, abbiamo torto qualcosa e sarebbe bene poter chiedere scusa prima della fine. È così che Jake ha passato i suoi ultimi mesi: ricco, potente e malato, ma non tanto per la malattia che lo tiene in scacco, quanto sofferente per il proprio lascito, per come farà sentire i propri cari e la propria famiglia nel frastuono di un silenzio che si porterà dietro.
Umanamente straordinario
Poker Face è una mattina di pallida primavera ancora attaccata al gelo dell’inverno, è un momento di riflessione nel quale il dealer (colui che dà le carte al tavolo del poker) stende tutto il mazzo davanti a te, e quelle carte sono la tua vita, fatte non solo di numeri ma di figure (i tuoi amici “J”), amanti (le Regine “Q”) e di persone che ti sono state accanto più degli altri (i Re “K”) ed infine ci sei Tu, l’Asso che domina la partita, ma che non comprende quanto in realtà a dominare il gioco della vita talvolta sia il gioco stesso.
Poker Face è un film crudo, non certo esente da difetti ma carico di messaggi, allegorie spirituali e pennellate di colori, suoni ed emozioni, proprio come quel quadro di cui parlavamo qualche riga fa, impressionistico come Cézanne, Monet o Manet che catturano colpo su colpo un’effimera immagine di ciò che vedono e ne fanno poesia.
Poker Face ha tanto da dire e, sebbene ci siano delle sbavature proprio come nei quadri degli artisti che abbiamo citato, lo spazio interpolato dagli errori rende forse ancora più vivido quanto c’è di buono. Un plauso netto va fatto all’interpretazione vibrante e talvolta sfrontata di Russell Crowe, indubbiamente arricchita e completata dalla più calda e penetrate voce di un Luca Ward all’apice della sua interpretazione.